nessuno sa, nessuno dice

Sono rimasta molto colpita, ieri, dalla notizia della morte di Agitu Gudeta, l’allevatrice etiope che viveva in Trentino con le sue capre. Sarebbe facile dire che mi ha colpito semplicemente per la fine orribile di una persona molto conosciuta, ma non sarebbe del tutto onesto né completo. Spero di non mancare di rispetto a lei se condivido alcune riflessioni che non riesco a riconciliare.

Questa storia mi ha colpito perché ho visto in quel poco che so di lei (ne avevo già sentito parlare) una sorta di immagine speculare del mio percorso, apparentemente simile e in realtà contraria, o forse è meglio dire simile e contraria al tempo stesso.

La sua fine conferma le mie paure. Sono sempre più cosapevole della mia vulnerabilità, come donna, nei confronti delle aggressioni maschili. Una volta avevo molta meno paura, ma la costante attenzione a quello che succede nel mondo me l’ha fatta venire, e ora mi chiedo: quanto rischio? Come farò a spostarmi assieme ai miei animali per proteggerli, e al tempo stesso proteggere me stessa? Dovrò essere sempre accompagnata da un uomo? E se poi, come spesso accade e sembra essere accaduto ad Agitu, sarà proprio un uomo scelto per aiutarmi a diventare l’aggressore?

Credo che un uomo fatichi a capire cosa significa essere donna, essere costantemente a rischio di molestie, stupri, stalking, mutilazioni, rapimenti, e sapere che il peggio può ancora venire, che i femminicidi sono insopportabilmente frequenti e insopportabilmente incomprensibili. Sì, certo, ci sono anche donne che uccidono uomini, ma non c’è paragone. La forza fisica, il ruolo sociale e sessuale, e forse anche l’innata aggressività (ormoni? o è solo società?) degli uomini non sono gli stessi delle donne. Una donna non potrà mai stare al mondo allo stesso modo di un uomo, e questo neanche se faremo progressi, che non stiamo facendo, non quanto serve.

E questa era una cosa, terribile, che ho pensato.

All’inizio, i sospetti si erano diretti verso un vicino, con cui la donna aveva avuto dei problemi (avrebbe subito insulti “razzisti” e aggressioni). Anche in questo posso immedesimarmi: anch’io non sono originaria di questo paese e ho avuto dei conflitti. La gente di montagna (e di campagna) è abituata a difendersi da sè, e spesso guarda con sospetto i nuovi arrivati. Si parla di “invidia” dei montanari, ma non è così semplice: spesso chi arriva inizia a violare norme di cui non si rende nemmeno conto, a entrare in competizione, a mancare involontariamente di rispetto, a infastidire in mille modi… noi pensiamo che la barriera culturale principale fosse quella tra africana e italiani, ma sono pronta a scommettere che un milanese o anche un udinese (come me) faccia più fatica a capire la mentalità di montagna di un pastore etiope. Io ci ho messo anni a capire che non si cammina sui prati, che certi permessi bisogna chiederli, che non decidi tu cosa sia la tradizione, ma il consenso… e poi, non ho sempre avuto ragione. Quando i tuoi animali scappano e fanno danni è colpa tua. Devi risponderne e prendere provvedimenti. E una cosa del genere fa andare in bestia la persona più mite. L’ho vissuto e lo provato.

Perché il vicino ce l’aveva con Agitu? Razzismo, hanno detto tutti. Ma io sono bianca, e ho avuto problemi simili (ho temuto per la mia incolumità e ci sono compaesani che mi dicono: non passare di lì da sola che rischi). Se una persona ti odia troverà qualcosa per cui insultarti: se sei nera perché sei nera, se vieni dalla città perché sei una presuntuosa o una fallita, qualsiasi cosa.

In questo comune ci sono persone con la pelle molto più scura della mia che sono considerate parte della comunità come io non lo sarò mai, ed è giusto così. L’ossessione per il “razzismo” che domina il dibattito contemporaneo è di una superficialità devastante, passa come un rullo sulle infinite sfumature dei rapporti tra le persone, delle identità e delle scale valoriali.

Le comunità più piccole e apparentemente più intolleranti vogliono solo vedere che persona sei, non come in città – passa e non ti vedo nemmeno – ma davvero, ti studiano, si chiedono cosa porterai e cosa toglierai. Pare che Agitu avesse guadagnato rispetto e affetto con la sua personalità e il suo impegno, e diceva di non essere vittima di razzismo dove viveva, tranne in un caso. Inoltre aveva avuto opportunità che sono difficilmente accessibili anche a molti italiani, e aiuto quando era rientrata in Italia dopo la fuga dal suo paese. E allora perché fare sempre ricadere su intere comunità l’accusa infamante di razzismo?

La superficialità del giornalismo, dell’ambientalismo, la romanticizzazione dell’idea di “natura” che abbiamo oggi in Occidente hanno portato a considerare Agitu Gudeta un modello idealizzato, come spesso accade in casi simili. Legambiente l’ha insignita della Bandiera verde. Anche qui, Legambiente ha la mania di premiare chi usa pecore e capre in funzione anti-bosco.

Io non ho avuto nessun riconoscimento del genere, ovviamente, ma alcuni ricorrenti episodi di piccola celebrità in cui mi accorgevo di essere oggetto dello stesso tipo di idealizzazione sì. La donna. La montagna. Le capre.

(Io ho pecore, ma per gli altri sono capre, non c’è niente da fare)

Ora, io spero di non mancare di rispetto a una persona morta da poco se mi permetto di condividere con voi alcune domande. Saranno domande, perché non sono riuscita a trovare molte risposte, e quello che voglio fare non è criticare un’esperienza e una persona che non ho conosciuto e di cui tanti dicono così bene, ma sottolineare l’estrema ignoranza e il grande piattume dell’informazione oggi.

Ho cercato informazioni: come ha fatto una giovane barista in pochi anni a permettersi undici ettari, le stalle, i recinti, un caseificio, una casa, una macchina, l’attrezzatura, lo stand, centocinquanta capre, corsi di formazione (in Francia), certificazioni, dipendenti, le tasse, e, in prospettiva, un agriturismo? È impossibile guadagnare così tanto lavorando in un bar per qualche anno, per giunta dovendo anche mantenersi in una regione in cui il costo della vita è alto (per quanto sia possibile reinvestire i profitti man mano e allargare l’azienda, i costi iniziali sono molto alti, prima di poter guadagnare qualcosa; nei video vedo un pastore che sta sempre con gli animali, pratica che a quanto mi risulta è stata abbandonata in tutta Italia a favore delle recinzioni, perché con i prezzi dei prodotti è impossibile pagare una persona solo per seguire gli animali tutto il giorno). Si tratta di un patrimonio di centinaia di migliaia di euro; se si calcola tutto al valore di mercato, arriverei a dire quasi mezzo milione se uno lo deve comprare. Ovviamente tante cose erano pubbliche o private e date in comodato, ma a quali condizioni?

Agitu lavorava sodo e con passione, su questo sono tutti concordi. Eppure, l’accesso alla terra e all’imprenditoria è estremamente difficile persino per giovani con famiglie alle spalle. Gli adempimenti normativi sono costosissimi e l’infrastruttura anche. Perché nessuno raccontava nel dettaglio come ha fatto? Perché non si apre mai un dibattito onesto sul sostegno pubblico a certe attività e sulle sue motivazioni? I terreni erano demaniali, questo si sa, ma non sono riuscita a capire se c’era un affitto; la razza di capre che ha scelto era tutelata da contributi pubblici in quanto a rischio estinzione, anche se non posso dire di essere certa che ne avesse ricevuti anche lei, oltre ad altri che sicuramente li hanno avuti. Però è importante, non vi pare? C’è un po’ di differenza tra “realizzato con le sue sole forze” e “sostenuto con fondi pubblici pagati da tutti ed erogati al suo progetto”, o no? E questo vale per tutte le storie simili che si vedono sui media: non si parla mai del perché qualcuno gestisce una malga o un allevamento e qualcun altro vuole ma non trova.

Qui ci sono due storie possibili: la solita narrazione individualista occidentale, sicuramente in parte vera, della persona determinata che lavora sodo e raggiunge un risultato, e la narrazione minoritaria, che personalmente sto dedicando gran parte delle mie energie a proporre, che è ecologica, sistemica, che colloca il singolo in un ambiente, una cultura, un sistema, senza il quale non può fare nulla.

Non so come funzioni in Trentino, ma quassù mi ero informata su come avere dei terreni demaniali, un pezzo piccolo, ma la burocrazia, i costi e i vincoli erano così proibitivi che ho rinunciato subito. In Trentino è diverso? Per gli stranieri è diverso? O è stata solo una questione di determinazione e tenacia?

Oppure, come qui, dipende da che amministrazione trovi, che situazione trovi?

A noi piace credere che uno possa “farsi da solo”. Nessuno si fa da solo. C’è chi è più capace, ha un’idea migliore o più fortuna, ma c’è sempre qualche gruppo – una famiglia, una comunità, un fondo d’investimento o un’amministrazione comunale – che aiuta, finanzia, garantisce, cede, protegge. L’abbiamo visto: un essere umano da solo può essere ammazzato dal primo che passa.

Qui in Carnia, forse giustamente, forse ingiustamente, le persone sono molto attente a come qualcuno riesce a fare qualcosa. Anche questa la chiamano invidia, ma pensateci: se le montagne sono state abbandonate è perché le persone non riuscivano a viverci. Che qualcuno arrivi e, solo lavorando sodo quando lavorare sodo qui è sempre stata la norma comunque, ce la faccia, è quantomeno motivo di curiosità. Anche a me è stato chiesto, a bruciapelo: “ma ci guadagni da viverci?” “No”, ho dovuto rispondere per non mentire.

C’è dell’altro, però, un cuore scuro della questione attorno a cui continuo a ruotare con indecisione e senso di colpa. Agitu proponeva di ripopolare le montagne con pastori sia stranieri che italiani. È un’idea molto popolare nella sinistra ambientalista, in cui ricorre di continuo, ma anche a destra, forse togliendo la parte sugli stranieri. Ci sono molti progetti in questo senso, tappeti rossi srotolati a chi si prende in carico zone particolarmente remote. È una cosa su cui tutti sono d’accordo. I terreni demaniali vengono concessi proprio per questo: perché il bosco, la natura selvaggia, non se li riprenda.

Qui si parla esplicitamente di un progetto per utilizzare fondi europei per disboscare zone da adibire a pascolo per le capre di Agitu (e sì, è terribile guardare e pensare che questa persona non c’è più). In questo senso dico che la mia visione è opposta a quella di Agitu, per quanto apparentemente simile: la sua era in sintonia con quella della stragrande maggioranza degli abitanti delle montagne, io appartengo a una microscopica minoranza, nella quale neanche mi trovo tanto a mio agio, perché raggiunge gli eccessi opposti.

Da un lato, io difendo i diritti degli allevatori; dall’altro, penso che in nessun caso si dovrebbero mantenere artificiosamente attività non economicamente sostenibili pur di non lasciare che un ambiente si rinselvatischisca. In questo caso io sono nettamente dalla parte del rinselvatichimento.

Io stessa, quassù, ho cercato di prendere solo fieno che veniva tagliato comunque, terreni che non erano rimboschiti, non vorrei mai essere strumento di una riduzione programmata dell’habitat selvatico. C’è da dire che esiste anche una biodiversità legata al pascolo, ma mi sembra strano mantenerla solo con le capre, quando forse una combinazione di animali di specie diverse sarebbe meno impattante.

Ma noi idealizziamo la capra, come simbolo di montagna e di idillio uomo-animale. Perché?

Le capre sono animali utili, intelligenti e ricchi di personalità, ma sono anche estremamente distruttive. Mangiano qualsiasi cosa e sono in grado di spostarsi su terreni impervi che nessun altro animale domestico raggiunge. In molte zone del mondo sono accusate di aver degradato interi habitat. Nelle mie ricerche recenti, per un libro, ho visto foto di pendii in val Meduna completamente distrutti dal pascolo caprino, che solo a seguito dell’abbandono di certe zone sono riusciti a rinverdirsi e riprendersi.

Agitu era scappata dall’Etiopia perché era minacciata nella sua incolumità a seguito di proteste sul land grabbing. Questo è forse uno dei noccioli della questione attorno a cui la mia testa gira. Possiamo accusare di land grabbing governi stranieri e multinazionali, ma se una persona non autoctona occupa terreni in un paese che non è il suo con il beneplacito della comunità – ma erano davvero tutti d’accordo? – e vuole estendere questo progetto ad altre persone, quello cos’è? È land-grabbing se si toglie la terra alle persone, sviluppo se la si toglie alla natura selvaggia? Perché critichiamo il Brasile se disbosca per fare pascolo, e poi diamo soldi pubblici e addirittura premi per la sostenibilità a chi lo fa qui?

(Che fine hanno fatto gli altri etiopi che protestavano? Sono stati uccisi? Hanno vinto? Quanti sono scappati, quanti sono rimasti? È scappato chi ha voluto, o chi ha potuto?)

Il Trentino ha una densità abitativa minore dell’Etiopia, ma l’Italia ce l’ha maggiore. L’accesso alla terra, ai fondi e alle strutture è più difficile e complesso di quanto uno potrebbe pensare. Il tanto celebrato rimboschimento italiano è minacciato proprio dai progetti che sostengono i pastori in zone “abbandonate”.

Che nessuno metta queste cose al centro quando una persona muore è comprensibile. Quello che non sopporto è che nessuno ne parlasse prima, che tutti si accodassero a una celebrazione acritica – così come, molto più nel piccolo, è successo a me – di un “ritorno” alla montagna senza valutarne i costi per la collettività e per la natura. Quante capre per ettaro? Che gestione dei pascoli: a rotazione, o fissi? Una monocoltura, o un’azienda diversificata? Il premio per l’impegno ambientale per la cosa in sé, o per qualche pratica particolarmente virtuosa? E l’acqua per mantenere tutti quegli animali e fare tutto quel formaggio, da dove viene? Perché continuiamo a vedere, in questo caso come in mille altri, giornalisti zerbino che appena vedono qualcuno fare un formaggio o rovesciare una polenta o montare un cavallo non sono capaci di andare oltre, di fare domande, di mostrare competenza, di scavare, di fornire un’informazione completa anziché una cartolina agiografica?

