la decrescita

Mi ricordo bene, un paio di anni fa, che quando parlavo delle teorie che per comodità riassumo sotto il nome di decrescita * (riduzione dei consumi e degli orari di lavoro, produzione locale, convivialità, messa in discussione della crescita a tutti i costi…), la gente mi rispondeva: sì, avrai anche ragione, ma tu sei pazza, non succederà mai.

Ora sembra diventata quasi una moda: le energie rinnovabili, l’usato, il riciclato, le fonti alternative, i mercati contadini, la bioedilizia, e via dicendo. Per un periodo, di recente, tutti parlavano di “quel tizio su MTV che fa l’ecovillaggio a Raveo, hai sentito?”; l”altro giorno ho visto in tv Fabrizio Frizzi che intervistava una donna (una sportiva, diceva mia madre, ma non ne siamo sicure) che diceva: adesso vivo a impatto zero. A parte che è impossibile vivere a impatto zero, a meno che tu non chieda a qualcuno di ucciderti e buttarti in una fossa, visto che anche la sepoltura ha un costo ambientale, comunque lì ho capito, ormai chi più ne ha più ne metta, vogliamo tutti essere come i puffi (qui invece un’idea già più interessante, soprattutto nelle sue osservazioni sulla famiglia, anche se io credo nel cambiare la società da dentro piuttosto che organizzare qualcosa di così separato, ma non ne so abbastanza).

Il punto è che questo tipo di approccio dovrebbe essere olistico, e collettivo -non una serie di azioni slegate per lavarsi la coscienza, ma un ripensamento d’insieme di tutta la nostra economia e società. Non vale essere star di Hollywood e mettere scarpe di plastica per non uccidere i vitellini, o avere tre ville ma isolate termicamente, per fare gli esempi più estremi. Oppure riempire i campi di pannelli solari o coltivare colza per bruciarla, invece di lavorare sul risparmio energetico! O pensiamo alla bioedilizia: ci sono tanti esempi interessanti, ma che senso ha costruire una casa super ecologica e non considerare come risorsa non rinnovabile il territorio? Oppure andare in una boutique che vende oggetti riciclati, e farsi incartare un regalo di Natale?

A proposito. Io odio questo carrozzone mostruoso che è il Natale, anche se ogni anno mi fa guadagnare dei soldi in più; odio in particolar modo l’idea che tu debba comprare qualcosa (spesso inutile) a tutti quelli che conosci, se no si offendono. E poi incartarlo in belle confezioni che verranno strappate e gettate fra pochi giorni. Ho sentito una signora pontificare in bar l’altro giorno: le persone non ci tengono più, alle cose belle, lamentando la poca cura dei pacchetti. Sa cosa è ancora meno bello di un regalo non incarcato, signora? Una discarica.

* ho messo il link alla pagina di wikipedia, ho visto che c’è anche questo sito ma non lo conoscevo

