che strana crisi, quassù

Sabato scorso è stato uno dei pochissimi, giuro, giorni in cui ho preso la macchina (che non è mia) per andare fuori Udine (io sarei l’utente ideale del car sharing, se esistesse qui). Ormai mi sento addirittura a disagio quando sono in auto, un po’ perché ho paura delle strade, ma soprattutto perché divento parte di quel traffico la cui bruttezza e pericolosità denuncio costantemente. Comunque, tornando da Tricesimo verso Udine procedevamo praticamente a passo d’uomo, perché tutte via Nazionale e viale Tricesimo erano intasate dalle auto che entravano e uscivano dai parcheggi dei centri commerciali e dei capannoni che contengono i vari mediaworld, sorelle ramonda, spacci e catene infinite che infestano una ex striscia di campagna che forse una volta era splendida, perchè in fondo, nascoste dalle insegne, scintillano le Alpi. I parcheggi erano pieni, il traffico impazzito. Io pensavo: è questa la crisi? cioè il nostro grande dramma collettivo è simboleggiato dal fatto che aspettiamo i saldi per comprare cose di cui comunque potremmo fare a meno*?

Siccome andavamo piano, mi sono messa a contare i Suv. Su un campione di 150 auto, circa una su sette era un Suv. Mi è stato fatto notare che non è molto scientifico come studio, e da quel giorno ogni mattina quando esco di casa conto (immaginatevi me che parlo da sola mentre pedalo – centododici, centotredici, centoquattordici – e apro una a una le dita guantate sul manubrio della bici, non sapendo come fare dopo il dieci). Di solito è uno su sette – otto. Oggi su 177 auto, 17 erano Suv – tra cui includo i fuoristrada e da cui escludo mini-Suv e macchine di lusso, che non conto perché non me ne intendo abbastanza. Sappiate che a Udine c’è sempre più gente in auto che a piedi, con le bici non siamo male, ma comunque in minoranza. Quindi più di un Suv ogni dieci auto è tanto.

Quello che sto cercando di dire è che a me sembriamo veramente molto ricchi, anche adesso, e questo mi fa arrabbiare. Quegli affari maledetti costano, consumano, inquinano, occupano spazio, solitamente corrono con arroganza, e sono pericolosi (fresco di oggi l’ultimo morto investito da un Suv, un bambino di quattro anni, ieri una madre ha travolto il suo stesso figlio, non è paradossale che proprio la stessa presunta strategia di difesa contro il pericolo – accompagnare i bambini in macchina – costituisca in realtà il pericolo stesso? Io mi auguro che tutte le città italiane finiscano per istituire il piedibus).

Domenica, invece, sono andata in bici al parco del Cormor, il che implica passare per il parcheggio dello stadio Friuli. Quando c’è la partita, però, le piste ciclabili sono interrotte da automobili parcheggiate proprio in mezzo, per utilizzare le già sbiadite e incomprese striscie di attraversamento ciclopedonale bisogna essere particolarmente coraggiosi, le macchine occupano ogni centimetro quadro di terra, e i vigili non fanno multe, semmai dirigono il traffico – perché le regole, persino nel ‘ligio’ nord est, valgono solo ogni tanto? Ogni auto ha solitamente uno o due passeggeri. C’era il sole, era una bella giornata, si poteva andare in bici, in autobus, a piedi, ma niente. Lo sport finisce per essere l’ennesima scusa per mettere il culo sul sedile di un auto.

A me non piace una società così. Mi fa schifo. L’automobile simboleggia tutto quello che abbiamo sbagliato e stiamo sbagliando. Rinunciamoci.

* Anch’io volevo approfittare dei saldi, perché le uniche scarpe invernali che ho sono troppo grandi e mi fanno male. Sono entrata in un negozio, cittadino perché non vado nei centri commerciali, ma tenevano la porta aperta con il riscaldamento acceso, e le scarpe erano made in Vietnam. Non ce l’ho fatta e sono uscita, sto ancora usando le scarpe vecchie. Quando smetti di sentire il bisogno di comprare, non ti manca più, e addirittura l’atto ti provoca una certa nausea.