Ho scritto questo lungo post di getto; se qualcuno mi dirà che è irrispettoso, che è sciacallaggio, lo toglierò. C’è un fondo di tristezza in questa vicenda di una vita spezzata, di un sorriso spento, forse il silenzio sarebbe stato meglio.

Però penso che nessuno voglia essere ricordato solo per come è morto. Se uno vuole essere ricordato, penso sia per quello che ha fatto in vita, per il senso che ha voluto darle.

Spero che capiate le mie intenzioni: cercare di sfuggire alla retorica, vivere in modo morale, applicare un metro giusto a se stessi come agli altri, trovare cosa ci accomuna ma non autoingannarsi su quello che ci divide. Forse sono senza cuore, forse il mio cuore è diventato troppo verde, e se sia un verde d’invidia, o un verde di bosco, lo lascio decidere a voi.

58 risposte a “nessuno sa, nessuno dice

  1. Invece che preoccuparti se il tuo sia un verdeggiare accorato o d’invidia, se accetti o si accetta l’idea che siamo all’apoteosi della “Società dello spettacolo” del lungimirante Guy Debord, molti interrogativi trovano l’immediata risposta,

    Affine a questo tuo post questa testimonianza esemplare:
    Davvero, un articolo di una persona che sa quello di cui parla e non teme le critiche degli imbecilli.

    https://www.corriere.it/animali/bonnie-e-co/notizie/cane-lupo-cecoslovacco-grugliasco-vanita-umana-perche-ho-scritto-che-razza-non-dovrebbe-piu-esistere-b9facb04-45d0-11eb-9e72-c47f913168be.shtml

    Un saluto in versi, riveduti e corretti, “così che suonino più sonori”.

    Quando sapremo fare di meglio
    della colla che attacca agli scogli
    i mitili senza alcun residuo dannoso
    superiori almeno in questo saremo
    ad essi muti fragili esseri
    chè loro tutto fan nel silenzio
    e da innumerevoli eoni
    per adesso siamo dei vanitosi
    empirici incerti stregoni
    sempre sulla soglia temendo
    che successo in vanagloria decada
    ecco dal soffitto lucido e liscio
    il geco acquattato sgaiattola svelto
    puntando all’aracnide appeso
    in attesa sulla tela di preda
    vedendoli mi sento a teatro
    pur sapendo che dramma
    stanno vivendo e non recita
    m’immedesimo e abisso
    ineffabile sento si colma.

    Marco Sclarandis

  2. Quello che dice Agitu sul lupo mi sembra molto intelligente, anche se ho dubbi sul funzionamento a lungo termine della strategia dei petardi (quello che probabilmente succederà sarà che i lupi impareranno che è solo un bluff, ma gli altri animali, prede in particolare, avranno un infarto a ogni scoppio e dovranno andarsene).
    Riguardo alla mania dei cani-lupo, anche Ruralpini ha scritto al riguardo. Per me dovrebbero esserci una piccola frazione dei cani domestici che ci sono adesso, e di sicuro non quei cani lì in città o anche nella maggior parte delle zone rurali. Ma siamo i soliti egoisti superficiali.
    Recentemente, ho letto la testimonianza di un partigiano interrogato dai tedeschi che racconta come usassero i cani lupo per spaventare i prigionieri. Sto facendo ricerche sull’impatto umano turistico, e dove vanno i turisti con i cani (qualsiasi cane) la fauna spesso scappa, perché anche se noi abbiamo dimenticato che i cani discendono dai lupi, l’uccello che nidifica a terra se lo ricorda benissimo, ce l’hai nei geni.
    E, come l’articolo sottolinea, spesso se lo ricorda anche il cane.

  3. Cara Gaia, hai scritto un bellissimo post, che ho letto con grande interesse e che condivido fino all’ultima riga. Sono le domande che ci facciamo, quelle che fanno la differenza, più ancora delle risposte (che possiamo anche non trovare). Buon anno, nonostante tutto.

  4. Grazie. È tutto il giorno che mi chiedo: sono stata scorretta nello scrivere questo proprio adesso? In fondo però tutti moriremo, e quando saremo morti la gente parlerà di noi – l’alternativa è essere dimenticati. L’importante è non calunniare chi non può rispondere.

    Buona fine e buon inizio a te e agli altri lettori.

  5. La vicenda di questa tale, quale che sia, chicchessia, è l’ennesimo pretesto per innescare meccanismi di propaganda tramite la retorica. Credo che molte tra le tante domande che ti poni, più che pertinenti, possano trovare risposta se terrai a mente quei due “motori” trainanti del nostro sistema di (in)formazione: propaganda e retorica. E non si tratta di qualcosa di nuovo, proprio per niente.

  6. Ottimo esempio di articolo stupido, offensivo e senza contenuti. Praticamente l’autore ci sta dicendo: sono un ignorante su questo argomento, non ho nemmeno scoperto niente di interessante se non questo (che sono ignorante) ma scriverò qualcosa lo stesso in fretta e furia (non aspetto neanche di assaggiare lo yogurt); vi rivelo però che ho una serie di stereotipi offensivi sui pastori, principalmente che sono tutti maschi, che se sono donne sono vecchie e sciatte, e in ogni caso nessuno di loro sorride (quindi mi sono sfuggiti secoli di cliché continentali sulle “belle pastorelle”).
    Questo tormentone del “giovane sveglio e non analfabeta che ‘torna’ alla terra” ha veramente stufato. E lo dico io che mi ci sono trovata dentro mio malgrado. La giornalista che ha scritto l’articolo su di me sul Messaggero Veneto, un successone quell’anno, non mi aveva neanche mai vista né aveva mai parlato con me (cosa che si sarebbe dovuta capire leggendo l’articolo stesso).

  7. (Sì, sono un po’ aggressiva, ma quando vedi giovani validi che non riescono a farsi strada nel giornalismo, oppure quando sai che su un argomento – ad esempio il mondo rurale – ci sarebbero una marea di cose importanti e pregnanti da dire che dovrebbero interessare a tutti, e invece leggi cose così insulse…)

  8. Ho appena finito di leggere il riassunto della saga islandese di Njáls (incuriosita da un video di Barbero) e questo ridimensiona molto la mia indignazione nei confronti di alcuni temi per cui solitamente mi arrabbio molto… effettivamente se la norma per l’umanità è sempre stata catturare schiavi ed essere prestigiosi perché si uccide gente con leggerezza (cose che continuiamo a fare ancor’oggi, ovviamente), forse sono troppo sensibile se mi preoccupo di un bosco in Trentino o di un prestito di stato alla FIAT.
    Ogni tanto penso che l’umanità in toto dovrebbe sparire, non mi viene in mente una specie peggiore di noi, non so cosa sto qui a prendermela per piccole questioni.

  9. andrea zanobini

    L’articolo in questione non mi sembrava così malaccio e poi Andrea è un mio amico che ha scritto splendidi libri e racconti, avrei voluto fartelo conoscere approfittando di questo brutto evento, ma forse , rileggendo, qui non ha dato il meglio. Piuttosto a volte, anzi quasi sempre, dai tuoi commenti, mi chiedo se lassù tu sia felice, perchè non mi sembra. Ma spero tantissimo di sbagliarmi.

  10. Sulla felicità non serve dire niente, perché si tratta di questioni personali che non c’entrano con questo blog e quello che qui è pubblico. Sono sicuramente molto arrabbiata per molte delle cose che succedono nel mondo; ma se tu non vuoi vedermi arrabbiata con te personalmente non provocarmi, cioè: se io scrivo un post e tu scrivi o linki qualcosa che senza degnare di attenzione quello che ho scritto io si limita a ribadire ciò che io sto criticando, bè ovviamente io lo interpreto come una provocazione e sì, mi arrabbio.
    Io scrivo con estrema cura e attenzione, pesando ogni parola; non sono perfetta ma mi aspetto da chi posta almeno attenzione a quanto ho scritto; chi non è d’accordo può contestare, ma non mancare di rispetto.
    E il tuo amico sarà bravissimo, ma quell’articolo è decisamente offensivo.

  11. Aggiungo una cosa che forse può essere interessante anche per gli altri, a proposito di quanto tu scrivi. Uno dei temi del post è l’idealizzazione di una supposta “vita nella natura”. Si tende a pensare che cose come la pace alpina, il silenzio delle montagne, eccetera, dovrebbero creare uno stato d’animo altrettanto sereno.
    Ovviamente, è del tutto sbagliato pensare che ci sia qualcosa di particolarmente pacifico nella natura in generale, che le persone reagiscano tutte allo stesso modo alle stesse cose, o che uno smetta di essere se stesso se cambia contesto. È sbagliato pensare che esista un buon selvaggio e un cattivo uomo civile, che la vita in agricoltura o allevamento debba necessariamente essere meno dura o persino meno stressante (dipende), che le sensazioni che prova un vacanziere in pochi giorni in un certo posto siano uguali a chi in quel posto ci vive sempre. È anche sbagliato pensare di dedurre lo stato d’animo di una persona che non si conosce da come questa persona si comporta, salvo casi estremi (se fai una strage in un asilo forse un po’ squilibrato lo sei).
    C’è il pastore felice che zufola e quello che cerca di uccidere le capre del vicino. Poi c’è quello che sembra che zufoli ma in realtà è un falso e un ipocrita, e quello che sembra che voglia ucciderti ma è solo apparenza e dentro è buono come il pane. Giunti a una certa età nella vita bisognerebbe sapere che per arrivare alla verità ci vuole tempo, pazienza, conoscenza, che le cose non sono come appaiono e io sono la prima a dirlo di me stessa.
    Altrimenti cosa scrivo qui a fare?

  12. Grazie a te. Adesso però vado sul tuo blog a controllare di non aver scatenato cattiverie contro questa persona che non se le meriterebbe 🙂

  13. andrea zanobini

    Che io non abbia degnato di attenzione quello che hai scritto è una tua pura illazione, priva di alcun fondamento. Come tu faccia a sostenere una cosa del genere francamente non riesco a capirlo. Che l’articolo sia offensivo è un tuo parere, rispettabilissimo, ma tutto da dimostrare. Ti ho già detto che ti ho linkato quell’articolo perchè, nella mia ingenuità e magari sbagliando, volevo farti conoscere Andrea Semplici, uno scrittore di viaggio molto affermato che secondo me vale la pena di leggere, a partire dal suo blog, ma se non ti interessa pazienza, scusa se te lo ho proposto. Infine veniamo alla tua rabbia che è sempre presente in ogni cosa di cui parli o scrivi. Io capisco che sia un brutto mondo questo, ma affrontarlo così lo rende ancora peggiore e soprattutto non fa bene vivere così, Gaia, senza un minimo di serenità, di felicità, di ottimismo.
    Bene, dopo questi ultimi post è evidentemente arrivato il momento di salutarti, momento che avevo cercato fino all’ultimo di rimandare, perchè così stai rendendo infelice anche me e, in questo brutto periodo, non posso assolutamente permettermelo. Un fortissimo abbraccio di cuore e tutti i miei auguri per la tua attività e la tua vita. Ciao, Andrea Willis Zanobini.

  14. Andrea, ovviamente se ti metto malessere meglio se non leggi più!
    Detto questo, ti rispondo comunque.
    Io sono sicuramente una persona irascibile e tendenzialmente agitata, ad alcuni questa caratteristica salta subito all’occhio, altri non ci fanno caso, alcuni trovano i miei sfoghi divertenti, altri insopportabili. Non si può piacere a tutti e arrivati a un certo livello di maturità nella vita si capisce anche che non ha senso provarci. C’è qualcosa di catartico negli sfoghi altrui, ma non hanno su tutti lo stesso effetto, così come la gente molto calma a certi piace e mette serenità e a certi snerva.
    Prima che tutto questo però ti porti a conclusioni sulla mia persona, rifletti sul fatto che si tratta soprattutto di una tua proiezione. Hai presente lo stereotipo del comico depresso? Del vicino di casa bravissima persona che poi uccide tutta la famiglia? Della coppia felice su facebook che in realtà sta ostentando qualcosa che non c’è?
    Noi non sappiamo veramente cosa ci sia nel cuore delle persone. Tu puoi sicuramente dirmi: “mi metti malessere” (non saresti il primo), ma è irrispettoso dirmi: non mi sembri felice. Che ne sai? Tra l’altro sei l’unico a cui ho risposto male ultimamente 😉
    Tendenzialmente preferisco scrivere che parlare perché perdo facilmente la calma, e con i post posso rileggere e cambiare, ma con i commenti sono impulsiva e per iscritto mancano molte delle sfumature del parlato, uno dei motivi, oltre all’anonimato, per cui vedi tanti commentatori su internet prendersi a insulti assurdi con gente con cui sarebbero educati se si incontrassero in un bar. Al tuo amico, se me l’avessi portato a casa (cosa che ovviamente resti libero di fare), probabilmente non avrei detto che il suo articolo era stupido e offensivo in faccia, ma avrei cercato un modo più diplomatico di dirgli che non ero d’accordo sui suoi stereotipi sui pastori, o che ci sarebbero tante cose di cui discutere, perché fissarsi sullo smalto? Ma se tu molli un link così senza commenti sotto a un post in cui dico cosa penso riguardo a certe cose (es la superficialità dei giornalisti), bè è come buttare carne in mare tra i pescecani, non puoi lamentarti se cercano di sbranarla.

  15. In Trentino ti finanziano pure le scoregge, suposto che tu abbia un progetto presentabile. Fino a pochi anni fa, il Trentino era in mano al PD e se sei africana diventi uno spot per le loro politiche e agli amici, ai simboli, si finanzia anche l’impensabile.
    I razzisti anti sono incredibilmente favorevoli nei confronti dello straniero, i LegaAmbientaroli non darebbero alcuna bandiera verde o rossa o arcobalenga a te, Gaia, perché tu non sei straniera,né islamica, né africana, etc. non sei negli ambienti bene radical chic né allineata alla loro narrazione da salotti verdognoli-freak-progressisti, sei una donna con carattere e la schiena dritta che non scende a compromessi, non scodinzola alla scodella ideologica della ortodossia di “sinistra”.
    Sono i motivi per cui qui, ancora una volta, trovo un’analisi equa, lucida, intelligente, critica e da un punto di vista ecologico nel senso più ampio e migliore del termine.