13 risposte a “la decrescita

  1. Tratto da «Le Scienze» (aprile 2010): l’articolo è ‘Sconfiggere il mito della crescita’ di Bill McKibben; a pagina 55 è possibile leggere:
    …Chi ha mai sognato che la crescita potesse finire? In realtà qualcuno l’ha fatto. In un’epoca molto diversa, quando Lyndon Baines Johnson era presidente, nella primavera dell’assassinio di Martin Luther King e del debutto del musical Hair a Broadway, alcuni industriali e scienziati europei si erano incontrati in una villa della capitale italiana. Il piccolo gruppo – il Club di Roma – voleva esaminare le tendenze globali generali, e aveva commissionato un rapporto a una squadra di giovani analisti del Massachusetts Institute of Technology.
    Nel 1972, quando gli analisti avevano terminato il lavoro e pubblicato il rapporto I limiti dello sviluppo, era già stato celebrato il primo Earth Day, e Richard Nixon aveva creato l’Environmental Protection Agency. Ma pochi eventi nella storia dell’ambiente erano stati più importanti della pubblicazione di quel documento, tradotto in 30 lingue e venduto in 30 milioni di copie. Il gruppo di analisti aveva tratto tre conclusioni:
    « 1. Nell’ipotesi che l’attuale linea di sviluppo continui inalterata nei cinque settori fondamentali (popolazione, industrializzazione, inquinamento, produzione di alimenti, consumo delle risorse naturali), l’umanità è destinata a raggiungere i limiti naturali dello sviluppo entro i prossimi 100 anni. Il risultato più probabile sarà un improvviso, incontrollabile declino del livello di popolazione e del sistema industriale.
    2. E’ possibile modificare questa linea di sviluppo e determinare una condizione di stabilità ecologica ed economica in grado di protrarsi nel futuro. La condizione di equilibrio globale potrebbe essere definita in modo che vengano soddisfatti i bisogni materiali degli abitanti della Terra e che ognuno abbia le stesse opportunità di realizzare compiutamente il proprio potenziale umano.
    3. Se l’umanità opterà per questa seconda alternativa, invece che per la prima, le probabilità di successo saranno tanto maggiori quanto prima essa comincerà ad operare in questa direzione» (pag. 32, I limiti dello sviluppo, Mondadori, 1972).
    Rileggendolo ora, stupisce quanto siamo andati vicino ad ascoltare il loro messaggio. In tutto il mondo si agiva per rallentare la crescita della popolazione; l’istruzione femminile era risultata la strategia migliore, e così in breve tempo si era passati da una media di oltre sei figli per donna a meno di tre. Stavamo attenti: erano gli anni delle prime crisi petrolifere, dei primi incidenti delle petroliere, le prime norme per limitare il consumo delle automobili. Accidenti, erano gli anni del limite di velocità, quando abbiamo davvero rallentato la nostra mobilità in nome della conservazione. Nei tardi anni settanta, gli statunitensi contrari alla crescita economica continua erano più numerosi di quelli a favore. Oggi ci sembra impossibile. In realtà, abbiamo avuto una momentanea opportunità di cambiare rotta, di navigare lontano dagli scogli.
    E, naturalmente, non l’abbiamo fatto…

    Quando ho letto questo articolo sono rimasto di sasso. Nel 1972 io avevo 3 anni, e già da allora si dimostrava la necessità e l’urgenza di dare una brusca sterzata alla direzione dello sviluppo globale. Ora ne ho 41, ne è passata di acqua (e di esperti della eco-sostenibilità) sotto i ponti, ma continuiamo a parlare dello stesso problema, mentre il contesto è peggiorato sensibilmente. Per me – a questo punto – è come dici tu: diviene una questione di cultura. Se dall’alto non si ha la capacità di imprimere questa svolta, dobbiamo mettere in moto il volano partendo dal basso, cominciando a farlo noi e insegnandolo ai nostri figli. Se non vogliamo farlo per noi, almeno cerchiamo di farlo per loro: anche perché abbiamo la Terra non in eredità dai nostri genitori, ma in momentaneo prestito dai nostri figli.

  2. allora si potrebbe citare il discorso di Kennedy del ’68 (http://www.ecopolis.org/bob-kennedy-on-gdp/)
    da qualche parte ci dev’essere una storia dell’ambientalismo che parta non da decenni, ma secoli o millenni fa. in fondo non c’è niente di COSI’ nuovo, solo che adesso siamo più di sei miliardi
    (e a proposito della crescita della popolazione, quando saremo riusciti a liberarci di questa miope retorica del crescete e moltiplicatevi, che continua a farla da padrona sui media e mi sembra anche tra la gente, sarà sempre troppo tardi)

  3. Grazie per il link al discorso di Bob Kennedy, che mi era assolutamente sconosciuto. Sono d’accordo con te che non ci sia niente di così nuovo; mi ha solo colpito, quando ho letto l’articolo, che la questione era molto ben chiara a chi si trovava nella stanza dei bottoni già quasi mezzo secolo fa!
    A mio avviso, il problema è culturale proprio per questo motivo: quando tutta la cultura dominante (sic!) è quella del «sacro shopping», come tu noti nel post di oggi [per cui bisogna tranquillizzare i cittadini – ooops, scusa, intendevo dire i… consumatori – perché non devono preoccuparsi delle sorti del mondo, ma unicamente spendere e spandere nella loro beata ignoranza], allora è naturale che gli anni passino senza che succeda niente. Mi meraviglierei del contrario. *NON* deve succedere niente, altrimenti c’è qualcuno nella filiera che non è in crescita… il produttore di petrolio, o il costruttore di automobili, o il palazzinaro, o la casa farmaceutica, o… puoi continuare tu in base ai tuoi gusti personali. Abbiamo (anzi hanno) affidato il mondo agli economisti, e costoro hanno stoltamente affidato l’economia «alla mano invisibile del mercato», ritenendo che essa potesse magicamente e automaticamente riequilibrare ogni squilibrio. Ma il mondo non è riducibile alla sola economia e finanza, nè tantomeno al mercato! Io li odio, quando i politici guardano solo al PIL o alle borse, o a qualsiasi altro indice economico… è come giocare a scacchi e valutare solo il rapporto tra il tuo materiale e quello dell’avversario: nel giro di 7/8 mosse hai già perso. L’economia deve essere un mezzo per sostenere le società, non il fine delle società… Io insisto: meno ingegneri, economisti, tecnologi e più filosofi, storici e poeti. Come dicevi tu, vivere è oscillare tra Apollo e Dioniso, e non tra il FMI e la BCE.