22 risposte a “che strana crisi, quassù

  1. “ieri una madre ha travolto il suo stesso figlio, non è paradossale che proprio la stessa presunta strategia di difesa contro il pericolo – accompagnare i bambini in macchina – costituisca in realtà il pericolo stesso”

    Qui la dinamica è stata assurda. La madre ha accompagnato il figlio in camper (che cavolo ci faceva col camper?) ed un cordone dello zaino è rimasto incastrato nella portiera. La madre è partita portandosi dietro il figlio, finchè il laccio non s’è spezzato ed il bambino è finito sotto le ruote del mezzo. Sfiga su sfiga. Cmq se ci fossero meno auto, e le velocità ridotte, la mortalità sulle strade precipitterebbe (oltre ad avere una vita più sana)

  2. @ Antonio: appunto. A costo di sembrare ripetitiva, per questo bisogna denunciare la ricchezza e battersi per la redistribuzione dei redditi, o meglio ancora per impedirne l’accumulo.

  3. Infatti, sarà stata sfortuna e davanti alla tragedia di una madre responsabile della morte incidentale di suo figlio uno non se la sente di stare a commentare, ma per un motivo o per l’altro, quello dell’auto è un massacro quotidiano – quattro mila morti all’anno solo in incidenti, più i morti per lo smog, più i morti per le conseguenze del riscaldamento globale, delle guerre per il petrolio… non sarebbe il caso di cambiare qualcosa?

  4. il commento non era per confutare il problema della redistribuzione, che condivido pienamente, ma per confutare l’idea che non ci sia davvero una crisi

  5. il mio post era un po’ provocatorio, io non nego che ci sia la crisi, ma mi sembra che la stiano pagando (nei paesi ricchi) seriamente una minoranza di persone per cui la situazione è molto grave, cioè quelli che hanno perso o stanno perdendo il lavoro, mentre per il resto si tratta di un misto di paura e isteria collettiva, che porta a rifugiarsi in vecchie ricette invece di cercare nuove strategie che prevedano una riduzione dei consumi
    io sono convinta che se fossimo veramente onesti, dovremmo ammettere che per la maggioranza di noi le cose non sono cambiate così enormemente, anche se la situazione potrebbe peggiorare ulteriormente, e di molto

  6. Certo che la crisi la stanno pagando solo alcuni, ma non così pochi, alla fine dei conti. Per quelli che hanno perso il lavoro la situazione è chiaramente molto critica, ma penso che per moltissimi la crisi sia ben tangibile, anche se in forme meno drammatiche: risparmi che si assottigliano, minori opportunità lavorative, minori introiti economici, incertezza ed angoscia per il futuro (non sottovaluterei gli aspetti psicologici, oltre a quelli materiali…)… Un calo dei consumi mi pare ci sia già, anche se meno percepibile di quello che ti attenderesti. Io posso benissimo girare in Ferrari ed essere in rosso col conto corrente, se lo ritengo saggio….. Il risultato della crisi temo che però sarà una maggiore disuguaglianza e non una maggiore ridistribuzione del reddito. Nei momenti di trasformazione e cambiamento (quando cioè si rimettono in discussione anche molte delle conquiste sociali del passato, sotto l’urgenza della situazione presente) c’è sempre chi riesce ad approfittarne alla grande e del resto quello del crescere delle disuguaglianze economiche è un trend attivo già da parecchio tempo in tutto l’occidente, con una progressiva terzomondializzazione delle nostre società. A mio parere di questa crisi dovremmo riparlarne fra un anno, tra aumento dei prezzi ( a seguito della risalita dei prezzi delle materie prime), tagli al bilancio, scadere degli ammortizzatori sociali ecc ecc.
    Ma, speriamo, alla fine non tutto il male verrà per nuocere…. 🙂

  7. Mah…

    Sulla Tresemana ci saranno indubbiamente dei suv appartenenti a soggetti che possono permetterseli, ma circola anche una quota di pazzi irresponsabili che pagate le prime due rate inserziona il mezzo cercando di sbolognarlo ad altri assieme al contratto di leasing o al finanziamento.