  16. Grazie, comunque ci tengo a specificare che la contrapposizione che proponevo (sempre senza mancare di rispetto ecc) non era intesa nel senso di rivalità. Io non puntavo a ottenere quel tipo di risultato (allevamento abbastanza grande + caseificio), perché non è quello che mi interessa fare e perché voglio mantenere anche l’attività di scrittura, come si sarà capito da quanto sto scrivendo in questi giorni.
    Nè mi interessa od avrei motivo di avere alcun riconoscimento da Legambiente. Aiuto contro la centralina sì, premi a me no, farebbe ridere (e poi appunto ho alcune perplessità su come valutano alcune cose).
    Quindi il senso non era, lo dico a tutti, “perché lei sì e io no?” Niente affatto, e poi tra l’altro io mi stuferei a fare formaggio tutti i giorni e ammiro chi invece lo fa. Può pure darsi che il Trentino ci avesse visto giusto a puntare su di lei perché era una tipa in gamba che si dava un gran da fare, non è detto che fosse perché era africana e poteva essere presentata come “modello di integrazione”, che è quello che poi è successo. Magari veramente se andava un’altra, bionda con gli occhi azzurri ma altrettanto determinata, ci riusciva allo stesso modo. Non è che i pastori in Italia siano tutti neri, anzi la sua storia era nota anche perché un’eccezione. Che poi ci sia questa assurda retorica del “facciamo fare i pastori agli africani / pakistani perché sono portati” è vero, anche se il maliano del video a sentirlo bene diceva: veramente io ero venuto in Italia per studiare, non per fare il pastore..
    Comunque, tornando al tema, come nella lettera al libraio, ripresa da tutti come “Gaia vs Taylor Mega”, io non volevo atteggiarmi a rivale di un’altra donna più conosciuta, ma solo mostrare una questione più a tutto tondo e più complessa di come appare.

  17. Mi rivolgo a tutti, e in particolare ad Andrea, se sta ancora leggendo, per provare a spiegare con un aneddoto personale la mia reazione stizzita all’articolo linkato poco sopra.

    È un paio di giorni che ho due pecore gravide che faticano a camminare e addirittura non riescono ad alzarsi, devo tirarle su io e spingerle a camminare un po’ nella neve o anche solo nella stalla. Hanno le mammelle enormi, la vagina gonfia e turgida, ma non riescono a sgravarsi e sono palesemente in difficoltà. Le acque non si sono ancora rotte quindi non so se e quando intervenire, e non ho tutta questa esperienza. Però mangiano e ruminano, che per le pecore è sempre un buon segno, anche se non risolutivo.
    Una delle due è la prima che ho preso di questo gregge, la capostipite, la capobranco, intelligente, fiduciosa, “savie”, come dicono qui in paese, dove alcuni la conoscono per nome. L’altra è una sua figlia, con una lana particolarmente bella, vispa ma dolce, non come sua sorella che è tremenda. Non ho mai avuto questo problema e non le ho mai viste così. Non so bene cosa fare; sto cercando su internet, ma non trovo niente, ho chiesto all’allevatrice di fiducia che me le ha vendute, e mi ha dato qualche consiglio, ma è difficile spiegare la situazione. “Chiama un veterinario”, sarebbe la risposta ovvia, ma qui non ci sono molti che siano esperti di pecore, è festa, zona rossa, una valle remota, non è detto che vengano e non è detto che risolvano il problema, e se vengono e non risolvono il problema oppure il problema si risolve da sè io ho speso buona parte di un guadagno già esiguo per niente perché i veterinari costano, quindi è chiaro che prima di chiamare magari per niente cerco di risolvere il problema io, ma sono preoccupatissima, sono in ansia.

    Ecco, questo è uno degli aspetti, tra i tanti, della pastorizia, con le sue gioie, i suoi drammi e i suoi dilemmi morali, come ogni mestiere.
    Ma i giornalisti insistono a parlare di Arcadia e di ritorno alla terra, dei pastori come rozzi bifolchi o graziose fanciulle finite lì chissà come. E di idillio uomo-animale, di sintonia, di amore, senza considerare che una pecora non è un animale da compagnia o tuo figlio, a fine anno devi aver guadagnato da lei più di quanto hai speso, altrimenti tu fai fagotto e lei va al macello.
    Voi vi immaginate un articolo su una dottoressa il cui autore si stupisca che la figlia di un medico (o anche un operaio, è uguale) voglia fare proprio quel mestiere, o che anziché chiederle com’è l’ospedale ai tempi del Coronavirus o di cosa hanno bisogno si metta a parlare del fatto che è nera o che è carina o cose del genere? Vi immaginate uno che intervista un politico senza avere la minima idea del suo partito e di cosa ha promesso alle elezioni?
    Ecco: questa schizofrenia mista ad ignoranza nei confronti di chi fa lavori rurali esiste almeno da due secoli e non riesco a credere che ancora non siamo arrivati al punto di pensare che allevare animali è un mestiere come tanti altri, con le sue particolarità, i suoi piaceri e le sue croci, magari anche il suo folklore, ma pur sempre un mestiere? I celeberrimi libri del veterinario James Harriot piacciono non solo perché sono pieni del tipico umorismo inglese (in realtà lui è scozzese) insuperabile, ma anche perché raccontano un mondo a tutto tondo, la fisicità e le emozioni di un parto, i calci delle vacche, le discussioni sulla parcella, le bevute al pub, il rapporto tra allevatore e veterinario, tra apprendista e veterano, la società, la reputazione, i cambiamenti storici… ecco, tutto questo si potrebbe fare anche qui se i nostri scrittori e giornalisti, anziché fare sempre le solite domande (“veeeeeero che si può convivere con l’orso e il lupo??” oppure: “ma perché un laureato….”) passassero davvero del tempo con queste persone, ascoltassero come vivono, che sfide affrontano, come si evolvono, cosa fanno e cosa sanno, e così via… ecco, non sarebbe molto meglio?

  18. ciao Gaia. ho letto con piacere questo tuo post e tutti i successivi commenti. quello che hai scritto mi ha aiutata a mettere a posto alcuni tasselli che non mi tornavano… quando ho saputo la notizia dell’assassinio di Agitu, anch’io ho avuto mille pensieri e ho scritto pure io “di getto” sul mio blog. non tanto sulla notizia in sé, quanto sulla situazione, sulla donna in ambito agricolo, che ha bisogno di tanta forza (e non solo) per andare avanti, che si trova a dover affrontare mille situazioni difficili.
    di Agitu sapevo quello che ci hanno detto i media, avevano creato il personaggio, la sua triste fine ne ha fatto un simbolo. probabilmente, fossi stata geograficamente più vicina, avrei scritto qualcosa di simile a quello che hai scritto tu qui. non trovo che sia “irrispettoso” quello che hai fatto. mi viene da pensare che, se non ci si fosse fermati tutti al simbolo, ma si fosse andati oltre, si fosse grattato prima sotto la superficie, forse le cose sarebbero andate diversamente. ma è sempre facile parlare, dopo…
    grazie ancora delle tue parole

  19. Grazie a te. Anch’io ho letto quello che hai scritto, e mi ha fatto molto riflettere, riconducendolo anche alla mia esperienza. Nel paese dove sono mi sento relativamente al sicuro (non del tutto, purtroppo), ma la carenza di pascoli mi costringerà a spostarmi e ho paura all’idea di trovarmi completamente isolata.
    E questo vale per le donne in tutti i campi, non solo in questo. Alcune notizie che ho letto ultimamente parlano di uomini che vanno proprio in cerca di donne da stuprare, eventualmente torturare, e poi uccidere cercando di non essere scoperti (una, circa un paio di anni fa, era una giovane giornalista, molto brava e all’inizio di una vita che prometteva ogni bene, ed è finita nelle grinfie di un uomo che stava intervistando e aveva organizzato tutto da vero sadico. Lui è in galera, ma lei non c’è più). Sono casi rari, ma non così tanto, ed è davvero terribile come donna non poter essere mai al sicuro.
    Senza contare che esistono donne molto forti (qui ne vedi che si mettono in testa un ‘fasc’ di fieno da decine di chili senza problemi) ma io non sono una di quelle, e non posso farci nulla! Ho sempre bisogno di una mano!

  20. Il tuo articolo Gaia non manca di rispetto ad Agitu poiché, come giustamente ricordi, di una persona che ci ha lasciato vanno ricordate le virtù ma anche gli errori, affinché il tutto, l’insieme di una vita, sia di insegnamento o monito. O almeno, anche io vorrei essere ricordato anche dove ho sbagliato in modo che altri non seguano errati comportamenti o scelte.
    Grazie Gaia per avere scritto in modo dettagliato quanto non è stato toccato nei “commossi” necrologi e artico ideologici comparsi un po’ ovunque. Avevo conosciuto Agitu al Biolife2017 in fiera a Bolzano. Avevo parlato con lei e il suo compagno trentino (al tempo) per quasi un’ora. Ne avevo ricavato una buona impressione (legata anche al fatto che i suoi prodotti erano eccellenti, e sono piuttosto esigente e allenato al gusto nel campo caseario, dalla Danimarca all’Abruzzo) ma avevo capito anche che era molto particolare. Per cui sapere poi che non era stato il massimo della correttezza in alcune vicende non mi ha meravigliato.

    La domanda anche a mio modesto parere non era mal posta: “In cinque anni Agitu come ha fatto a crearsi negozio, grande allevamento, B&B prossimo all’apertura, laboratorio trasformazione, per un valore complessivo potenziale almeno di qualche centinaia di migliaia di Euro?” La domanda è legittima (nel senso anche di: “c’è da imparare da quella esperienza?”) poiché nella mia vita artigian*redazionale, raccontando la vita di allevatori e contadini fin dal ritorno del bio su larga scala in Italia negli anni Ottanta, ho visto per lo più coppie di contadini di cui uno (di solito la moglie) lavorava all’esterno della azienda agricola (preferibilmente in una occupazione sicura di reddito, nella scuola o PA) per poter permettersi semplicemente di acquistare ordinarie attrezzature agricole ed effettuare manutenzioni periodiche alle stesse. Quindi poco oltre la sussistenza pura, come stile di vita in generale. Una famiglia di operai aveva un tenore di vita superiore mediamente. E questo nonostante i contributi vari a partire degli anni Novanta (la regione E-R non era al pari del Trentino ma vicina per erogazioni e agevolazioni) per, ad esempio, il laboratorio di trasformazione. Uno dei vari casi che conosco bene, egli impiegò 20 anni (di durissimo lavoro, e del comparto vinicolo bio, quello a più alta redditività in agricoltura) per crearselo (e con annessi contributi pubblici anche a fondo perduto in parte). Partendo 15 anni prima ancora solo dalla vecchia casa di proprietà del padre e 6 ettari di collina (ora ne ha 10, ma dopo 25 anni).
    Una storia simile, come tempistica per certe realizzazioni, è quella di Claudia di Torcegno e di Paolo di Spera, orticoltrice e produttore di piccoli frutti/miele (entrambi sposati e con famiglia con rispettivamente lui/lei che lavorano fuori dall’azienda agricola). 15 anni di tempo, investimenti, e fatiche, per aprire un punto vendita dei loro prodotti in Borgo Valsugana (la stessa macrovalle di Agitu, la Val dei Mocheni si dirama da Pergine), considerando una entrata di reddito dall’esterno, fondamentale.

    Sembra un po’ una favoletta (che io stesso ho raccontato nel necrologio) che arrivi in Italia con qualche decina di dollari e in 10 anni di duro lavoro (quanti lavorano duramente una vita e rimangono quasi allo stesso punto seppure hanno produttivissimi progetti in cantiere?) crei dal nulla tutto quanto sopra sommariamente descritto. Con questo non si vuole togliere ciò che era il valore (la sua visione, la qualità dei suoi prodotti, sacrifici, ecc) di Agitu. Per non creare falsi miti per cui magari un giovane fa investimenti e sacrifici seguendo un caso, quello di Agitu, che non può essere forse preso a modello perché magari godeva di aiuti, “comprensione” amministrativa, e tolleranza sanzionatoria, non comunemente riservati a tutti gli altri allevatori e produttori.

    Se può essere utile, sennò cancella questa parte lunga del commento, metto riferimenti e alcuni commenti trovati da allevatori trentino-sudtirolesi. Li conosco da tempo e non ho mai letto commenti di invidia per il lavoro altrui, anzi, o invettive gratuite.