  4. io penso che non ci sia necessariamente un complotto, semplicemente se vuoi garantire il lavoro a tutti anche in condizioni di “crescita zero” devi puntare su cose come una radicale redistribuzione sia del reddito che delle ore di lavoro (inutile far fare il part-time agli operai e gli avvocati o i manager si ammazzano di lavoro e guadagnano disastri), e aprire un dibattito, almeno, sul reddito di cittadinanza.
    è vero che la gente che è malata di shopping, ma le masse guadagnano meno delle elite, quindi chiedere alle persone di consumare meno e lasciare che chi guadagna e consuma tanto continui così, è ingiusto e anche inutile.
    più che filosofi, storici e poeti, ora come ora mi sa che c’è bisogno di panettieri, elettricisti, mungitori e sarti. se poi queste persone oltre a lavorare leggono e studiano, e magari anche scrivono, ecco una buona società. ma qualcuno deve sporcarsi le mani, chiedo scusa ma torno sempre lì, altrimenti mentre noi facciamo i filosofi chi fa da mangiare? e poi un buon pensatore non necessariamente, ma preferibilmente, dovrebbe avere anche esperienze di vita al di fuori della cosiddetta ‘torre d’avorio’ dell’università…

  5. Carissima Gaia,
    replico più prolissamente solo perché mi spiace se il mio oscuro post precedente possa essere frainteso. Io non intendevo che esiste un complotto ordito dalle lobby capitaliste, dalle multinazionali (o quant’altro) per spingere i cittadini-consumatori a spendere; piuttosto che nelle culture occidentali – passami questa generalizzazione – è posta molta enfasi sul benessere dell’individuo; benessere che però è identificato primariamente nel possesso/utilizzo di beni di consumo e nel perseguire un personale relazionarsi ‘edonistico’ col mondo, indipendentemente (e indifferentemente) da ciò che questo comporta per il resto del pianeta. Io lavoro, guadagno poco, e fatico (molto) ad andare avanti; ma ti assicuro che conosco persone con uno stipendio più basso del mio che contraggono mutui con finanziarie per avere a rate il cellulare di ultima generazione (quando uno gia lo hanno!), oppure il televisore ultrapiatto al plasma o per passare una settimana in vacanza in crociera.
    Allora mi domando: cosa spinge un individuo a comportarsi in questo modo, cioè ad indebitarsi personalmente per beni di cui non ha necessità primaria, e senza avere consapevolezza che la produzione di quei beni ha un costo significativamente alto per lo stato e le risorse del pianeta (e dunque per tutti noi, per cui l’indebitamento passa da personale a collettivo) ?
    Ho conosciuto – indirettamente – culture in cui gli individui, una volta guadagnato quanto si sono prefissi nella giornata per vivere dignitosamente, cessano di lavorare e iniziano a dedicare il proprio tempo a se stessi, alla propria famiglia, alla propria comunità.
    Invece mi giro intorno e vedo persone che corrono, corrono, corrono perché devono lavorare perché i soldi non bastano mai; a volte non hanno neppure il tempo per spenderli, e quando lo fanno è per beni/esperienze che in ultima analisi forse non giustificavano la forsennatezza di quella corsa. Quante cose importanti restano indietro sullo sfondo…
    Nuovamente mi domando: forse non dovremo fermarci un attimo a riflettere su come abbiamo ridotto le nostre vite, e a cosa stiamo facendo del nostro pianeta? Citando Sartre: …Non siamo zolle di argilla, e l’importante non è quel che si fa di noi, ma quel che facciamo noi stessi di ciò che hanno fatto di noi.
