Il terreno

Vi ricordate che, qualche post fa, vi ho parlato di Misia? Il progetto è meglio che lo lasci spiegare a Elena Tuan, l’ideatrice, perchè è piuttosto articolato e personale; io dirò solo che per ora si concretizza principalmente, ma non esclusivamente, nella vendita di confezioni che contengono un braccialetto fatto da lei e un cartoncino con una poesia (ce ne sono varie tra cui scegliere); così da poter regalare, oltre a un oggetto, anche un pensiero, o più pensieri.

Elena mi ha coinvolta perché le piacevano le mie poesie e perché pensa di inserirle nei filoni che vorrebbe promuovere, la poesia femminile e la “ecopoesia”. Per questo, aveva anche pensato di abbinare alla vendita di confezioni speciali in carta riciclata una donazione a favore della piantagione di alberi. Io le avevo espresso delle perplessità, principalmente perché non mi piace la logica della compensazione (anziché evitare di fare un danno, lo fai e paghi qualcun altro per rimediare), e perché ho letto articoli su come questa pratica non sia benefica quanto sembra – alberi contabilizzati più volte, monocolture spacciate per boschi, conflitti con popolazioni indigene… E poi, le ho detto, a chi li faresti piantare?

Lei la vedeva diversamente, anche perché in queste cose a contare non è solo la pratica in sè ma il significato simbolico che le si assegna. Alla fine ho pensato: se ci tiene a farlo, facciamolo e gli alberi li pianto io! Questo è diventato il nostro accordo.

L’ideale sarebbe piantare alberi al posto dell’asfalto e dei capannoni, ma questa è la cosa più difficile e costosa, per cui comincerò piantando alberi su terreni agricoli da adibire a pascolo, che è già qualcosa. Le ho anche promesso che documenterò ogni piantagione, nel senso di atto di piantare non di estensione piantata, perché, per l’appunto, queste iniziative non esistono come fini a loro stesse ma servono anche da riflessione e testimonianza. Lei in cambio finanzierà il progetto. È molto difficile stabilire un valore monetario per ogni albero piantato, altro mio motivo di perplessità – cosa contabilizzi? La spesa per il terreno? Il lavoro? Il costo della pianta? E se pianti un albero spontaneo che altrimenti sarebbe stato estirpato e spendi meno che se avessi piantato l’albero di un vivaio che ha un impatto ambientale di gran lunga maggiore, devi chiedere di meno o di più? Vale anche il discorso inverso: se uno ha deciso di piantare degli alberi comunque perché ne trae un qualche tipo di beneficio, perché dovresti dargli soldi per farlo?

Questi problemi nascono nel momento in cui si cerca, come si fa spesso nella nostra società, di dare un valore economico a tutto. Persino chi non vorrebbe che fosse così deve esistere in una società in cui il denaro c’è e senza è impossibile sopravvivere. E, finché i meccanismi distorsivi di cui vi ho già parlato altre volte continuano a rendere più economico ciò che è meno ecologico, e viceversa, si pone il problema di come sopravvivere senza distruggere. Questo è un altro senso della compensazione – ti pago per una rinuncia a distruggere.

Intanto io ho iniziato a piantare e scrivere. Ho cominciato con il terreno: ecco qui il primo capitolo.

19 risposte a “Il terreno

  1. Una mia brevissima riflessione, per quel che vale: gli alberi più che piantarli bisognerebbe non estirparli, e magari neppure tagliarli. Se l’ambiente è favorevole vengono su da soli, basta lasciarli stare e lasciarli fare.

  2. Sì, è quello che ho scritto anch’io riguardo ai contributi per il rimboschimento, ma il mio caso è un po’ diverso: se vuoi fare un pascolo alberato, dovresti aspettare molto tempo perché cada un seme e cresca, intanto non potresti usare il pascolo perché un albero così piccolo se lo mangerebbero, e poi non sarebbe l’albero che vuoi tu dove vuoi tu. Inoltre, siccome ci sono pochissime iniziative pubbliche di questo genere, intanto qualcuno dovrà piantare alberi sul suo terreno privato.

  3. Non mi sono spiegato. Piantare gli alberi va benissimo. E’ che poi, indipendentemente dal fatto che siano stati piantati o che siano nati da sè, arriva qualcuno e li taglia, invariabilmente.