    Partiamo dal vicino Mocheno. Già ai tempi del fatto, pur non conoscendo i dettagli, avevo intuito che il razzismo non c’entrava nulla rispetto al contendere della questione. Le sue capre sconfinavano in campi e pascoli di altri, con relativi danni (oltretutto la persona in questione l’aveva aiutata con la sua intera famiglia “ospitando” i formaggi di Agitu per la stagionatura). E quindi, pare, la furbata della Agitu di buttarla sul “razzismo”.
    Commentava, pur apprezzandone le qualità di sacrificio e visione di Agitu, una allevatrice sudtirolese ma trentina di origine: “L’africana credeva di essere in Somalia e portare i suoi usi tra i “montanari ” lasciando che le sue capre razziassero tutto senza rispetto dell’altrui proprietà (300 piante di carpino nero divorate al vicino in questione). Ho sentito di campi coltivati rasi al suolo; il passaggio di un gregge di capre è devastante. Ma l’importante è dare del gretto razzista a chi esagerando si è ribellato. Mi meraviglio della forestale trentina che non l’ abbiano fermata loro, sai le multe che si prendeva in provincia di Bolzano a non badare al suo gregge?“
    https://www.ladige.it/news/cronaca/2018/10/06/capre-agitu-invadenti-io-non-sono-razzista

    I conoscenti del vicino Mocheno scrissero alla stampa, ma solo qualche quotidiano (con commento introduttivo rasente la presunta malafede degli stessi) pubblicarono la lettera: ““ci sentiamo in dovere di parlare di Cornelio, un uomo sicuramente schivo e a volte burbero, ma non certo razzista. La sua casa porta l’impronta della sua grande sensibilità artistica e delle sue doti di scultore. E’ una casa accogliente, che Cornelio e la sua compagna Silvia hanno sempre aperto ad amici di qualsiasi lingua e colore. Abbiamo visto Agitu a casa di Cornelio e Silvia quando la pastora, da poco arrivata in valle, aveva bisogno di aiuto.
    Cornelio e Silvia hanno messo a disposizione la loro cantina e si sono presi cura dei suoi formaggi in sua assenza. Ma allora cosa e’ successo? Cosa ha portato a un cambiamento di scenario? Un problema relativo al pascolo della capre di Agitu, lasciate libere di andare ovunque volessero, compreso il terreno di Cornelio, ha creato incomprensioni reciproche, generando un clima di tensione da entrambe le parti. La signora Agitu ha creato su Cornelio una sua narrativa, quella riportata dai giornali, ha ricevuto il sostegno di tutti i politici, ha avuto ampia visibilità, Cornelio ha il suo racconto dei fatti che nessuno si è premurato di ascoltare, ed è già stato giudicato dai mezzi di informazione prima di un processo.”
    (seguivano 9 nomi e cognomi reali)
    https://www.ildolomiti.it/societa/2018/gli-amici-di-cornelio-coser-non-e-un-razzista-in-passato-aveva-aiutato-agitu-si-tratta

    Ci fu la svolta “inaspettata” nella sentenza finale, tanto che l’avvocato difensore dichiarò moderata soddisfazione: “Aggredì la pastora Agitu, condannato a 9 mesi per lesioni. Ma per Cornelio Coser è caduta l’accusa di stalking aggravato dall’odio razziale.”
    https://www.rainews.it/tgr/trento/articoli/2020/01/tnt-aggressione-agitu-ideo-frassilongo-mocheni-condanna-tribunale-pm-razziale-aggravante-d2a85734-4df7-4f80-a40b-8342d6e1380d.html

    Più di qualcuno diceva al tempo nei commenti su fb (visibile pubblicamente): “La signora in questione: era già stata allontanata da altre zone del Trentino per le sue capre libere di creare problemi (Val di Gresta) si può capire che reazioni ne abbia provocate.” G.C.
    e
    “…preso coscienza del punto 1, la signora è accusabile di danni a proprietà privata causati da animali domestici come prevede l’art. 2052 del codice civile, e di danni ambientali colposi come prevede l’art. 452 del codice penale.
    …tutto questo, se la signorina avesse rispettato alcune normative e alcune regole di buon senso, se lo sarebbe evitato. Le accuse di razzismo non reggono e sono strumentalizzate come nel 90% dei casi italiani.”

    Aggiungo, da testimonianze raccolte in Trentino sull’attività di Agitu. La sua stalla (si vede in un recente video) parrebbe non rispondere agli spazi previsti per Legge. In generale ci si chiede perché per Agitu le sanzioni fossero state così lievi (mancanza tracciabilità ad es.) quando ogni allevatore, piccolo o grande, sa quanto NAS e ASL non guardino in faccia a nessuno di solito. E mettendo in ginocchio aziende, spesso costringendo a chiudere per la mole della sanzione.
    Le capre di Agitu non erano tutte marchiate come da regolamento, così 34 capre furono sequestrate dai Carabinieri.
    https://www.giornaletrentino.it/cronaca/trento/sequestrate-34-capre-ad-agitu-erano-senza-targa-identificativa-1.2032661

    In aggiunta, solo una parte del suo allevamento erano di razza Mochena Pezzata. Domanda, non c’era rischio di incroci poi che vanificassero il progetto del Trentino di preservazione della razza mochena affidato ad Agitu?
    https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=2837842313210311&id=100009537107981&sfnsn=scwspwa

    Mi sono permesso di pubblicare un brano del tuo articolo e relativo link nel gruppo fb di ruralpini. Alcuni non han compreso il senso del tuo intervento ma pazienza. Io ho provato a spiegare cosa avevo capito e condividevo.
    Grazie ancora di esistere, insieme a Marzia da Verona e tutte le altre, e mi raccomando “tin bòta”. Ora soffri ancora di sacrifici e resa non soddisfacente del tuo lavoro ma, purtroppo, presto ogni produttore, agricoltore, allevatore, seppur piccolo ed isolato, avrà un grande valore sul mercato.
    Detto tra noi, anche per me non è stato facile parlare di certi aspetti di una persona che si è vista portare la vita in un modo orribile. Ho ancora il groppo in gola ma il desiderio che altri che seguiranno l’esempio imprenditoriale, molto particolare, di Agitu e magari non cadano preda di delusioni cocenti, supera l’imbarazzo e il timore di scrivere qualcosa di irrispettoso.

  21. (Chiedo scusa a Gaia per il fuori luogo).
    Gentile Marzia
    Tentai di commentare il vs. diario (blog) ma i commenti mi furono messi in spam da WordPress. Utilizzando il modulo che appare nel vs. diario vi chiesi di essere tolto dalla coda di spam, senza successo.
    Marzia, sarebbe possibile che mi togliate dal filtro antispam in modo che possa commentare da voi?
    Ho appena ritentato e, a mio avviso, sono di nuovo vittima del filtro WP…

    Sensazioni agrodolci

    Grazie

    Gaia, perdonami la richiesta, non ho altri canali per comunicare con Marzia.
    Un saluto caro, frute.
    Buondì

  22. 3 Länderesck Raetica – I Tre Confini in Italiano, grazie per la tua testimonianza e per i contributi. Come ho già scritto rispetto ad altri argomenti, la superficialità della stampa, la voglia di ricondurre tutto a un’unica narrazione semplicistica, spesso causano un sacco di problemi – come ad esempio un alto livello di conflittualità e di rancore sociale, o cattive scelte elettorali. È un peccato, anche perché le narrazioni complesse e ricche di sfaccettature secondo me pagano – guarda il successo della serie SanPa, che ha fatto proprio questo. Certo, poi è partito il solito scontro all’italiana tra opposte tifoserie, ma molti hanno apprezzato l’equilibrio e lo spazio dato a punti di vista diversi. Criticare non è demonizzare, anzi, rinunciare a usare il proprio spirito critico e a fare domande è un grosso errore.
    Il discorso della scarsa redditività agricola è molto importante e complesso; ne ho parlato nella mia serie sui contributi poi diventata libro (che spero di iniziare a promuovere appena si potrà andare in giro di nuovo). Per quanto riguarda me, ringrazio per l’incoraggiamento ma la mia situazione è particolarmente impossibile, dato che non ho assolutamente il fisico per fare solo agricoltura e allevamento, né vorrei limitarmi a questo, però come “altro lavoro” ne ho scelto uno che a sua volta non rende niente! Non mi lamento, sono fatta così, non si possono impegnare troppe energie per andare contro alla propria natura.

  23. I fatti riportati da 3 Länderesck Raetica confermano le mie supposizioni: il razzismo anti non solo è grave e diffuso ma, essendo utilizzato come strumento per il lavaggio del cervello dai mass media progressisti (ovvero dal 90% dei mass media) produce giustizia ingiusta, linciaggi ideologici a priori, (uccisione della personalita’ direbbe in inglese Uriel Fanelli) razzismo contro i locali, aggrava l’inquinamento ideologico.

    Gaia, per quanto possa essere grave e propria l’osservazione
    “ossessione per il “razzismo” che domina il dibattito contemporaneo è di una superficialità devastante”
    non corrisponde alla realta’.
    Qui siamo ben oltre la superficialita’, siamo alle omissioni, al falso sistematici il cui scopo è la sinistra manipolazione delle masse attuandone il lavaggio (gramsciano) del cervello in modo da sopprimere sul nascere idee che anche solo non siano allineate alla ortodossia progressista, sì global, razzista anti che impera e imporre i propri piani politici distopici, secondo piani precisi organizzati da oligarchie cosmopolite autoreferenziali e imposte globalmente.
    Leggendo di Cornelio e Silvia riconosco il civismo di persone di montagna che, in genere se ne strabattono delle puttanate ideologiche tipo “razzismo” “xenofobia” concepite da oziosi semicolti nei loro salotti progressisti e che osservano un arrivato nella propria comunita’ fornendo solidarieta’ reale, diretta, con la propria fatica (stagionare e rigovernare i formaggi di Agitu), non certo quella trombonata dai vari predicatori dalle loro terrazze a Portofino, dai loro attici a Nuova York, da sinistri circoli per bene etc. e “applicata” agli altri.
    Queste persone osservano se un ospite si comporta secondo gli usi della comunita’, queste persone interagiscono con gli alloctoni e, in molti casi, devono subirne le malefatte, gli spregi, i menefreghismi, anche i reati, a volte.
    Direi “Niente di nuovo!”, purtroppo.

  24. Sì, ma non dimenticare l’altro lato della questione. Per esperienza so che ci sono, soprattutto in posti come quello in cui vivo io e in cui viveva Agitu, persone così: all’inizio ben disposte, pronte ad aiutarti, che quasi ti spiazzano per la loro gentilezza. Al primo sgarro, anche se in buona fede, anche se addirittura istigato da loro, sono capaci di cambiare volto e scatenare contro di te una ferocia inaudita e senza tregua. Non ti perdoneranno mai, ti renderanno la vita impossibile e, se non li ferma la consapevolezza che le bestie sono innocenti, faranno del male anche a loro.
    Questo per me non è un modello ideale. L’ho conosciuto sulla mia pelle e ne ho visto il potenziale distruttivo.

  25. Gaia

    Gli aspetti caratteriali o di instabilita’ caratteriale fanno parte della natura umana, come le gentilezza, irascibilita’, etc. . e le conseguenze di tutto cio’.
    Altra cosa e’ fare una campagna e ideologica e politica ben precisa prendendo alcuni di questi aspetti (o inventandoseli!) e partecipare all’ennesima puntata di campagne mediatiche ben connotate.

  26. Sì, ma questo atteggiamento implacabile secondo me non è soltanto caratteriale. Sicuramente c’è questa componente, ma io osservo che le comunitè remote e autogestite – dall’Albania all’Islanda medioevale – tendono a dare spazio alla faida e alla vendetta, secondo me come strumento di autodifesa. Se non c’è un’autorità superiore che regolamenta e punisce, io devo difendermi da me con la massima severità possibile, così che qualcuno ci pensi due volte prima di danneggiarmi. Nella pratica a mio giudizio questo non è un buon sistema, ma me lo spiego così. Faccio notare che spesso ci vanno anche di mezzo degli innocenti.

  27. Purtroppo, Gaia, in ogni luogo isolato e idilliaco che si rispetti c’é il prepotente di turno. Anche nel mio villaggio retico ce ne sono due del genere. Un film che ne racconta è “Das Finstere Tal” girato in Val Senales (in Italiano “Lo straniero della valle oscura”). Questione di fortuna, indipendente se ci sei nato o vieni da lontano.
    Tre mini storie su questo aspetto.

    “Lontano”, è tutto relativo, poiché alle ultime elezioni comunali è accaduto un fatto degno di nota.
    Il vecchio Sindaco che aveva retto due mandati e il suo partito SVP (Partito Popolare Sudtirolese) prendono una batosta colossale, pur rimanendo maggioranza, da quelli del SF (Südtiroler Freiheit, indipendentisti sudtirolesi della Klotz). Un po’ perché il vecchio sindaco aveva governato dicendo sì a tutti ma non facendo nulla praticamente di svolta per un comune estesissimo ma con soli 1100 abitanti in sei frazioni a rischio spopolamento. Ma il motivo pregnante della disfatta pare risiedere nel fatto che il nuovo candidato SVP non è originario del comune ma è nato nel capoluogo della Venosta a “ben” 25Km di distanza, con l’aggravante che risiedeva nella frazione (pari abitanti del capoluogo) e non nel capoluogo di comune. Penalizzato perché è foresto, anche se abita nel territorio comunale da 20 anni!

    La stessa Claudia di Torcegno proveniente da 20Km (Levico), citata in un mio commento sopra, sposata con un paesano, mi raccontava dodici anni fa della difficoltà ad inserirsi nel villaggio ben 15 anni dopo dal matrimonio. Per non parlare di quando si mise in testa di fare orticoltura organica! Persino come tirava su i piselli la criticavano. Gli stessi che, di fronte al dibattito se costruire o meno un inceneritore a Trento (non l’hanno fatto e portano a Bolzano gli inerti da bruciare perché alla fine optarono per una differenziata spinta vincente) dicevano: “tasi, basta ciacolare, se l’è da fare fasèmelo che non se ne parli più…”.
    Se i sudtirolesi sono considerati i “marocchini” della Tedeschia, in tal senso, figurati i trentini che soggetti sono 🙂 (Lucio Gardin ne ha fatto dei personaggi radiofonici e televisivi memorabili). In effetti, per questi aspetti mi sono trovato meglio nei villaggi della profonda Germania vivendo in Nord Assia, Algovia e Mare del Nord, durante quei cinque anni. C’è meno quella cattiveria di alcuni soggetti nei villaggi alpini del “tu non sei nulla perché vieni da fuori” e “qualsiasi cosa fai sbagli”. Ma dietro ci sono più spesso invidie perché hai comperato quell’appartamento, quel terreno o cose simili, unito a maggiore egoismo tipico della società moderna. Nella quale le millenarie consuetudini di mutua assistenza si perdono ma senza acquisire qualcosa di sostitutivo e altrettanto valido.

    In Vallelunga, che si diparte dal Lago Resia, una neo sposa, ma non giovanissima, nel 2006 ebbe il privelegio (il rito di accettazione nella comunità) di prendere il tè con le anziane del villaggio (50 case) dopo due anni dal matrimonio con l’allevatore più importante della valle.