    Poichè – a mio avviso – lo stile di vita che viene additato come vincente è appunto quello dello «spendi, e goditela finché puoi», allora mi aspetto che qualcuno più assennato, qualcuno più «colto», qualcuno con maggiore lungimiranza e coscienza civile inizi a sollevare queste problematiche. Non lo fanno sicuramente né il mondo industriale, né gli economisti, perché essi ragionano – sempre a mio avviso – secondo la logica del profitto e del libero mercato, per cui a loro va bene così (ma in maniera molto naturale, senza complotti). Non lo fanno la maggior parte dei politici, alcuni perché espressione di quei potentati economici a cui va bene così, altri perché consci che è più facile raggiungere il potere assecondando le masse nella ricerca del proprio benessere e muovendosi negli spazi che pre-esistono in questo sistema, piuttosto che scontentando le masse ammonendole di cambiare stile di vita e cercando di rivoluzionare l’intero sistema sovvertendolo dall’interno.
    Gli unici – a mio avviso – che possono sollevare il problema sono gli intellettuali; dove per intellettuale però intendo *non* il prof. universitario chiuso al calduccio del suo dipartimento a pubblicare libri che presenterà da Fabio Fazio, bensì qualsiasi individuo che – animato da spirito critico e con uno straccio di informazione e di obiettività – si renda conto dei problemi e cerchi di comunicare questa sua ansia di cambiamento di rotta ai suoi vicini più prossimi. Ciò, indipendentemente dal mestiere che fa per campare.
    Per me i panettieri, gli elettricisti, i mungitori e i sarti sono indispensabili, perché senza di essi non c’è pane, luce, latte, vestiti e il mondo si ferma; ma se vogliamo cambiare davvero (in meglio) questa società c’è bisogno che le persone che abbiano messo più a fuoco i problemi – che possono anche essere panettieri, elettricisti, mungitori e sarti – inizino a usare il mezzo a loro più congeniale per condividere queste riflessioni con gli altri, e avviare il cambiamento di rotta collettivo.
    Questo intendo quando dico ‘avviare il volano dal basso’.
    Quando parlo di «filosofo» penso al mio (eclettico e anticonformista) amico Antonio, anche se non è tale per mestire; il «letterato» sei tu, anche se non dirigi alcun dipartimento di filologia romanza; il «poeta» (era) mio padre, anche se nella vita insegnava, e a tempo perso faceva l’avvocato (o l’inverso, non l’ho mai capito).
    Odio le generalizzazioni, ma quando parlo di «cultura dominante» è perché trovo (ahimè) difficilmente all’interno di altri canali le riflessioni che tu riassumi in questo blog. E se le trovo, vengono ridotte a mode passeggere o a studi tecnici di settore, in cui l’enfasi è posta sulla correttezza dell’analisi del dato, e non sulle conseguenze sociali.
    Scusa se ti ho invaso il blog, giuro che per penitenza non posto più niente per almeno una settimana…

  6. altro che scusa: grazie davvero per il bellissimo commento.
    non so se hai letto, ma tempo fa riassumevo qui un libro (perché i megaricchi stanno distruggendo il pianeta) che spiegava il consumismo, citando teoria della classe agiata di thorstein veblen, in buona parte con il desiderio di emulazione delle classi superiori. a parte gli esempi ovvi: leader, celebrità, ricconi, io mi accorgo anche nel piccolo che quando i tuoi amici guadagnano più di te, e vivono di conseguenza, è difficile mantenere uno stile di vita sobrio, e magari spendi più di quello che vorresti -un po’ perché ti giudicano (anche implicitamente e senza cattiveria) se non hai quello che hanno loro, un po’ perché rischi di rimanere escluso dalle loro attività che costano denaro, e quindi dal gruppo stesso…
    sono d’accordo su edonismo, individualismo, eccetera.
    il punto è: puoi scegliere? se la gente potesse lavorare un tot di ore, poi ritenersi soddisfatta e andare a casa, ti garantisco che una buona parte, se non la maggiore, lo farebbe. il punto è che i lavori che offrono sono a tempo pieno, e spesso devi restare di più per non fare la figura del fannullone; quelli part-time, lo dico per esperienza, sono pochi e soprattutto tendono a darli a chi dimostra di fare ‘qualcos’altro’ nella vita (se no è un fannullone), e alla fin fine, lavorare meno è difficile, anche volendolo. per questo, hai ragione, ci vuole un cambiamento collettivo e culturale