    Se piantumerai, tieni presente che gli alberelli appena trapiantati non possono essere messi lì e dimenticati, se non al prezzo di vederne morire una percentuale che dipende da come “gira” l’annata. Dovrai star loro dietro almeno per due o tre anni, tenendone d’occhio le condizioni almeno per bagnarli di quando in quando e per tutelarli contro le aggressioni da parte di lepri e altri selvatici “aggressivi” che tenderanno a mangiare la corteccia alla loro base. Da piccoli, sono anche molto suscettibili ai parassiti e alle malattie.

    Non è che voglio fare il saputo, ché non so niente del tutto, però è così – l’ho già visto accadere in situazioni non uniche, né isolate.

  4. Nel concetto, concordo con Ugo.
    Aggiungo che piantare alberi in aree a coltivazione intensiva o aree edificate/industriali può avere qualche effetto migliorativo per paesaggio ed ambiente, farlo su un pascolo può addirittura avere effetti opposti.
    Infine, la logica della compensazione è diversa, oppure servirebbero termini diversi per distinguere due concetti diversi.

  5. Ugo e Ale0, non sono scema, lo so che non basta piantarli gli alberi, bisogna starci dietro, soprattutto all’inizio.
    Ale0, come ho scritto, l’area è da destinare a pascolo, non è ancora un pascolo, è un’area incolta (coltivata recentemente) che probabilmente sarebbe stata destinata a monocolture, come tutte le aree coltivate circostanti. Per favore leggete tutto prima di commentare.
    Riguardo agli effetti opposti, perché, dici? Puoi motivare la tua affermazione? C’era uno studio abbastanza pubblicizzato, non molto tempo fa, che proponeva di piantare alberi proprio nei pascoli per abbattere globalmente le emissioni di CO2. Ricordo di averlo trovato discutibile (perché prendersela proprio con i pascoli e non con tutto il resto?), però si basava su dei calcoli scientifici e comunque i pascoli hanno bisogno di alberi, per il benessere animale, come fonte di foraggio in momenti critici, per ridurre il consumo d’acqua, variare la produzione e aumentare la biodiversità. Riguardo alle aree edificate e industriali, purtroppo costano ancora di più dei terreni agricoli, sia al momento dell’acquisto che in tasse, per cui io non posso farlo. Come ho scritto in passato, di solito la natura quei posti se li riprende da sola, e con effetti spettacolari, almeno finché un costruttore non riesce a farsi dare il permesso e i soldi per buttare giù tutto e “riqualificare”.
    Se vuoi puoi sostenere l’iniziativa mia e di Elena, così magari un giorno pianterò anche in città.

  6. Gent. Gaia, il tuo pezzo di cui hai postato il link qui sopra solleva una certa perplessità riguardo un problema importante: come si concilia il lasciare l’erba molto alta in un prato con la necessità di proteggersi dalle zecche? Poi ho visto che il Friuli è una zona ad alto rischio per malattia di Lyme. Lo dico non per tirartela, ma per fare attenzione

  7. Hans, pensare di tagliare tutta l’erba del Friuli come strategia antizecche mi sembra completamente irrealistico. Tanto più che se vuoi fare pascolo o fieno l’erba un po’ devi lasciarla crescere, per cui per eliminare il rischio secondo la strategia che proponi tu dovresti praticamente distruggere tutto l’allevamento di erbivori (mucche, pecore, capre, cavalli, asini, conigli, alpaca…) in Friuli Venezia Giulia, distruggere i prati stabili e anche i pascoli per erbivori selvatici quali i caprioli. Non mi sembra tanto sensato.
    Sull’espansione delle zecche e l’arrivo del morbo di Lyme ci sono varie teorie e non sono un’esperta; mi sembra che la strategia migliore finora sia proteggersi individualmente con abiti lunghi e con repellenti, controllarsi spesso, imparare a togliersi le zecche, vaccinarsi contro l’encefalite da zecca, conoscere i segni di un’infezione ed eventualmente offrire test gratuiti (sospettando un’infezione di Lyme due anni fa ho chiesto un esame del sangue e l’ho pagato così tanto, nell’ospedale pubblico, che ci penserò due volte prima di rifarlo).

  8. Ah, dimenticavo la cosa più ovvia: nessuno dovrebbe camminare su questo terreno! Ci ho messo tanto a capirlo anch’io, da cittadina, ma NON SI CALPESTANO I PRATI a meno che non siano pubblici o che non si sia ragionevolmente sicuri di poterlo fare senza dare fastidio. L’erba calpestata diventa impossibile da falciare e gli escrementi di cani e gatti rovinano il pascolo e anche il fieno fino a renderlo inutilizzabile. Non è bello da dire, lo so, ma un conto è passeggiare in campagna stando sui sentieri o tra i solchi o nelle aree incolte, un conto intralciare il lavoro altrui. Poi ovviamente io accompagno chiunque venga con me a vedere i posti, ma sapendo dove è meglio passare e dove no.