    Nel bene e nel male è così. Ma poi, guardando verso la Pianura (Padana) ti rendi conto che da dove vieni è anche peggio, molto peggio. E anche se verrò sempre considerato il terzo italiano (foresto, per giunta) residente in questo piccola comunità per me è la mia vera Heimat, non sarà qualche prepotente a rovinarne la vista sui ghiacciai. Certo, resta il rammarico che, a parte rari casi, se la persona nel mirino non viene supportata spontaneamente. Come nel resto della società, sopratutto italiana, o a contatto con essa, c’è una maggiore arrendevolezza, passività e, diciamolo, vigliaccheria di fondo (acquisita con la “modernità”).

    E poi, ancora ancora se sei una donna ti si aprono diverse porte rispetto ad essere uomo. A quest’ultimo non viene perdonato proprio nulla, sopratutto se foresto.

  28. Ah, ne avrei di storie su questo… ma non posso condividerle tutte pubblicamente 🙂 Comunque le persone sono persone, e se c’è un prepotente se ne accorgono e se hai ragione ti danno ragione. “Ragione” e “torto” ovviamente sono concetti relativi alla cultura locale, ma non è che le persone difendano automaticamente chi è del posto. La realtà è molto più complessa di così… per esempio, magari uno già aveva problemi con il suddetto prepotente, per cui ti dà ragione anche se sei appena arrivato.
    Comunque non sono d’accordo sul discorso donna/uomo. Probabilmente ci sono tantissime variabili, ma ti ricordi Bocca di Rosa? Ecco, quella era una prostituta (o una che andava a letto con tutti gratis, non l’ho mai capito), un caso limite, però una donna in una piccola comunità viene comunque vista con sospetto dalle altre donne: e se questa inizia a rubarci i mariti? Poi dipende se ti metti a fare lavori da donna (cosa comunque vista come arrogante, dato che si suppone che nessuna donna del luogo ti abbia insegnato, quindi che ne sai tu), oppure da uomo, e questo è ancora peggio.
    Io in ogni caso non mi lamento, questa è una comunità coesa che sa essere molto generosa. Faccio solo osservazioni generali perché io per prima non sapevo esistessero certe dinamiche, e ci ho messo anni innanzitutto per rendermene conto, e poi per cercare di razionalizzarle.

  29. LE CAPRE FELICI DIVISE E PORTATE VIA DALLA VALLE DEI MOCHENI
    108,000€ raccolti sull’onda mediatica, da tale Zebenay Jabe Daka, residente in Trento, ma alla pastora Beatrice Zott non è stato dato un centesimo per continuare ad occuparsi delle 80 capre di Agitu. Necessita molto tempo e denaro (per fieno, stalla, ecc.) per accudire un tale numero di capre. Stante la situazione, le capre sono state portate via dalla valle dei Mocheni, la “bella favola”mediatica è terminata.

    Commento di Beatrice Zott:
    “Oggi (19 gennaio 2021, ndr) le capre di Aghi sono state portate via
    Numerosi allevatori hanno preso gli animali in affidamento… Ci si affeziona in così poco tempo… È stato triste vederle su un camion e vederle separare… Auguro agli animali il meglio, ai capretti la giusta e curata attenzione, auguro che trovino qualcuno che si affezioni che provi entusiasmo quando le vede con la pancia tonda, sazie!

    Mi è stato chiesto di accudire gli animali fin quando non si sarebbe presa una decisione… Ed infine mi hanno chiesto di prenderle in affidamento, ma non posso permettermelo, a mie spese non avrei potuto…. Spero di rivederle sulle montagne e sui pascoli della valle dei Mocheni, dove sono nate, dove anche loro hanno oggi lasciato un pezzo di cuore. Io ho chiesto una paga per poter prendere un posto in affitto a Palù del Fersina, essere indipendente e riuscire ad essere vicina alla stalla, e dei soldi per coprire le spese di fieno e affitto della stalla, avrei gestito ottanta capre vicine ai parti e poi le nascite dunque i piccoli che sarebbero stati allevati tenendoli sotto le loro madri, mungendole in parte comunque perché si sa sono capre che in ogni caso fanno tanto latte. Il lavoro era tanto, e si sarebbero dovute gestire due strutture perché grazie poi al comune di fierozzo eravamo pronti a spostare la meta dei capi nella stalla a pochi metri sotto quella di Aghi. Per riuscire a dare i giusti spazi e una sicurezza ai futuri piccoli. Non sono stata capita…. E appoggiata.”

    Dalla pagina della raccolta fondi per Agitu su gofundeme: “Le capre felici – Raccolta fondi per far vivere il sogno di Agitu. –
    Agitu Ideo Gudeta aveva un sogno. Un sogno umile eppure grandissimo. Umile perché aveva messo radici nelle terre incolte di una valle appartata del Trentino. Umile come la capra pezzata mochena in via d’estinzione di cui aveva deciso di prendersi cura. Dalle terre incolte, dalle capre era nato il grande sogno di Agitu, alimentato – come lei ha spesso raccontato – dall’amore: amore per il lavoro, amore per gli animali, amore per il territorio e per un formaggio che cambia il suo sapore e il suo profumo a seconda delle stagioni e della zona di pascolo.
    Il sogno di Agitu oggi è rimasto orfano. Non ha più chi se ne prende cura, chi lo alimenta con la passione e la fatica quotidiane, con la capacità di trasformare l’umiltà in grandezza.
    Oggi Agitu avrebbe compiuto 43 anni. Agi, come la chiamano gli amici, non è stata solo un’imprenditrice di sogni. Per molti è stata un’amica, un esempio, uno stimolo a lavorare insieme per recuperare antichi saperi che, in questo nostro mondo post industriale, hanno avuto un successo imprevisto mostrando una strada, una possibilità di vita che era stata dimenticata. Per onorare la memoria di questa imprenditrice fiera e coraggiosa, per coltivare i suoi progetti, coloro che hanno voluto bene ad Agitu promuovono una raccolta fondi. Il suo gregge di capre non deve essere smantellato, le terre che lei aveva affittato non devono tornare ad essere abbandonate. La sua sapienza nell’arte casearia deve trovare nuovi eredi. A giorni nasceranno i capretti che Agitu allevava con tanta passione. Queste nuove vite chiedono cure e attenzioni, quelle che Agitu non può più dare.
    Inoltre, i fondi verranno utilizzati per aiutare la famiglia a far fronte alle spese del trasferimento della salma in Etiopia.”

    Sembra tutto assurdo vista la disponibilita’ di Beatrice Zott ad accudire le capre, nel giro di pochi giorni.
    É ammissibile si raccolgano dei fondi indicando uno scopo e poi si sbarazzino delle capre? Quale è effettivamente stata la decisione degli eredi di Agitu?
    Perche’ dicono la associazione non sia stata informata della dismissione delle “capre felici”?

    Visto la disponibilità di Beatrice Zott, la continuazione va finanziata, anche perche’ si tratterebbe di finanziare poco, rispetto ai 108.000 euro finora raccolti, che dopo i parti, si munge il latte e l’ attività poi comincerebbe a rendere.

    Chiosa Michele Corti fondatore di ruralalpini, il principale riferimento culturale del mondo rurale e della agrozootecnia di montagna in Italia:
    “Dove sono tutti quelli che volevano che il sogno di Agitu continuasse? Fiumi di inchiostro. E poi nessuno ha sostenuto Beatrice. Certo andava affiancata con qualcuno con esperienza ma , da come erano state presentate le cose da chi voleva farsi bello, pareva fosse possibile andare avanti. Più onesto sarebbe stato fare sapere che il comune e la gente del posto speravano solo che le capre fossero vendute e l’ingombrante vicenda avesse fine. Invece hanno tutti recitato.”

    https://www.giornaletrentino.it/cronaca/valsugana-e-primiero/la-pastorella-beatrice-non-posso-permettermi-di-prendere-in-affidamento-le-capre-di-agitu-1.2661928

  30. Madonna, quanta retorica!!

    Quindi, ricapitolando:
    – sono stati raccolti un sacco di soldi ma non si capisce (a parte il rimpatrio della salma) a cosa servissero
    – queste capre davano fastidio in paese ma la vicenda “era un esempio di integrazione”?
    – queste capre le volevano tutti e hanno subito trovato casa, però Agitu aveva mostrato “una possibilità di vita che era stata dimenticata”. E allora tutti questi pastori da dove saltano fuori?

    Capite perché io protesto?

  31. La risposta del Sindaco di Trento: Franco Ianeselli, del 20.01.2021:
    “Come molti di voi forse già sapranno, le capre di Agitu da ieri non condividono più la stessa stalla in Valle dei Mocheni. Al diffondersi della notizia dello smembramento del gregge, sono state molte le persone che hanno chiesto conto sia del trasferimento delle capre, sia della destinazione degli oltre 100 mila euro raccolti con le donazioni. Credo sia opportuno fare un po’ di chiarezza, per rispetto di chi ha donato e anche per non aggiungere nuove amarezze alla già grande tristezza per una perdita tragica e incolmabile.
    In queste settimane le 82 capre lasciate da Agitu sono state alloggiate all’interno di una stalla (non di proprietà della pastora) e gestite dalla Federazione Allevatori trentini, che ha affidato un incarico retribuito a Beatrice Zott per la cura quotidiana degli animali.
    Con il passare dei giorni si sono presentati due grandi problemi. Il primo: oltre il 60 per cento delle capre sono gravide. Questo significa che a breve il gregge supererà le cento unità e la stalla sarà troppo piccola, con il rischio che le mamme calpestino i piccoli, cosa naturalmente che va evitata.
    Il secondo problema è rappresentato dal blocco dell’acqua, gelata a causa dell’abbassarsi delle temperature. In questa situazione di emergenza, è stato necessario trovare in fretta una soluzione immediatamente percorribile per il bene delle capre. I veterinari dell’Azienda sanitaria e la stessa Federazione allevatori hanno consigliato di affidare il gregge a professionisti del settore, attenti al benessere animale e capaci di prendersi cura dei capretti appena nati.
    È stata chiesta la disponibilità prima agli allevatori della Valle dei Mocheni, poi la ricerca è stata estesa a tutto il Trentino.
    È così che, d’intesa con la famiglia di Agitu, le capre sono state affidate TEMPORANEAMENTE, per un periodo di SEI MESI, ad allevatori della stessa Valle dei Mocheni, di Lavarone, Vallarsa e Brentonico. Si tratta di professionisti, la cui affidabilità è garantita dai veterinari dell’Azienda sanitaria e della stessa Federazione, che vanno ringraziati per la sensibilità con cui hanno risposto all’appello ad accogliere gli animali. Con il gregge al sicuro, in questi mesi potranno essere chiarite tutte le questioni legate all’eredità e alla situazione economica dell’azienda di Agitu e si potrà decidere come procedere.
    Ultimo aspetto: gli oltre 100 mila euro donati non sono ancora stati toccati per il motivo che ad oggi sono indisponibili, visto che la raccolta fondi è ancora aperta. A breve, dopo la sua formalizzazione, si riunirà il comitato – costituito dal presidente del Consiglio comunale Paolo Piccoli, dall’amica di Agitu Elisabetta Nardelli e da un familiare – che avrà non solo il compito di decidere per quali progetti impiegare la cifra, ma anche il dovere di rendicontare fino all’ultimo euro.
    Capiamo la delusione di chi avrebbe voluto tenere insieme, in Valle dei Mocheni, le capre di Agitu. Ma la soluzione temporanea che è stata trovata mira proprio a tutelare gli animali, che potranno essere riuniti in futuro, e a prendere tempo, in attesa che la situazione sia definita e si possa avviare un progetto realistico capace di tener viva la memoria di Agitu e di farsi interprete del suo amore per gli animali e per il territorio.”

  32. Grazie per la precisazione. Così come i genitori si preoccupano, quando i figli sono piccoli, di chi si prenderà cura di loro se dovesse succedere qualcosa al padre e alla madre (o chi ne fa le veci), così anche per chi ha animali c’è questa preoccupazione. Mi colpisce, nel bene e nel male, vedere tutta questa mobilitazione e una raccolta fondi così rapida e sostanziosa per un gregge “famoso”, con tutti gli abbandoni e i maltrattamenti di animali che continuano costantemente e a pochi passi da ognuno di noi. Ma si sa, il potere delle storie sulle menti umani è immenso.
    (Comunque, io mi ricordavo che le capre fossero 180, non 80, e infatti una breve ricerca su internet conferma che ci sono tantissimi articoli che danno questo numero, il che dimostra ancora una volta o che i giornalisti non capiscono niente, o che questa vicenda ha aspetti poco chiari, non loschi, ma sicuramente non ben delineati)

  33. Da quanto è noto, la dichiarazione “chiarificatrice” del Sindaco di Trento (ricordiamolo per la videochat a “corpo ancora caldo” con la Bonino e altri nelle vesti ufficiali del partito sorosiano di +Europa).
    Emerge subito qualche contraddizione:
    – il Sindaco interviene solo a “cose fatte” (le capre sono state divise e tolte dalla custodia della pastora Zott) e solo dopo la protesta montante sul web di richiesta di trasparenza sulla raccolta fondi e il destino delle capre;
    – Il Sindaco dice che la Zott è stata pagata, la Zott già alcuni giorni fa aveva a malincuore rinunciato all’incarico per mancato supporto finanziario e coperture delle spese per l’accudimento delle capre, delle quali molte in prossimità al parto (triplo lavoro). La Zott era stata “investita” in pompa magna attraverso tutti i media possibili. Anche se i 108,000€ (una cifra incredibile racolta in appena 15 giorni, considerando i tempi) sono indiponibili al momento è veramente poco comprensibile come non si sia riusciti ad anticipare alla Zott 5000€ per fronteggiare l’attesa burocratica da gofundme. La Zott era una foglia di fico mediatica per giustifacare la continuazione della raccolta fondi?
    – Se non ricordo male il signore africano (rappresentate di una associazione trentina di immigrati) cui è registrata la rccolta fondi per Agitu non l’ha fatto in veste ufficiale sul sito gofundme ma come persona singola. Il Sindaco di Trento conferma che dietro a questo c’è un comitato etico con un notaio, ecc. ma che non è riuscito ad anticipare alla Zott almeno la coperture delle spese correnti per accudire il gregge.
    – Sulla questione raccolta fondi. Suona veramente grottesco che dopo la morte di una persona si raccolga velocemente una tale cifra che sarebbe stata molto più utile in vita. Dov’era, nelle azioni fattive, il vario arcipelago “pacifista”, della “integrazione”, delle ” donne, prima della morte di Agitu a parte interviste e pacche sulle spalle?
    – sul numero delle capre che si scopre ora essere di 80 e non 180. Forse erano 180 in estate prima delle vendite a fine pascoli alti come di consueto nelle sagre e fiere locali? Oppure l’errore è da addebitare al lancio di agenzia (ANSA, AGI, ADNKRONOS?) iniziale? Il 70% dei media cartacei e online viene prodotto partendo dal copia/incolla dalle agenzia nazionali (il sogno di Gelli nel programma della P2), un 15% scopiazzando dai social, resta veramente poco dall’interno della redazione del media. Per cui, tutto è possibile come alterazione (voluta o meno) della verità dei numeri e dei fatti.
    C’è però da osservare che la stalla in cui si vede operare la Zott con le capre di Agitu, (mi pare) in affitto, è già ritenuta non a norma per gli spazi (secondo esperti del ramo) per l’attuale numero di 80 capre.
    Di certo il numero di 180 dà uno spessore di credibilità maggiore mediaticamente. Ma se il numero totale ha sempre ruotato intorno agli 80 capi, come attualmente, ciò ripropone la quesione della redditività dell’allevamento (con un pastore dipedente dell’azienda) e degli investimenti correlati (negozio, B&B quasi ultimato, ecc). Le domande iniziali di questo post di Gaia.