    Ti propongo tre interessanti articoli sull’ argomento: Il primo é tratto da un saggio di Sigmunt Bauman; il secondo é un commento a “Capitalismo parassitario” dello stesso autore; l’ ultimo é un’ analisi piuttosto personale del fenomeno ma non so perché, mi fa pensare a certe cose che scrivi:

    http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/economia/crisi-mutui-9/bauman/bauman.html

    https://docs.google.com/open?id=0Bz2Qhv9ZRJ24YjBiNWJjMGQtZjYwZi00ZmUyLTk2ZWQtYWYxMDAyY2ZiY2Fh

    https://docs.google.com/viewer?a=v&pid=explorer&chrome=true&srcid=0Bz2Qhv9ZRJ24ZWQyZjhmMGItMjA5Zi00MWVlLWIxMTItZjM5ZDBiNWI4MzM0&hl=en_US

  8. certo, per me sono addirittura migliorate, ma sono 1 su 60000000, cioè lo 0.000002%

  9. All’articolo di Bauman aggiungerei che il fatto di far vivere le persone nell’illusione permanente di poter davvero avere, dopotutto, ciò che vogliono, placa le richieste di giustizia economica e redistribuzione. Perché proprio ora le proteste a Wall Street, la retorica del 99% contrapposto all’1, gli articoli populisti anche se condivisibili dei giornali italiani sulla lotta all’evasione e il martellare sul taglio dei costi della politica? Perché adesso ci dà particolarmente fastidio che esista Cortina? Perché non prima? Perchè prima eravamo, come dice Bauman, drogati, o come direi io, a pancia piena.

  10. E’ qualcosa di cui parlavo vent’ anni fa quando niente di quello che succede adesso era minimamente all’ orizzonte.
    I miei enunciati erano semplici: Nel 1990 la persone sperimentavano un benessere mai esistito in precedenza. La dotazione di beni di consumo di qualunque famiglia operaia era tale da non far percepire differenze sensibili rispetto a quanto disponibile per alla media borghesia: Immobili in proprietà, autovetture, elettrodomestici, abbigliamento…. Se hai una BMW 520 non é che senti un gran distacco rispetto al proprietario del modello 735.
    A quel punto che io sostenevo “Ecco: Ormai lo statuto dei lavoratori é un fatto acquisito; la coscienza di classe é persa; la necessità di aggregarsi, di documentarsi, il senso di appartenenza ad una classe sociale: Tutto perduto. La gente a sera si chiude nelle sue case fornite di WHS, HI-FI, cucine in ciliegio, auto con sedili in pelle e non ha bisogno di nessuno. Fuori restiamo noi con la nostra rivoluzione permanente. Che vuole dire: appena si ripresenteranno le condizioni noi saremo pronti perché avevamo sempre saputo”.

    Per l’ appunto, avevamo sempre saputo
    E adesso abbiamo AD Marchionne che lascia fuori dalla Fiat il sindacato dei metalmeccanici (E’ previsto che ci siano metalmeccanici in questa industria metalmeccanica?)

    Socchiudete gli occhi per un attimo… Ve lo sareste immaginato che potesse esistere qualcosa di infinitamente più inquietante degli anni di piombo?

  11. Già l’individualismo sfrenato ha portato a questo, non tanto il capitalismo (anche se ha dato una gran mano). La gente come dice Paolo si era chiusa nelle sue case (infatti negli anni ’90 l’associazionismo ha iniziato un lento ed inesorabile declino) e poteva solo interagire con i famigliari e la tv. Questo porta inesorabilmente ad una chiusura sui problemi della comunità e del proprio vicino e la cosa pubblica è stata lasciata in mano ai soliti pochi in delega. I pochi in delega, che nella maggior parte dei casi lo facevano per interesse e non per senso civico, hanno incominciato a fare disastri a partire dai comunie e via a salire. La gente deve incominciare a fare rete (timidamente sta incominciando grazie ad internet) e deve smettere di delegare! Nel momento in cui si torna ad interagire col proprio vicino anche il tessuto sociale inizia a rattopparsi. Per tornare al Suv, se la gente incominciasse a pensare, che il valore di una persona è per quello che fa e che è e non per quello che possiede, le auto di grossa cilindrata sparirebbero in pochi anni. Ma per fare questo sempre più gente deve incominciare a lavorare per il bene comune, anche semplicemente iniziando a fare le segnalazioni delle buche su epart.