  9. Avevo già letto tutto prima di commentare. Lo “starci dietro” si da per scontato. Quanto detto sopra solleva implicitamente temi quali progetto, ecotipi, valore dei biotopi.
    Il valore ecosistemico di un incolto o un prato può essere ben maggiore di una area piantumata ad alberi. Peccato che la cultura antropocentrica ci porti a pensare il contrario grazie a campagne “pianta un albero”, mai “lascia un incolto”, “adotta un prato”, “conserva aree umide”, etc.

    Per quanto riguarda la tua area, innanzitutto complimenti per l’acquisto. Che la tua area sia un incolto, si capisce immediatamente da un semplice sguardo all’associazione vegetale visibile nella foto. Se la gestione seguisse alcuni criteri, potrebbe essere di per sè meritevole di sostegno, senza bisogno di piantare alcun albero. Per poter dire altro, servirebbe uno studio di quanto presente e del contesto intorno.

    La tua iniziativa la sostengo da decenni investendo direttamente nella naturalizzazione di aree industriali o sottratte alla coltivazione intensiva. Se acquisterò un braccialetto poetico, lo farò per il piacere di leggere belle poesie scritte in una bella confezione.

  10. In realtà localmente ci sono state campagne a sostegno dei prati stabili, se non erro per iniziativa, anche, di Roberto Pizzutti del WWF, e non solo. Poi c’è chi obietta che i prati stabili sono artificiali perché si mantengono solo grazie allo sfalcio; in natura questo mantenimento lo fanno i grandi erbivori, ma per il momento in Friuli ci sono pochissime zone dove è pensabile di introdurre grandi erbivori selvatici (l’Isola della Cona ha i cavalli, ma non so come li gestiscano). Siamo tanti con tante esigenze e lo spazio è poco. E distinguere cosa è meglio e cosa più naturale e cosa più ecologico e se valga di più la stabilità o la biodiversità ci porta in gineprai infiniti e discussioni di valore, e antropocentrismo… giusto parlarne, ma nessuno ha la verità in tasca.
    Elena voleva piantare alberi, per cui l’iniziativa è quella. Comunque la prima cosa che ho scritto è sul prato stesso proprio per sottolineare che non esistono solo gli alberi.
    Ci sono limiti a quello che un privato può fare, a meno che non sia, che so, il fondatore del marchio Patagonia e questo gli dia i soldi per comprarsi direttamente la Patagonia.
    Sul fatto di comprare un prodotto per il prodotto, e tenere le iniziative ecologiche separate, era una mia perplessità iniziale come ho citato nel post, ma si tratta in ogni caso di una cosa molto piccola il cui scopo è anche sensibilizzare, per cui speriamo abbia un impatto se non altro comunicativo. Il contributo mi aiuta anche a trovare il tempo per scrivere di quello che faccio e spero che questo impatto vada al di là degli alberi individuali che posso piantare, che comunque sembrano già molto contenti di non essere più in vaso.

  11. > proponeva di piantare alberi proprio nei pascoli

    Sarà qualche stramberia di uno o più artificializzati urbani, magari vegani.
    Il problema non è il tumore di asfalto e cemento, le conurbazioni, la diarrea (anti)urbanistica ma i… pascoli. Sigh!

  12. > soldi per comprarsi direttamente la Patagonia.

    Latifondi, ex aree industriali, zona Cernobil, aree militari, tutto ciò che esclude altri umani ha effetti meravigliosi in termini di rinascimento biologico.
    Ancora una volta la narrazione sinistra “dei diritti”, dell’ecologia socialmente sostenibile, delle uguaglianze, etc. si dimostra ciò che è, una catasta colossale di falsi e cretinate (a proposito di narrazione, Amedeo Franco ha scoperchiato l’ennesimo merdaio della magistratura golpista).
    Per la natura il massimo è togliere gli umani ad iniziare dalla demolizione o dal degradarsi per mancanza di manutenzione delle infrastrutture che ne permettono l’arrivo e/o la permanenza.
    Immaginate che meraviglia se un teraliardario si comprasse metà pianura Padana e la lasciasse rimorchiare,a foresta primordiale (tipo micro aree residuali come Bosco della Fontana o della Mesola)
    Anche solo in termini di abbattimento degli inquinanti che la soffocano per nove mesi all’anno.