    Dispace rilevare queste discrepanze e cose non chiarissime e che non si parli di quanto è accaduto ad Agitu su cui ci sarebbe molto da dire insieme a diversi crimini del genere che hanno colpito le donne, e i loro compagni/famiglie, in Italia dall’apertura dei CAS (programmi SPRAR) nel 2015. Non resta esclusa inoltre l’ipotesi di una ritorsione sulla questione del land-grabbing di cui si era occupata in prima persona Agitu e che il motivo del suo allontamento dalla Etiopia nel 2010.

  34. In questo articolo “ufficiale” della comunità eritrea, riportando la narrazione della scrittrice etiope Gabriella Ghermandi, si citano ancora le 180 capre, 4000mq coltivati, 50 galline ovaoiole.
    “Nel 2015 comincia la sua attività in Val dei Mocheni, fa due lavori, con i soldi che guadagna lavorando in un bar compra le capre e mantiene sé stessa. Poi fonda, con i risparmi, “La capra felice”, l’azienda agricola.
    “Un lavoro faricoso che non spaventava Agitu, una donna forte che diceva di dormire dalle 22 alle 4, perché sei ore erano più che sufficienti…”
    “Era una donna che mandava avanti tutto da sola. A gennaio 2020 avrebbe dovuto inaugurare il B&B nel maso vicino alla fattoria. Inaugurazione rimandata per l’emergenza Covid”. Però nelle immagini delle tv locali il B&B era in evidente temporaneo completamento e le misure restrittive Covid sono iniziate a fine febbraio 2020.
    “Lei (Agitu) pensava che nella valle bisognasse fare imprese sostenibile, non predatoria. Per questo motivo aveva individuato terreni demaniali abbandonati e li aveva chiesti in uso. Lì avrebbe fatto pascolare le caprette”.
    https://eritrealive.com/dalletiopia-al-trentino-la-storia-e-lomicidio-di-agitu-gudeta/?fbclid=IwAR3JUOtv7mpIfXjUO5FjlSQ6FKDoG4rRH7-Z3FTRm08IfH1zdEdEptlaygM

  35. Quindi sono sparite cento capre? Comunque penso che siamo tutti d’accordo che la vicenda, approfondendo, diventa più interessante e istruttiva, più complessa.

  36. Da quanto è noto, la dichiarazione “chiarificatrice” del Sindaco di Trento (ricordiamolo per la videochat a “corpo ancora caldo” con la Bonino e altri nelle vesti ufficiali del partito sorosiano di +Europa).
    Emerge subito qualche contraddizione:
    – il Sindaco interviene solo a “cose fatte” (le capre sono state divise e tolte dalla custodia della pastora Zott) e solo dopo la protesta montante sul web di richiesta di trasparenza sulla raccolta fondi e il destino delle capre;
    – Il Sindaco dice che la Zott è stata pagata, la Zott già alcuni giorni fa aveva a malincuore rinunciato all’incarico per mancato supporto finanziario e coperture delle spese per l’accudimento delle capre, delle quali molte in prossimità al parto (triplo lavoro). La Zott era stata “investita” in pompa magna attraverso tutti i media possibili. Anche se i 108,000€ (una cifra incredibile racolta in appena 15 giorni, considerando i tempi) sono indiponibili al momento è veramente poco comprensibile come non si sia riusciti ad anticipare alla Zott 5000€ per fronteggiare l’attesa burocratica da gofundme. La Zott era una foglia di fico mediatica per giustifacare la continuazione della raccolta fondi?
    – Se non ricordo male il signore africano (rappresentate di una associazione trentina di immigrati) cui è registrata la rccolta fondi per Agitu non l’ha fatto in veste ufficiale sul sito gofundme ma come persona singola. Il Sindaco di Trento conferma che dietro a questo c’è un comitato etico con un notaio, ecc. ma che non è riuscito ad anticipare alla Zott almeno la coperture delle spese correnti per accudire il gregge.
    – Sulla questione raccolta fondi. Suona veramente grottesco che dopo la morte di una persona si raccolga velocemente una tale cifra che sarebbe stata molto più utile in vita. Dov’era, nelle azioni fattive, il vario arcipelago “pacifista”, della “integrazione”, delle ” donne, prima della morte di Agitu a parte interviste e pacche sulle spalle?
    – sul numero delle capre che si scopre ora essere di 80 e non 180. Forse erano 180 in estate prima delle vendite a fine pascoli alti come di consueto nelle sagre e fiere locali? Oppure l’errore è da addebitare al lancio di agenzia (ANSA, AGI, ADNKRONOS?) iniziale? Il 70% dei media cartacei e online viene prodotto partendo dal copia/incolla dalle agenzia nazionali (il sogno di Gelli nel programma della P2), un 15% scopiazzando dai social, resta veramente poco dall’interno della redazione del media. Per cui, tutto è possibile come alterazione (voluta o meno) della verità dei numeri e dei fatti.
    C’è però da osservare che la stalla in cui si vede operare la Zott con le capre di Agitu, (mi pare) in affitto, è già ritenuta non a norma per gli spazi (secondo esperti del ramo) per l’attuale numero di 80 capre.
    Di certo il numero di 180 dà uno spessore di credibilità maggiore mediaticamente. Ma se il numero totale ha sempre ruotato intorno agli 80 capi, come attualmente, ciò ripropone la quesione della redditività dell’allevamento (con un pastore dipedente dell’azienda) e degli investimenti correlati (negozio, B&B quasi ultimato, ecc). Le domande iniziali di questo post di Gaia.

  37. D’accordo su tutto, tranne che sull’opportunità di raccogliere fondi “in vita”. Allora si sarebbe dovuto fare per ogni pastore d’Italia! L’attenzione mediatica al progetto aveva già, penso, funzionato come ottima pubblicità – molti la sono andati a trovare dopo averne sentito parlare; se i prodotti, come pare, erano buoni, non dovrebbe servire altro.

  38. I connotati di questa vicenda sembrano prendere forma nel solito conflitto tra città e montagna (Trento e val Fersinea, in questo caso).
    Dopo le “spiegazioni” del Sindaco di Trento sia il Sindaco di Frassilongo (dove viveva Agitu nella canonica del villaggio, non so se in comodato o con affitto convenzionato) che la pastora Beatrice Zott (alla quale erano state affidate le capre il 31 dicembre 2020). Quest’ultima è stata prima portata sull’altare mediatico, poi una volta che a Trento è stata presa la decisione di smembrare il gregge e portarlo via dalla loro naturale zona, la Zott è stata oggetto di articoli e dichiarazioni ai limiti della diffamazione (“è troppo giovane”, “non ha esperienza”, “la pastorella”, “non è in grado”, “mirava solo a mettersi in mostra e andare dalla D’Urso”) dagli stessi media che hanno condito di “razzismo” (prima che si sapesse che l’assassino era un ghanese) e di “femminicidio” la morte di Agitu. Così, uno per tutti, Trentino TV il 20.01: “Hanno trovato altri padroni le caprette di Agitu, la pastora etiope uccisa lo scorso 29 dicembre. Beatrice Zott, la pastorella, che le ha accudite fino a ieri, le ha salutate. Troppo gravoso per lei il compito di prendersene cura definitivamente. Dopo la tragica morte di Agitu, Beatrice, 19 anni, aveva dato la sua disponibilità ad accudire gli animali. Una decisione presa per ricordare concretamente l’amica scomparsa, ma dettata anche dalla passione per gli animali. Purtroppo le buone intenzioni si scontrate (errore verbale nell’originale, ndr) con una realtà ben diversa”.
    Beatrice Zott ha lasciato la scuola d’arte a 16 anni per dedicarsi totalmente al mestiere di pastore. In tre anni ha fatto diverse esperienze in tutto l’arco alpino e ha gestito un gregge di capre e pecore di 200 capi. É inoltre figlia d’arte, da generazioni la sua famiglia fa lo stesso lavoro. Dalla sua intervista sottostante traspare una persona matura conscia delle proprie capacità e della situazione affrontata.

    Sono stati costretti a rilasciare dichiarazioni per la verità sia Beatrice Zott

    che il Sindaco di Frassilongo Stefano Moltrer

    La stalla di Agitu era si effettivamente troppo piccola (a conferma che alcune critiche precedenti non erano campate per aria o frutto di “invidia”) per 80 capre di cui molte prossime al parto ma a pochi passi la comunità di Frassilongo stava attrezzando una vecchia stalla precedentemente ad uso museo. Il problema dell’acqua ghiacciata era in via di risoluzione grazie ai Vigili del Fuoco Volontari locali.
    Inoltre, se veramente il problema era il fredddo perché portare via le capre per sei mesi fino al prossimo agosto? É atteso un anticipo di Era Glaciale di cui non sappiamo nulla?
    Analoghe considerazioni vengono dal Prof. Corti, fondatore di ruralpini.it: “1) perché sulla vicenda capre di Agitu parla il sindaco di Trento e non quello di Frassilongo? Sullo scarso spazio per i capretti OK ma si potevano trasferire in un’altra struttura senza disperdere le madri in mezzo Trentino.
    2) Ma è una motivazione plausibile per la dispersione del gregge il freddo?. Gli scorsi anni non faceva freddo? E poi siamo a 800 m non alta montagna. E le altre capre della valle, cosa fanno? Emigrano in posti più caldi. Mi pare una scusa bella e buona per non raccontare la realtà delle cose. Qualcosa non quadra. Troppa montatura, troppi a sfruttare la tragica fine della povera donna, e poi a fruttare la “pastorella” diciannovenne. Troppe strumentalizzazioni.”

    Una commentatrice su facebook, anch’essa allevatrice, ipotizza: “Queste capre a parer mio sono state vendute ad altri pastori…ma con la scusa della raccolta fondi non può essere svelato..”

    Ci ricaveranno una serie Netflix, ma raccontando non di certo la verità che la cronaca impietosa ci sta mostrando passo dopo passo.

    PS
    La nota sulla mole di fondi raccolti per Agitu post-mortem (poteva trattarsi di qualsiasi altra persona votata ad un progetto meritevole in una valle particolare come quella fersinea) era per evidenziare il perverso meccanismo della “commozione” mediatica scatenata dagli stessi che pubblicano i bollettini di morte per “pandemia” collaborando alla messa in ginocchio di una intera nazione. In Italia, particolarmente, ci si mette in moto, e solo per il tempo soddisfacente il proprio ego/convinzioni, quando un eroe è già morto.

    Guarda Gaia, se in questa vicenda non ci fosse di mezzo una tragedia e altre questioni importanti che riguardano l’identità e l’economia locale fersinea, ci sarebbe da morire dalle risate! Pensa solo i guai che sto passando per aver postato il tuo articolo su ruralalpini. Non da parte del Prof. Corti, fondatore del famoso portale, ma di altri (anche qualcuno in veste ufficiale di una rivista di settore caseario tradizionale) che testualmente: “avreste bisogno di capire perché quel post in quel gruppo era assolutamente fuori luogo”. Sembra un film…

  39. Già, sembra un film, bisogna fare uno sforzo conscio per ricordarsi che c’è di mezzo per l’appunto una tragedia, altrimenti ci si lascia veramente andare alla sceneggiata e ai commenti sulla sceneggiata…
    (Positivo però che la stalla diventata museo stesse tornando stalla… non ne posso più di stalle ristrutturate in montagna, e di stalle vere non se ne trovano!!)

    Curioso: qui se non vieni da almeno una dozzina di generazioni di allevatori di montagna, tutti decidono che non sei capace, anche se lo sei, mentre in Trentino è il contrario, una ragazza con esperienza viene trattata da sprovveduta mentre una persona istruita (sicuramente capace) venuta da fuori non sbagliava un colpo… veramente siamo portati a sovraimporre la nostra visione sulla realtà negando ogni evidenza!
    Se non è fastidioso per te, sarei curiosa di sapere che “guai” stai passando per aver postato il mio articolo. Può piacere o non piacere, può anche sembrare fuori luogo, ma non era niente di così scandaloso, mi sembra che la gente impegni troppe energie a scandalizzarsi per tutto, e troppo poche a fare qualcosa di costruttivo!!