  7. ho un paio di contestazioni da farti.
    1. decrescita.
    siamo sicuri che l’elenco di soluzioni da te indicate abbiano un senso reale?
    mi spiego: un sistema solare comincia a funzionare quando è già (quasi) da cambiare e non risolve veramente i problemi dell’acqua calda. inoltre costa, fatto che presuppone una produzione economica (da parte dell’acquirente) che dipende dallo sfruttamento di altre risorse sia da parte del venditore che utilizza energie per produrre.
    altro esempio, le casette ecologiche prodotte sono brutte al pari dei fabbricati industriali. chi ci abita ha un (piccolo) risparmio; chi le vede e il territorio ha un (grande) danno. vale la pena?
    questo perché in realtà queste persone non economizzano veramente: cercano semplicemente una scappatoia economica per non rinunciare a nessuna delle comodità.
    poco tempo fa (ma eravamo numericamente assai di meno) le case venivano costruite adiacenti per risparmiare materiali e consumi. la strategia cosiddetta verde, invece, porta a una dispersione territoriale che aumenta sia i costi che i consumi. non mi sembra una bella scelta se non per le aziende che vi investono e ci guadagnano (vedi gli impianti a biomasse che speculano sulle cedole verdi).

    2. il natale è da sempre la festa della fertilità: l’augurio di passare indenni la stagione morta costruendo false rifioriture. è questo il significato degli addobbi e dei regali. è un rito di sopravvivenza. forse al giorno d’oggi si esagera. ma perché tanto moralismo se poi, alla fine, è il risultato è portare un po’ di felicità (gli studiosi dicono a chi fa il regalo più che a chi lo riceve).
    dobbiamo cospargerci per forza sempre il capo di cenere e mimare jorge de “il nome della rosa”?
    secondo me non ha senso.
    sii felice, invece.

  8. 1. la decrescita infatti presuppone prima l’idea della riduzione dei consumi, come necessaria, e poi prende in considerazione tra le opzioni di produzione di energia o beni quelle a minor impatto. riguardo alle case sono perfettamente d’accordo, infatti avevo scritto: “che senso ha costruire una casa super ecologica e non considerare come risorsa non rinnovabile il territorio?”

    2. io faccio regali, piccoli e personalizzati, anche tutto l’anno, ma quando ho l’occasione di vedere una cosa che veramente quella persona potrebbe desiderare. la corsa ai regali natalizi è solo stressante, altro che felicità. il mio non è moralismo, ma che costo economico e ambientale e sociale ha, lo shopping natalizio, con tutte quelle robe inutili con tanto di imballaggi e carte ancora più inutili?

  9. credo che non ci siamo capiti, ahimé, e che tu sappia poco di matematica (ahimé)
    😉
    1. siamo in tanti. forse troppi e continuiamo a crescere.
    in tanti, comunque, consumiamo e anche se consumiamo poco, il totale sarà comunque alto.
    prendi la “idilliaca” corea del nord dove praticamente non ci sono consumi. non ci sono nemmeno più boschi perché quei disgraziati per riscaldarsi hanno abbattuto quasi tutte le foreste (effetto isola di papua) con la desertificazione non più dietro l’angolo.
    non solo. se ogni famiglia installasse un sistema solare, hai idea di quante tonnellate tra alluminio, rame, materiale isolante… servirebbero? e quanto si dovrebbe consumare per produrre la ricchezza che permetta a tute le famiglie di installarlo? forse ci potranno aiutare le nuove nanotecnologie che – e solo – nel caso degli impianti fotovoltaici stanno riducendo lo spessore (= quantità) del materiale usato e i costi (= minore consumo per produrre ricchezza d’acquisto). ma il fotovoltaico non funziona granché con l’acqua calda…
    è solo un piccolo esempio. ma pensa solo a quanto legname servirebbe per dotarci tutti di una graziosa casa bio, magari di quelle in vendita che ricordano moltissimo i prefabbricati del dopo terremoto…
    2. (sempre la matematica) fare 10 regali in un periodo definito dell’anno non cambia la quantità se i 10 regali vengono fatti lungo tutto il corso dell’anno. 10 regali (come i piccoli indiani) sono e 10 regali rimarranno…
    la cosa bella del natale è, però, sia la ritualità arcaica sia l’euforia (sorta di pseudo-sole) che riscalda altrimenti delle giornate assolutamente tristi (anche per i commercianti che non se la stanno passando per niente bene…).
    perché rinunciare a un po’ di solarità: non sei e no fai felice qualcuno quando doni o ricevi un regalo? perché aspettare la bella stagione che ci dà sufficienti e calorose emozioni?
    inoltre, dato il rapporto costo-qualità (presunta) a natale si vendono libri anche in italia e questo ha del miracoloso.
    ciò, però, non vieta di fare regali anche lungo tutto l’anno.