  13. gaiabaracetti

    Bè… dipende. Immagina di andare in una montagna alpina da cui sono stati cacciati tutti i suoi abitanti. Intanto, non ci vai, perché nessuno fa e ripara più le strade. Ti perdi, perché nessuno mantiene e segnala i sentieri. Non puoi ammirare neanche un borgo, non puoi fermarti a rifocillarti in un bar o in una malga. È possibile che tu venga attaccato da un lupo o un orso, che giustamente ti vedono come preda.
    È bello pensare che una parte del mondo sia così, ma non tutto! Almeno finché ci sono ancora esseri umani. E, per l’appunto, finché non si saranno estinti tutti gli esseri umani (quindi anche me e te), la gente di qualcosa deve pur campare. La cacci dalla sua terra, dove magari viveva con un certo equilibrio, va solo a consumare risorse e ad ammassarsi altrove.
    Ricordati poi che il miliardario diventa tale a suon di fabbriche (attive), trasporti, produzione e commercio, gente che compra la sua roba, e così via, e se con una parte di quei soldi protegge la natura, devi chiederti cosa fa con il resto (consuma cento volte me e te) e come sono stati prodotti quei soldi.
    Riduzione demografica più indolore possibile, sì, esaltazione delle diseguaglianze estreme, no.
    Riguardo alla pianura Padana, nessuno più di me prova orrore per quello che è diventata, ma ti ricordo che è anche la zona più ricca d’Italia, non la più povera, e, come se non bastasse, i ricchi che sono diventati ricchi devastando la pianura Padana poi vanno anche in vacanza e hanno le seconde case nei posti meno malconci.

  14. No, non c’è alcun bisogno di scacciare perché i luoghi montani si stanno spopolando da decenni.
    Il fatto che io o altri non possano accedervi per la natura non solo non ha alcuna importanza ma è meglio, Gaia.
    Di recente ho scritto che la montagna deserta di umani mi mette una certa malinconia.

  15. gaiabaracetti

    Leggendo alcuni interventi sul sito ruralpini ho iniziato a vedere le cose da un altro punto di vista. Le esigenze di chi della montagna vive (agricoltori, allevatori, pastori, artigiani) spesso contrastano con quelle sia del turismo che del rinselvatichimento coatto (come la reintroduzione di animali scomparsi). Non prendo parti nette, perché non sono neanche sostenitrice della presenza umana ad oltranza, però sono d’accordo sul fatto che spesso si sacrificano le persone che vivono in un luogo per far posto alla natura selvatica, magari per iniziativa di chi vive in ambienti super-antropizzati e da essi trae la propria ricchezza, ma vuole coltivare la fantasia di luoghi “selvaggi” a spese di altri, che invece in quei luoghi vivono e che con essi sono abituati a interagire. Un altro esempio:
    https://www.recommon.org/turning-forests-into-hotels-lultima-pubblicazione-di-recommon/

  16. E’ una questione complessa.
    Ad esempio, conosco il modello “Südtirol”: essi sono storicamente molto “attaccati” alle loro montagne e c’e’ una tradizione storica di politica (e pure di norme, in primis la legge teresiana del “maso chiuso”) che sostengono e favoriscono la permamenza delle loro genti tra i monti.
    Servizi, turismo, politica, leggi, appartamenti quasi lussuosi per i maestri delle scuole primarei nei paesini, etc., una macchina quasi perfetta.
    Quasi.
    Specie se paragonato al nulla per le nostre zone montuose italiche: no servizi, chiusura ospedali, chiusura esercizi, chiusura infrastrutture viarie (v. commento qui di Tommaso Biagini “da 8 anni la strada provinciale che collegava questo importante passo alla Lunigiana e quindi alla Toscana è crollata in un paio di punti e mai più rifatta”) non banda larga, no copertura cellulare, etc. .
    Qual’è il risultato? Che in Alto Adige c’e’ talvolta un ambiente piu’ antropico che naturale, impianti di risalita, rifugi (?) a 5 stelle in quota, strade fatte per poterci arrivare, piani continui di aperture di nuove strade, abbattimento di predatori, turismo di massa (certo, non sono i milioni del divertimentificio romagnolo, sono centinaia di migliaia, ma in posti stretti in montagna il risultato e’ lo stesso, ad iniziare da code e traffico) etc. . In Trentino modello del tutto simili, forse peggio in quanto, in Alto Adige, la cultura e la presenza contadine sono ancora presenti e piu’ attive, piu diffuse).
    Certo, tutto fatto con cura e attenzione, nuove casette in stile ben coibentate, col legno ben lavorato e i gerani. Ormai ci sono delle piccole “belle” orribili conurbazioni (e.g tra Lana, Merano e Foresta, intorno a Bolzano) la popolazione dell’Alto Adige e’,,, raddoppiata dal dopoguerra!! (sigh).
    Ma… e’ piu’ un parco rurale che natura.
    Lo stesso Messner (esponente di Mountain Wilderness, non lo so se lo sia ancora) fu critico con alcune questioni
    Col tempo io penso che il modello italiano, in cui ci sono alcune persone in gamba (come la nostra ospite! 🙂 che vivono la montagna in una certa maniera, sia MOLTO meglio.
    Pochi e in gamba meglio che molti e talvolta non cosi’ in gamba!
    Sono tornato dai Sibillini, sia umbri che marghigiani, una zona in forte spopolamento e di florida natura esplosiva, mi pare che ci sia una presenza contadina, di nuovi Contadini, bio e non solo, che integrano con altri redditi (ospitalita’ diffusa, cucina prodotti, maneggi, etc.) molto piu’ sostenibilil (ovvero meno insostenibili) rispetto al lindo paradiso costipato sudtirolese.
    Prima o poi verro’ in Carnia, cara Gaia! Altro cantone meraviglioso della nostra Bella e splendida Italia.