  12. Condivido le considerazioni di Ivan, cui mi permetto di aggiungere due mie piccole osservazioni: quale appendice alla promozione dell’associazionismo, forse sarebbe anche necessario promuovere nuove culture che riaffermino la centralità della natura e dell’uomo, e non quella dei prodotti e del mercato. E’ il modello culturale attuale che è quasi totalmente bacato, e spinge le persone ad identificarsi negli oggetti che acquista e nelle esperienze che si può permettere, oscurando la luce della ragione con una fideistica visione di «progresso» a mio avviso molto slegata dalla realtà.
    Quanto alla «salvifica» presenza ed onnipresenza della rete – a mio parere solo uno strumento, per quanto potente – bisogna far attenzione a che non allontani le persone, facendole rinchiudere sempre di più nelle loro case allontanandole dalle piazze e dai propri concittadini. Mentre nei treni prima si parlava, oggi ci si isola sfogliando facebook sul proprio smartphone. Uno corre il rischio di cercare in rete vaghe testimonianze (di terza o quarta mano) di un evento, quando magari ha di fronte a sè chi vi ha partecipato in prima persona. Vedo sempre più iniziative di protesta on-line, petizioni in rete, email di denuncia; ma quando si tratta di scendere in piazza o scioperare siamo sempre di meno, soprattutto per le cause più giuste. Gli unici che sono quasi sempre presenti sono gli studenti (pur essendo i più ‘cablati’)… e credo ciò sia dovuto proprio alla loro apertura mentale e alla sacrosanta voglia di cambiare il mondo. Perciò meno deleghe e meno individualismo, ma anche più incontrarsi (nel mondo reale), più dialogo, più libri e forse più «farsi sentire/vedere».

  13. Guarda Michele io ho l’esperienza dei MeetUp lanciati da Grillo. Da una cosa nata in rete ci siamo poi alla fine trovati nella vita reale per portare avanti delle battaglie. Ovviamente per uno che esce di casa per andare a trovare gli altri, ce ne stanno almeno 100 che se ne fregano. Sta ad ognuno di noi tentare di smuovere gli altri a cominciare dai conoscenti.

  14. Credo che il rapporto 1/100 sia purtroppo fisiologico in Italia… è stata una grande cosa l’idea dei MeetUp e io intendevo proprio quella: usare la rete per ‘darsi appuntamenti’ e scambiarsi materiale, però poi ritrovarsi in piazza o nelle istituzioni a cambiare la società. Purtroppo però (forse perché per motivi professionali sono incollato alla rete) ultimamente ho visto enormi montagne virtuali e/o mediatiche che hanno partorito striminziti topolini reali. Noto una marcata tendenza delle persone a manifestare il loro dissenso e le loro idee nella comunità virtuale e non nella loro città. Di solito si manifestano nella vita reale solo quando oramai è troppo tardi (hanno già perso il lavoro, o la casa, o gli hanno impiantato una discarica in giardino o un inceneritore nel cortile della scuola dei figli). Delle circa 50 petizioni on-line che avrò sottoscritto lo scorso anno, quelle che hanno avuto un seguito nella vita reale saranno state 2 o 3, e tutte perché dietro c’erano soggetti politici e/o sociali reali. Delle restanti non ho avuto più notizie, se si eccettua lo spam sul mio account di posta che uso appositamente per le petizioni. Perciò preferirei non si ponesse molta enfasi sull’aspetto tecnologico dei movimenti, quanto sulle idee che essi esprimono e soprattutto sulla generosità (in termini di tempo, idee, denaro, conoscenza) che i loro affiliati dimostrano quotidianamente. Come dici tu «..sta ad ognuno di noi tentare di smuovere gli altri a cominciare dai conoscenti», è una verità sacrosanta.

  15. Non disperiamoci per quanto riguarda l’Italia. Io ho vissuto in altri paesi e questo è uno di quelli in cui i cittadini si interessano maggiormente alla cosa pubblica. I risultati non saranno granché, ma sicuramente ci sono le passioni

  16. “Io ho vissuto in altri paesi e questo è uno di quelli in cui i cittadini si interessano maggiormente alla cosa pubblica.”

    Ma in che paesi sei stata? Nel nord europa se un amministratore sgarra, lo crocifiggono! A partire dai parcheggi alla cazzo, passando per la gente che non fa la raccolta differenziata e vendedo la partecipazione popolare agli incontri con la giunta comunale, l’italiano medio se ne fotte della cosa pubblica, tranne, come dice Michele, quando gli piantano l’inceneritore nel giardino di casa! Va bene tutto, basta che sia fatto in casa degli altri. Questo è l’interesse della cosa pubblica per l’italiano medio!