  40. Infatti Gaia sull’introduzione del tuo articolo non concordo, ma sono il tipo che non si ferma alle evidenze o qualcosa che mi torna, badando alla sostanza. Mi è sembrato doveroso diffondere il tuo articolo dove ho ritenuto fosse utile per approfondire aspetti ignorati della vicenda.
    Ma visto che nella parte successiva hai posto questioni non banali, intuendo a distanza e nell’immediato dal tragico epilogo, che poi nell’arco di qualche settimana sono state tutte confermate da fatti precedenti (non conosciuti al grande pubblico) sia a mezzo stampa che da testimonianze dirette in loco. Tra le altre ho ulteriormente scoperto che anche altri masi della Val Fersina (Mocheni è un termine dispregiativo alla Tolomei mi hanno detto, in lingua locale germanofona Bersntol, in tedesco Fersental) allevano capre pezzate locali. Da tutta quanto finora letto avevo capito che Agitu fosse quasi l’unica continuatrice della razza

    Aggiungo che su Agitu avevo scritto un articolo con i dati e le conoscenze che avevo potuto approfondire col colloquio (con Agitu e il suo compagno di allora, Ettore) di tutt’altro tenore. Non mi ha fatto piacere parlare di certi fatti anche passati (stendiamo un velo pietoso sulla raccolta fondi attuale) ma ho sempre creduto che la sintesi dei fatti debba prevalere sulla commozione (spesso pelosa e ipocrita dei 5 minuti da tastiera) che non può mancare comunque di fronte ad un fatto del genere.

    In questi giorni si è aggiunta al coro di “santificazione” (e ripeto, lo direi per qualsiasi persona per contesti simili) anche la trasmissione di Radio1 Mangiafuoco. Ho commentato sulla RAI e in fondo al mio post tematico

    Ho evidenziato in chiusura una vicenda simile:
    “E poi l’africano l’avrebbe uccisa secondo la redazione romana per la “rabbia che aveva dentro”? Magari invece di raccontare favole ideologiche andrebbe indagato sul passato di Agitu riguardo quanto aveva passato per la questione land-grabbing. Recentemente una italiana è stata assassinata e stuprata nella sua residenza all’estero (Portorico mi pare) su commissione per qualche migliaio di euro. Una ritorsione a distanza di tempo non sarebbe da escludere a priori, data anche l’intenzione, più volte reiterata, di Agitu di tornare in Etiopia riprendendo i vecchi progetti interrotti nel 2010 per le minacce che aveva ricevuto (molti dei suoi compagni di lotta furono uccisi) dovette riparare in Trentino dove aveva già studiato all’Università.”

    Sui problemi che ho avuto nel diffondere il tuo articolo nulla di drammatico. Era solo una nota di cronaca. Magari ti dirò in privato dato che alcuni personaggi dell’ambiente dell’allevamento li conosci anche tu, giusto per sapere come la pensano, senza condannare nessuno. C’è una brutta aria di dittatura e non solo da Londra via Roma. Certo che, che alcune persone che stimo tuttora mi scrivano in privato per dirmi che il tuo articolo non andava diffuso e magari cancellato dopo l’avevo postato… non me lo sarei mai immaginato!

  41. Continuo a non capire cosa avesse di così terribile il mio post! (O su cosa tu non fossi d’accordo)
    Riguardo alla ritorsione per il suo attivismo dieci anni fa… tutto è possibile, ma prima di suggerire una cosa del genere dovrebbero esserci almeno degli indizi, altrimenti si può sostenere qualsiasi cosa.

  42. Gaia, questa pagina pone e domande e sensate e non si conforma alla Unica, Superiore Narrazione.
    Poiché la Narrazione è solo uno strumento della geopolitica globale, più o meno la manipolazione (gramsciana fa culturale ma la sostanza sotto è il plagio e la manipolazione delle masse) è propulsa da poteri enormi che non possono non intimorire. La manipolazione non è lieta se qualche mente non si mette all’ammasso.
    E’ solo un piccolo scorcio, una vista dal buco della serratura della dittatura del politicamente corretto omologante.
    Le tue pagine, come questa, sono… “poco eleganti”.
    Grazie a Drei Laenders per le sue testimonianze. Scrive da qualche parte?

  43. @UnUomoinCammino purtroppo ancora sono relegato sui social, in particolare su http://www.facebook.com/3LRaetica (ho introdotto dei tag negli articoli per facilitare la ricerca dei vari articoli ma ora fb ha peggiorato il motore). Questa crisi economica creata ad arte ha pesentamente investito il mio progetto di creare un sito professionale sui Tre Confini, usando poi i social solo per i rilanci in automatico degli articoli originali.

    Per quanto mi riguarda, @Gaia, il tuo articolo mi ha spinto ad indagare sul passato di Agitu e modificare la conclusione della presentazione di un estratto di video che avevo pubblicato. A pormi certe domande che mi erano sfuggite. Il fatto che avevo conosciuto Agitu non mi forse frenato in tal senso “per rispetto”.
    Il punto è che, notoriamente in Italia, qualsiasi discussione diventa uno scontro tra opposte tifoserie. In questo caso si aggiunga il contesto per cui “non si può parlare male dei morti”. Certo risulta curioso che colui che ha postato il tuo articolo su ruralpini (grupp), senza ulteriori commenti, sia stato invitato a cancellarlo. Quanti articoli vengono postati nei gruppi per denunciarne la faziosità? Non è questo il caso, ovviamente.

    L’ipotesi che l’omicidio di Agitu sia il risultato di una ritorsione degli attori dei macro-interssi contro cui si era ribellata non è farina del mio sacco. Ho trovato quella ipotesi nel commento di una donna. Ma un fatto è certo, taluni gruppi di potere politico o economico hanno proprio quello stile mafioso di fartela pagare, platealmente (un omicidio dopo un decennio ad es.) o a “piccole dosi” (es. gang stalking) per tutta la vita.
    Anche se dovesse essere una ipotesi remora sarebbe dovere della magistratura indagare in tutte le direzioni conesse con l’aggressore ghanese. La sua famiglia, o un parente, ha ricevuto o riceverà in un prossimo futuro una cifra favolosa per gli standard africani? Oppure egli può aver saldato il suo conto con il trafficante di umani. Quanti criminali delinquono sapendo di finire in galera ma sapendo che poi all’uscita troveranno il loro “tesoro”. Sempre accaduto anche con le nostre mafie, episodi nei quali un innocente affiliato si addebiti un omicidio per far liberare uno più importante del clan. Raccontato anche nella serie “1993”
    di Stefano d’Accorsi.
    Secondo Europol il costo di un killer in Europa è calato molto, con 10mila euro ora si commissione un omicidio. La causa risiede nell’immigrazione clandestina e anche per la disoccupazione giovanile.
    https://www.independent.ie/news/cost-of-having-someone-killed-across-europe-falls-as-younger-hitmen-blamed-for-violence-40035530.html

    Non concordo in alcuni punti della tua introduzione Gaia. quando parli del femminicidio (statisticamente minore in Italia rispetto a blasonati paesi europei, parlando sempre di dati affidabili pre-2013). Una definizione che fa parte della neolingua dell’Agenda2030 dei nostri vicini di Davos (WEF).
    Quando affermi “innata aggressività (ormoni? o è solo società?) degli uomini” darei una occhiata ai casi di uomini che, per malattia e/o genetica, hanno un basso tasso di testosterone. Poi, chiediti se vorresti a fianco un uomo che non sarebbe in grado di difenderti da una aggressione. Non confoderei l’aggressività con la utile innata combattività.
    Tornando alla statistica. Nessuno rileva i suicidi di uomini collegati a prepotenze e tradimenti della lei di turno in famiglia. Come diceva una mia ex di Trento: “noi donne siamo capaci di una cattiveria che voi uomini non siete neppure in grado di concepire e tanto meno di attuare”.
    Una donna ha generalmente una minore forza fisica (ma contrastare una aggressione spesso è questione più di allenamento e tecnica) ma allo stesso tempo gode di entrature che un uomo, a pari difficoltà, mai avrà nella vita. Non sto parlando di casi in cui una donna fa la “profumaia” (come si dice in Romagna) o si concede in cambio di aiuti o favoritismi. Potrei citardi di diversi casi vissuti direttamente od osservati nei villaggi dove ho vissuto, in Germania, ma ancora più in Sudtirolo. Un uomo da aiutare è comunque un competitore in fondo.
    Inoltre quando parli genericamente del quadro delle aggressioni senza differenziare, e il perché, tra prima del 2013 e dopo. Su scala minore potremmo dire lo stesso tra prima del 1991 e dopo (immigrazione albanese). Grazie alle esperienze nel campo della immigrazione in ruoli di coordinamento ho potuto constatare la dura realtà. Leggere in questo rapporto nel capitodo dedicato allo stupro:

    ESERCITO PROXY DEPORTATO


    Per una buona fetta di africani, ma in minor numero per pachistani, ecc., la donna vale meno di un cane nella loro “cultura”, quando agisce ma sopratutto quando parla. Da loro sei un ganzo se fai lavorare la tua donna.
    Testimonianza di una volontaria di Cesena in Burkina Faso:
    http://sullaviadiniaogho.blogspot.com/2012/03/8-marzo-niaogho.html

    “…accaduto ad Agitu, sarà proprio un uomo scelto per aiutarmi a diventare l’aggressore”. Quello che quasi nessuno dice riguardo questo aspetto. Cosa sapeva Agitu del suo collaboratore? Era uno dei soliti clandestini che avevano pagato almeno 4000$ per giungere in qualche modo fino a Lampedusa. Quella cifra te la paga il tuo clan famigliare o le varie mafie africane. In entrambi i casi devi restituirglila, pena la morte.
    Una percentuale a due cifre dei “migranti” fatti giungere sconsideratamente in Europa, sopratutto se africani, hanno un passato di servizio nell’esercito (con il corollario di episodi di criminalità pura) o peggio in milizie armate. Non pochi sono giunti in Italia dopo aver operato massacri per conto, ad esempio, di Boko Haram.
    Quanto meno Agitu ha fatto un errore di valutazione. In ogni caso nessuna donna pastora di questa area delle Alpi si sarebbe presa in casa un uomo non autoctono. Un autoctono comunque teme la condanna e conseguente isolamento sociale se si comporta male in tale contesto di lavoro. Inoltre, appunto perché Agitu aveva avuto problemi con i vicini (sia in Val di Gresta che della Fersina, ma in alcuni casi aveva lei stessa grosse responsabilità a quanto pare) la scelta di un collaboratore estraneo alla comunità non sarebbe stata comunque una scelta felice alla lunga. A meno che non vuoi pagare un collaboratore 100€ al mese oltre al vitto all’alloggio…

    In alcuni villaggi del Sudtirolo ancora oggi una donna di qualsiasi età non stringe la mano in segno di saluto ad un uomo estraneo. É eccessivo? Ma fa parte di quelle consuetudini per limitare ulteriormente il rischio di aggressioni “per troppi ormoni”. Se un Uomo non è capace di tenere a bada le proprie pulsioni (vale lo stesso per una Donna che si offre al primo che capita o va spezzare famiglie) scende al livello di un animale. A proposito di “gli animali sono migliori di noi”.

    “Credo che un uomo fatichi a capire cosa significa essere donna”.
    Allo stesso modo un uomo è a rischio ancora maggiore di persecuzione da un vicino, magari per appropriasi della di lui proprietà inducendo una fuga per disperazione. Oggigiorno un uomo che vive da solo gode di una credibilità molto minore di una donna. E come mi testimoniò il vice comandante della polizia locale di una grande città emiliana, spesso finisce che la vittima stessa, soprautto se è un uomo, è oggetto di TSO e spoliazione dei diritti civili.

    Le differenze tra Uomini e Donne (poi ci sono quelli e quelle con la minuscola, ma è una loro scelta) ci sono e sempre ci saranno per fortuna. Non è un caso che la sopracitata agenda dei figli di Davos voglia annullare tali sacrosante differenze con l’operazione gender. Che poi si possa far meglio, senza trascendere nella neolingua e in “diritti” (come le quote rosa), mi trovi perfettamente d’accordo.

  44. Metti tanta carne al fuoco, alcune cose sono interessanti, ma non capisco il cuore della tua obiezione.
    Neghi che ci sia un problema di donne uccise da uomini? Oppure pensi che sia da mettere sullo stesso piano delle violenze psicologiche operate da donne contro uomini?
    Se è questo secondo caso, è un’obiezione che ho già sentito e mi pare francamente ridicola. Certo, le donne sanno essere “cattive”. Gli uomini anche. Personalmente sono stata oggetto di offese e manipolazioni psicologiche sia da parte di uomini che di donne, non saprei dire chi è peggio. La differenza fondamentale è che la violenza psicologica è qualcosa da cui è più facile fuggire che da quella fisica, innanzitutto perché, per l’appunto, non comporta costrizione. Semplicemente, metti giù il telefono, o prendi e te ne vai. Non è facile ma si può fare. La violenza fisica, proprio per definizione, comporta l’impossibilità reale di sottrarvisi.
    Leggiti delle storie approfondite delle donne vittime di violenza da parte di uomini. Innanzitutto, la violenza psicologica è sempre presente in questi casi, serve a isolare la vittima e farle credere di meritarsi quello che subisce. Quindi l’idea che le donne siano “più cattive” degli uomini già qui non regge. Se e quando una donna riesce ad andarsene per sottrarsi alla violenza dell’uomo, spesso quest’ultimo la perseguita fino all’aggressione e in molti casi all’omicidio. In questo senso la violenza fisica è peggio: è qualcosa a cui non puoi sottrarti neanche andandotene. Inoltre, è oggettiva. La violenza psicologica è più soggettiva. Esistono dei casi lampanti o estremi, ma in molti altri casi accusare qualcuno di “violenza psicologica” è solo un modo per dire che ci ha fatto soffrire, ma magari è colpa nostra o comunque è il risultato di una nostra interpretazione o scelta (di permetterglielo e di restare).
    Suicidi di uomini per colpa di donne: ecco, qui secondo me sta il cuore del problema e uno dei motivi principali per cui gli uomini sono più violenti con le donne che viceversa (con eccezioni). Di nuovo, al netto di casi estremi – istigazione al suicidio di individui molto fragili, o minacce – difficilmente si attribuisce all’uomo la “colpa” del suicidio di una donna. Esiste nella nostra società una propensione di molti uomini a credere che le donne non abbiano il diritto di lasciarli o scegliere di non stare con loro o anche solo di comportarsi diversamente dalle loro aspettative – da qui la violenza. Solitamente, pur con eccezioni, le donne non usano violenza nei confronti degli uomini che le abbandonano. Queste cose le ho osservate di persona. Una donna abbandonata è furente, ma in rarissimi casi arriva all’aggressione fisica nei confronti dell’uomo che l’ha abbandonata. Molti uomini abbandonati perseguitano le ex fino ad aggredirle, e qui sta il cuore del problema.
    Riguardo al caso di Agitu, non abbiamo gli elementi per sapere esattamente cosa sia successo e perché, ma comunque penso che per un uomo sarebbe stato se non altro più facile difendersi fisicamente, anche se lei probabilmente aveva una forza fisica superiore alla media.