  17. > spesso si sacrificano le persone che vivono in un luogo per far posto alla natura selvatica, magari per iniziativa di chi vive in ambienti super-antropizzati

    Questo e’ la chiave di volta del problema.
    Tumori urbani sempre piu’ distopici e artificializzati che vivono (male) in essi che tendono a considerare le zone rurali come loro parco divertimenti / riserva naturale / fiabifici waltdisneyzzati.
    Quale sarebbe la cura? Ridurre la popolazione in citta’ (che purtroppo aumenta sempre piu’ ora per invasione migratoria di prolifici stranieri e per urbanismo di italiani non cosi’ residuale sempre attivo).
    Starei per scrivere “e di giardinizzare, alberare le citta’~ ma mi immagino quale potrebbe essere il risultato se gia’ ora, molte orribilli citta’ alimentano l’urbanismo, quale questo potrebbe diventare se le citta’ diventassero meno brutte con aggiunte abbondanti di verde, etc. ).

    Si torna poi ad un tema di questa pagina, ovvero quello di naturalizzare (se si come?) orribili estensioni tumorali di luoghi biologicamente (e pure estericamente) morti e necrofili, nelle citta’ / conurbazioni.

    H visto alcuni refusi qui e la’, scrivo velocemente in pausa pranzo. Chiedo scusa.

  18. Per me quello delle province di Trento e Bolzano non è assolutamente un modello da copiare. Per i residenti i costi sono altissimi, persino i turisti si lamentano di quanta gente c’è, e tutto mi sa di parco divertimenti più che di vita vera. Anche la montagna veneta e alcune zone di quella friulana e carnica sono così.
    Il discorso dell’abbattimento dei predatori è diverso perché quello lo devi fare in ogni caso, anche se hai una sola persona che vive lì, perché si riproducono e prima o poi sono troppi per poter avere anche una minima presenza umana. Infatti che io sappia tutte le società umane che vivono delle proprie risorse locali abbattono o scacciano alcuni predatori e altri animali selvatici, altrimenti non sopravvivi.
    Il fatto di integrare i redditi con altre attività va bene se è una scelta, ma non dev’essere un obbligo: che non sia possibile vivere di sola produzione alimentare è veramente un assurdo del nostro tempo.

  19. Io comincerei con i fiumi. Nessuno dovrebbe vivere troppo vicino ai fiumi, dato che è pericoloso, e neanche coltivare. Sono zone che dovrebbe essere abbastanza facile recuperare. Leggi e controlli per evitare che siano inquinati, e aumento del costo dell’acqua e campagne serie di sensibilizzazione per ridurre gli sprechi industriali, agricoli e urbani, così da ridurre anche il prelievo. Se ce la fai (e non è facile), poi dici ai cittadini di venire a vedere che bello è un fiume, e speri che accettino iniziative simili in altri luoghi.
    Inoltre ho proposto di tassare di più le case in base all’estensione, non solo al valore: ci sono proprietà enormi in campagna e la gente che falcia il prato con il tosaerba per farci correre il cane. Vuoi vivere così? Paghi.

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