  17. Ok, forse detta così non era molto convincente. Forse dovevo dire ‘alla politica’, che purtroppo non è sinonimo di cosa pubblica. Ho vissuto in Canada, dove le cose funzionano meglio ma la vita politica è piuttosto blanda e le percentuali di votanti sono molto più basse delle nostre, e in Gran Bretagna dove la gente legge quasi solo tabloid e persino i giornali seri sono pieni di pettegolezzi (ma i nostri quotidiani si stanno facendo in quattro per imitarli). E a me i giovani di Londra sembrano infinitamente meno attivi di quelli di Roma…
    Noi ci paragoniamo sempre agli altri paesi, selezionando sempre i nostri problemi, e riscontrando che gli altri non li hanno, dimenticando però che hanno problemi loro che qui sono minori o inesistenti.
    (Se è per questo ho vissuto anche a Singapore, che però non è nemmeno una vera democrazia, e in Bosnia Erzegovina, che ha enormi problemi di governabilità. Va bene voler migliorare, sono la prima a dirlo, ma non tiriamoci sempre merda addosso)

  18. Confesso di non aver vissuto all’estero, e di aver (purtroppo) viaggiato poco, per cui non ho riferimenti personali diretti con le realtà di altri paesi. Qui nel napoletano, però, non noto un particolare interesse per la politica da parte della gente comune, se non per i suoi aspetti esteriori più deteriori (gossip, scandali, eventi mediatici). Non che manchi l’attivismo politico, badate bene: è parcellizzato in una miriade di associazioni irrimediabilmente a corto di liquidità che cercano – nella maggior parte dei casi – di fare fronte ad emergenze sociali supplendo alla quasi assoluta assenza da parte dello Stato.
    Chiacchierando un giorno di politica con una mia collega anziana, mi accennò che ai tempi della sua adolescenza (immagino tra i ’60 e i ’70) una buona fetta della popolazione urbana si riuniva per più giorni a settimana in luoghi d’aggregazione locali che erano i comitati di quartiere, vari collettivi e centri sociali. Ce n’erano per tutti i gusti, sia di destra che di sinistra, e in quasi tutti i quartieri. Si discuteva della vita e dei problemi locali (dalle acclarate corna del distinto signore del 3° piano alla scarsa frequenza delle corse dei filobus) fino ad allargarsi via via a temi di rilevanza nazionale, come la disoccupazione, la questione meridionale, l’emigrazione, e così via. Mentre mi raccontava simpatici aneddoti, capivo che per loro la politica non rappresentava qualcosa di alieno dalle loro vite, ma un’organizzazione che aveva un riflesso quasi immediato sulla loro quotidianità (perchè per lavorare Gaetano deve per forza trasferirsi al nord? perché i prezzi degli affitti a Materdei stanno diventando così alti? come fare per migliorare le scuole?). Magari non conoscevano a menadito i nomi di tutti i ministri e non sapevano che cosa significassero i termini «PIL» o «spread», ma seguivano la politica con più attenzione e maggiore attesa di risultati che potessero immediatamente verificare nel loro quotidiano.
    Tralasciando il fatto che adesso i centri politici *aperti* di aggregazione non sono così capillari e sembrano per lo più club per soli associati, quando mi ritrovo in posti pubblici e non si parla di calcio (cioè quasi mai), ascolto discorsi che raramente trattano di questioni politiche, e se lo fanno sono più che altro una via di mezzo tra la giaculatoria di sfottò e l’elenco delle opposte recriminazioni lanciate tra loro da ‘fan’ di questa o quella parte politica. La città, le scuole, la viabilità, i fitti, l’inquinamento dell’aria, la raccolta di rifiuti restano tutti sullo sfondo (sono «i problemi»: entità ataviche dotate di vita propria indipendenti dal contesto che non passeranno mai) mentre o si deride quel leader politico, o si fa a gara su «chi rubava di più», per poi fraternizzare riconoscendo che «tanto, alla fine, rubavano e rubano ancora tutti».
    Tenuto conto che nel 2009 il rapporto tra quotidiani venduti giornalmente e la popolazione era il seguente:
    – Italia: 5 mln su quasi 60 mln di abitanti
    – UK: 15 mln su poco più di 60 mln di abitanti
    – Germania: 20 mln su circa 80 mln di abitanti
    – Francia: oltre 7 mln su circa 75 mln di abitanti
    e volendo presupporre la supremazia della carta stampata – quanto ad approfondimento – rispetto a telegiornali o alle edizioni web, io ho il sospetto che purtroppo le persone non si interessino più molto alla politica nel nostro paese, se non come sottoprodotto del gossip o solo se forzatamente costrette da eventi che entrano di prepotenza nelle loro vite. In Israele i giovani hanno occupato le strade e le piazze per gli affitti troppo alti (qui da noi è da quando sono nato che sono alti, ma non ho mai visto niente); in Spagna sta succedendo di tutto da quando è iniziata la crisi (il 15-M e gli Indignados sono… loro copyright); in Inghilterra è dilagata la rivolta ed è stata davvero violenta.
    Io certo non mi auguro e non voglio che si arrivi a queste situazioni di conflitto che non gioverebbero a nessuno; però forse per non arrivarci dovremmo ricominciare ad incontrarci e a parlare di nuovo tra noi, per essere parte del cambiamento e della soluzione, e non subire nè l’uno, nè l’altra. Incontrarci di nuovo sotto casa e, come dice Ivan, smuovere l’altro a cominciare dai conoscenti.