  45. Riguardo al “non vorresti avere un uomo al tuo fianco che sa difenderti”?, ma che discorso è? Vorrei non essere aggredita! Vorrei non aver bisogno di avere sempre un uomo accanto, ma cosa siamo, nel Medioevo?

  46. Mi scuso per gli errori nel mio testo prima di tutto. Mi spiace @Gaia che mi hai risposto in tal modo, forse non hai letto bene quanto ho scritto, avrei dovuto scriverti in privato ma al momento ho qualche problema ad accedere alla casella di posta di 3LR. Qualche decennio fa l’avrei pensata come te poi i fatti e la storia mi hanno fatto ricredere. Se ce la farò ti risponderò in privato sennò usciamo dall’intento del tuo articolo su Agitu.

  47. Dispiace a me che tu sia dispiaciuto, non mi sembrava di essere stata sgarbata e non era niente di personale. Se vuoi puoi scrivermi in privato, se vuoi qui, dato che uno dei temi di quello che ho scritto era la violenza contro le donne (anche se tu non sei d’accordo magari sull’associazione).

  48. Ho citato un commento sopra di 3 Länderesck Raetica a proposito di una pellicola (Tensione superficiale) che penso possa interessarvi. Nel caso doveste vederla, sarei curioso di una vostra opinione, considerate le vostre sensibilità e realtà. 🙂

  49. Grazie della segnalazione. Ovviamente non posso commentare senza averlo visto, se non che 1 la prima volta che ho visto una foto dell’attrice mi ha colpito molto, al di là della bellezza su cui non voglio stare a discutere mi è sembrato un volto particolarmente interessante ed affascinante 2 non si sta formando questo filone di film “meridionale va al nord dove ci sono le nevi perenni e la gente vive in mezzo alle mucche ma in fondo è genuina”, o qualcosa del genere?

  50. Vedo troppo poco cinema per poter dire qualcosa su tale filone “meridionale va al nord tra mucche e nevi”.
    Noto che moltibfilm sono girati a Roma e dintorni (dire per contiguità con il distretto del cinema).
    Qui più “italiana tra sudtirolesi rurali ovvero montanari,” direi. Nel film non emerge in alcun modo che la protagonista sia del sud Italia (sospettavo che la bella mora fosse veneta).

  51. Il mio “dispiace” non era legato alla forma della tua risposta (affatto, non sei mai sgarbata) cara Gaia. Ero dispiaciuto che magari non ci eravamo capiti.
    Il tuo post non aveva nulla di terribile. L’avrei voluto scrivere io così, ma sulla tua prosa sei per me irraggiungibile! Anche se non la pensiamo allo stesso modo sui massimi sistemi ti ammiro molto e sei una forza della natura. Giusto per ribadire che se anche si discute animatamente talvolta ciò non significa che venga intaccato il rispetto e la stima.

    Sull’ipotesi omicidio su commissione il movente possibile lo già descritto sopra. Se non hanno fatto indagini a Trento in quella direzione te li devo fornire io gli indizi? Diciamo però che ho una certa esperienza su fatti circonstanziati e verificati che passano (o sono stati fatti passare) inosservati a chi doveva indagare a fondo per mestiere. Se vuoi, chiamala esperienza e fiuto investigativo.
    Va bene che non pochi “migranti” sono peggio degli animali (e ne ho conosciuti parecchi, ti garantisco), ma il delitto Agitu lascia, nella dinamica almeno raccontata ai media, qualche domanda in sospeso. Pur un assassino che ha prestato servizio in milizie sanguinarie centroafricane o eserciti africani (stessa cosa alla fine) si va a rovinare la vita per qualche centinaia di euro e perché magari non gliela aveva data? Diciamo che nella cronaca criminale italiana prodotta da quelle personcine che vengono dall’Africa sono ben informato da un decennio. Non mi pare di ricordare una efferatezza del genere su migliaia di aggressioni documentate in quel lasso temporale. Si avvicina al delitto della Mastropietro forse (ed era un omicidio su commissione per fini rituali, e forse per colpire lo zio di ambiente NATO). E non ci credo ad un pezzo al “raptus” sopratutto con una dinamica del genere di sfregio bestiale di una donna agonizzante. Mi resta il dubbio, tutto qua, dell’ipotesi di cui sopra.

    Fatto salvo che un “femmicidio” è già troppo. Mi vuoi dire che 111 donne uccise nel 2019 (dati ISTAT, di cui il 88,3% è stata uccisa da una persona conosciuta. Questa percentuale aumentata in una decade per contributo immigrazione) sono una tara nazionale in cima alla lista dei Paesi al Mondo? Se si vuole farne una questione antropologica (secondo la vulgata femminista) si faccia pure ma i numeri dicono altro. Ad ogni modo l’Italia, anche dal punto di vista dei numeri è uno dei più sicuri in Europa e al Mondo: “Ad agosto 2019 – rapporto della Polizia di Stato – è entrata in vigore la legge n. 69, cd “Codice rosso”, che ha innovato e modificato la disciplina penale, sia sostanziale che processuale, della violenza domestica e di genere, corredandola di inasprimenti di sanzione. “Tra le novità –  si legge –  è previsto uno sprint per l’avvio del procedimento penale per alcuni reati: tra gli altri maltrattamenti in famiglia, stalking, violenza sessuale, con l’effetto che saranno adottati più celermente eventuali provvedimenti di protezione delle vittime. Al divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, il giudice può aggiungere l’utilizzo di mezzi elettronici come l’ormai più che collaudato braccialetto elettronico. Il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi viene ricompreso tra quelli che permettono l’applicazione di misure di prevenzione.”
    Non salta agli occhi la mediatizzazione quotidiana (v. “Effetto Notte” di Roberta Giordano su Radio24, un giorno sì e quasi l’altro pure, snocciolava i numeri del “femminicidio”) sia la stessa seguita poi per la narrazione Covid19?
    Quanti decessi ci sono in Italia al giorno? Incidenti domestici, una marea. Così come per incidenti sul lavoro, una strage. Incidenti stradali, siamo al top in Europa. E così continuando per categorie. Un centianaio di delitti all’anno dovrebbero essere la priorità nazionale (certo, meno ce ne sono meglio viviamo, ma il numero zero non esisterà mai né per femminicidio né per altre cause di violenza) o c’è una strategia comunicativa e manipolatoria di fondo? In questo modo le donne vittime di violenza sarebbero uccise due volte, anche dalla menzogna finale cui vogliono portare le “famigerate” società tradizionali. Una strategia globale che non stiamo qui a riassumere nuovamente, già arcistranota.
    https://www.pensierocritico.eu/manipolazioni-statistiche.html

  52. Su “Tensione Superficiale”, film che abbiamo comunque apprezzato (sarebbe bello parlarne in una videochat tra noi tre una sera, ci sono diversi spunti di confronto interessanti), prendo alcuni paragrafi dalla nostra presentazione del film:
    “…peccato che l’ottima fotografia sacrifichi i paesaggi maestosi, magnificamente unici, che abbracciano il Lago Resia, per giustificare il clima oppressivo subito dalla protagonista. La vista dei ghiacciai della Palla Bianca e dell’Ortles semplicemente vengono cancellati.
    Protagonista che, se fosse andata a lavorare a Samnaun (a 30min da Curon Venosta dove viene ambientato il film) si sarebbe risparmiata una scelta contronatura. Una cameriera ai piani prende 30€ l’ora (+mance), e una Zimmermädchen (donna delle pulizie) 26€. In Val Venosta il minimo è intorno ai 15€. 6€ la paga oraria nel film è assolutamente fuori dal mondo e serve solo narrativamente a descrivere quanto siano brutti e cattivi i venostani. In tutto il triangolo retico (Monastero, Venosta, Oberland), inclusa la Val Venosta, la disoccupazione è di fatto inesistente (fino a due anni fa come ben sappiamo) e il tenore di vita è medio alto rispetto ad altre regioni delle Alpi.”
    Ma ne abbiamo parlato anche bene 🙂
    Qui l’integrale della rubrica #3LRcinema

  53. gaiabaracetti

    Chi, secondo te, vorrebbe insabbiare le vere motivazioni di un delitto commesso per i motivi che tu dici, e perché? Dato che fenomeni legati almeno in parte alla migrazione, come terrorismo, mafie d’importazione e tratta di esseri umani sono ben seguiti dalle autorità, perché questo no? Comunque, visto che Agitu era nota e benvoluta da molti, spero che qualcuna di queste persone si batta perché emerga la verità, se un insabbiamento c’è stato, così come le famiglie di vittime di vari tipi di violenza inspiegata o istituzionalizzata, da Stefano Cucchi a Giulio Regeni, da Ilaria Alpi ai familiari delle vittime di Viareggio, si fanno sentire finché giustizia non è fatta.
    Riguardo al femminicidio… l’argomento è enorme e non si esaurisce qui, sottolineo solo due cose.
    1. Il fatto che “esista una legge” non significa che la legge sia sufficiente o neanche che venga applicata. Ci sono un sacco di diritti di cui tu dovresti godere sulla carta – dall’aborto al parcheggio per disabili – che per un motivo o per l’altro, spesso a causa della complicità di chi dovrebbe tutelarli, in grandi aree d’Italia di fatto non esistono. A questo aggiungi il permanere di una forte mentalità maschilista che, da Beppe Grillo che sbraita per difendere suo figlio (e la madre del ragazzo pure…) al conoscente che dice “si vede che lo aveva fatto arrabbiare” di una donna vittima di violenza, continua a scusare in mille modi la violenza fisica o sessuale contro le donne da parte degli uomini.
    2. Il discorso sul “e allora vogliamo parlare di quanti muoiono di…” sa molto di benaltrismo, che è una cosa che io non sopporto, perché se per ogni problema di cui ti occupi devi stare a giustificare la scelta di quel problema rispetto ai tantissimi altri che sicuramente ci sono e che possono legittimamente a qualcuno apparire anche più gravi, non risolverai mai né quel problema né altri. Se molte persone considerano gravi i femminicidi, non ci vedo niente di male se una parte della società e delle istituzioni si occupa di risolvere questi; se a qualcuno sta più a cuore qualcos’altro, anziché sindacare sulla scelta di chi lotta contro i femminicidi costui può impegnarsi perché anche altre questioni vengano prese in esame – e di fatto è così, non è che ci si occupi solo di femminicidio. Sai, ad esempio, che io ho spesso denunciato la pericolosità delle automobili e le boicotto personalmente, e come me ci sarà tanta altra gente che si preoccupa dell’una e dell’altra cosa. Le statistiche sulle “cause di morte” sono importanti, ma non è solo una questione di numeri assoluti. Bisogna vedere chi muore, a che età, cosa è stato fatto per proteggerlo, quanto è atroce ed evitabile la morte, e così via. Di qualcosa bisogna morire, alla fin fine; se un ottantenne muore di cancro o di problemi cardiaci va nelle statistiche, e sicuramente è qualcosa a cui far caso, ma mi sembra meno grave di una trentenne che muore perché l’ex marito non vuole che si rifaccia una vita. Di Covid si muore *nonostante* un enorme dispiegamento di forze, mai visto per una malattia in epoca moderna, e il blocco di gran parte del funzionamento della società; non puoi paragonarlo ai vecchi che muoiono di influenza ogni anno o alla gente che cade dalle scale.

  54. Roberta Giordano, la sera su Radio24 è il peggio del progressismo salottiero da città, una cosa stomachevole.

    Caso Grillo: i giudici facciano il loro lavoro: esiste un filone assai ricco di donne che per vari motivi denunciano stupri inesistenti (solo in RU questo crimine ha una norma che lo punisce).
    Ho scoperto di recente da Uriel Fanelli che in Svezia sono arrivati a considerare stupro un rapporto consenziente se la donna (ha una settimana di tempo) ci ripensa. Il fanatismo porta a questi abomini.

    Contronatura? No. Il mestiere più antico del mondo è tutto meno che contronatura. È così “tuttonatura” che i regimi fondamentalistici (in primis progressisti) peggiori la considerano reato.

  55. gaiabaracetti

    L’intervento di Grillo è grave proprio perché non aspetta che i giudici facciano il loro lavoro, e dà della bugiarda a una ragazza per difendere il proprio figlio, senza che il processo sia concluso.
    Ci sono sicuramente accuse di stupro false. Questo non toglie che ce ne siano (presumo molte di più, ma non ho dati) di vere. Molte persone sono state accusate ingiustamente di pedofilia. Vuol dire che la pedofilia non esiste, o non è un crimine?

  56. Gaia, di casi non risolti, come quella di Agitu (ti ricordo che le multinazionali hanno la memoria èiù lunga delle mafie di cui si servono) è pieno sopratutto in Italia. Ultimo, proprio a Trento quello della Drsa Ginecologa Sara Pedri, originaria della Romagna. Non si trova da inizio marzo e dietro c’è una brutta storia che va ben oltre il mobbing subito. Ne abbiamo parlato nettamente sulla pagina 3LR nell’ultimo mese.
    Sul resto vedo che non ci capiamo, ma è impossibile qui. Solo via voce ci si potrebbe rispondere e comprendere a vicenda giungendo ad una sintesi comune.

Lascia un commento