    postilla 1: gli scrittori solitamente sono animali drammaticamente cinici.
    postilla 2: che regalo ti faresti per il natale?

    dolce gnot.

  10. 1. infatti. stiamo dicendo la stessa cosa. la decrescita presuppone di ridurre i consumi il più possibile, e utilizzare quello che c’è già, poi tutto il resto
    2. il natale è uno stress, alla fine, sia per i consumatori (!!) che per i commercianti, te lo garantisco con anni di esperienza di pacchetti, e simili (mi sono anche dovuta vestire da Babbo Natale femmina l’anno scorso, come avrai intuito leggendo il libro)

    p.1. ?
    p.2. non mi farei regali, appunto, perché è una tradizione che non sopporto anche se non sarai mai d’accordo con me

  11. Io ho risolto il problema, non faccio regali a natale e non pretendo che vengano fatti a me. Ne faccio solo uno, ma ha un alto valore simbolico a chi lo faccio e si perde nella notte dei tempi.
    Condivido il pensiero di decrescita, ma per coinvolgere di più la gente a determinate scelte credo di più nella democrazia partecipativa.
    Ecco un video: http://www.youtube.com/watch?v=CzXL9IJYKJ0

  12. @ di suald

    Giusto per riportare il discorso dalla pseudo-matematica alla realtà:

    1. La Germania è uno dei primi paesi al mondo per utilizzo delle energie rinnovabili (leggi qui). Per raggiungere questo (ragguardevole) primato, è uno dei primi paesi al mondo (il primo in Europa) per installazione del fotovoltaico (leggi qui).

    2. Da ciò deduco che, oltre a Gaia, anche i fisici del Centro Helmholtz per i Materiali e l’Energia dell’Università di Berlino devono essere poco portati per la matematica, visto che si ostinano ogni anno ad invitarmi alla ISU, dove si parla per 2 settimane fitte fitte di fotovoltaico, termica solare, energie rinnovabili, etc.

    3. Non sono mai stato fortissimo in storia delle religioni, ma la festività cristiana che ha assimilato i precedenti «riti della fertilità» è la Pasqua, e non il Natale (Eoster, dea germana della fertilità, presso i popoli sassoni fu translitterata in Easter). Il Natale, se non ricordo male, dovrebbe essere la festa della venuta di Dio tra gli uomini.

    4. Relativamente all’esemplificazione della decrescita mediante le considerazioni sullo shopping natalizio, la questione sollevata non era il numero di regali fatti nell’unità di tempo, bensì la constatazione che vengono comperati innumerevoli regali, spesso futili (ma con un considerevole spreco di risorse), per il solo fatto che sia Natale. Milioni di persone che comprano oggetti superflui solo per scartarli sotto l’albero (e poi magari trattarsi peggio di prima il giorno dopo). Negli USA circa un quarto delle spese personali fatte durante tutto l’anno avviene a Natale.

    5. L’approssimazione: scrittore = «animale drammaticamente cinico» è uno stereotipo. La buona letteratura è difficilmente cinica. Come scriveva Proust (che a mio avviso non era cinico): …Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso.

    @ Ivan Bortolin
    Grazie per il link, davvero interessante!

  13. non si escludono a vicenda, anzi. sia economia che vita politica devono essere più vicine possibile alle persone, e non lontane, astratte e deresponsabilizzate/anti come sono ora

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