  19. Sono d’accordo con quello che auspicate, e non voglio negare che ce ne sarebbe un gran bisogno. Visto che si parla di esperienze locali, dirò anche che in Friuli, una terra dove c’era miseria nera anche solo settant’anni fa e adesso la gente è così ricca che nemmeno se ne rende conto, l’apatia regna sovrana, tra i giovani non parliamone (ed è uno dei temi che mi interessa di più trattare anche nei romanzi che scrivo). Io volevo solo dire che dobbiamo stare attenti a idealizzare sempre l’estero. Questo distaccamento dalla politica secondo me è avvenuto grosso modo in tutto “l’Occidente”, come reazione agli anni ’60 e ’70 di grandi lotte e conflittualità, e come conseguenza, lo diceva Paolo in un commento recente, del benessere che ci ha fatti tutti rinchiudere nelle case con la tv, in sostanza comprandoci.
    Ci sono sicuramente aree in Europa dove la gente partecipa di più, ma non tutte. A Londra i recenti disordini sono stati analizzati da molti come la rivolta di una generazione esclusa dal consumismo sfrenato che si vede tutti i giorni sventolare e glorificare sotto il naso – ma niente di propositivo, uno scoppio di rabbia tra l’altro rivolta contro le proprietà di altri ‘esclusi’, e non molto di più. Io, avendoci vissuto, garantisco che i giornali in Gran Bretagna parlano veramente quasi solo di stronzate (cioè di come sta andando il matrimonio del tal calciatore, di con chi va a letto la tale popstar, prime pagine trash onnipresenti al punto che io sapevo tutto senza mai comprare nemmeno un rotocalco), mentre non ho mai visto media ossessionati come i nostri dalla politica interna, anche se questo si riduce in chiacchere inconcludenti (il tal partito annuncia che farà questo, il tal ministro propone la tal idea inattuabile per farci distrarre qualche giorno…) che portano a ignorare le questioni reali, spesso la partecipazione democratica a livello locale, e l’estero.

  20. Ogni volta che leggo un editoriale come questo: la moda della sobrietà e della decrescita secondo Barbara Palombelli ringrazio Dio che Gaia esista, e soprattutto che scriva : )

  21. (grazie, ma non esageriamo 😀 )

    Dio mio che scrivere narcisistico e incomprensibile… ma cosa gli è preso ai giornalisti italiani? Si specchiano nelle loro stesse parole e non fanno capire niente. Qui poi si esagera veramente. Cos’è questo tono di sfottò, senza capo ne coda? Questo cadere dalle nuvole e scopiazzare dagli ultimi due libri sfogliati quando questi sono argomenti seri di cui si parla da decenni? E poi, usare questioni di sopravvivenza della specie umana per difendere velatamente – e con quali argomenti non si sa – una contestata vacanza di super lusso alle Maldive? Forse ha fatto bene ad andare, ma per altri motivi: bisogna sbrigarsi, prima che il riscaldamento globale le sommerga.
    Ma veramente: che schifo di articolo. Provo istinti violenti in questo momento.

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