cibo per tutti

Immagino che abbiate sentito dire anche voi che nel mondo c’è cibo a sufficienza per tutti, ma che, siccome viene sprecato o certe persone ne mangiano troppo, altre persone soffrono la fame. Di solito, questo genere di affermazione viene fatto da chi sostiene che non dovremmo preoccuparci della sovrappopolazione, perché da mangiare ce n’è e l’unico problema è la distribuzione. Lo dice anche il papa!

Come spesso accade, dimostrare la falsità o l’erroneità di un’affermazione molto semplice e intuitivamente sensata è così laborioso che molte persone non avranno mai l’opportunità di farlo con gli interlocutori giusti. Nessuno ha voglia di sentirsi un pippone infarcito di “fammi finire!” che gli smonta la sua banalità (rassicurante) in così tanto tempo che alla fine non si ricorda più niente.

Io vi chiedo allora di dedicarmi un po’ del vostro tempo perché io vi possa convincere che l’affermazione “c’è cibo a sufficienza per tutti” è così tremendamente incompleta e sbagliata che bisognerebbe non enunciarla più, cancellarla dalle nostre teste e sostituirla con una cognizione almeno un po’ approfondita di una delle questioni più importanti che esistano.

La farò un po’ lunga, e meno ancora di quanto sarebbe necessario. Potete leggere in più volte, o anche mollare prima della fine, ma per favore non commentate se non avete letto tutto.

Partiamo dal facile: anche se fosse vero. Anche se fosse vero che il cibo è sufficiente per tutti, siccome evidentemente non tutti ne hanno – circa una persona su nove, nel mondo, non dispone di cibo a sufficienza – una cosa intelligente da fare sarebbe almeno fermare la crescita demografica finché il problema non è risolto. Quindi, siccome ci sono circa 800 milioni di persone denutrite al mondo, sarebbe comunque meglio risolvere prima il problema della distribuzione e poi, eventualmente, aggiungere bocche da sfamare. Non ha nessun senso continuare a incrementare la popolazione solo perché la soluzione al problema della fame è teoricamente possibile. Altrimenti è come dire che, siccome è teoricamente possibile trovare una medicina che guarisca completamente dall’AIDS, si può tranquillamente continuare a contrarre il virus.

È vero che la produzione di cibo, da certi punti di vista, sta aumentando (cioè aumentano, ma non sempre e non dovunque, le rese di alcuni tipi di coltivazioni), ma non abbastanza per tenere il passo con la crescita della popolazione. E questi aumenti hanno un costo, come spiegherò più avanti.

Se si accetta la premessa del cibo a sufficienza e solo mal distribuito, il passo logico successivo è risolvere il problema della fame solo dal punto di vista della distribuzione. Ammettiamo per il momento che nel mondo ci sia una quantità totale di cibo sufficiente per tutti, e che bisogni solo trovare il modo di farla arrivare a tutti in modo equo senza sprecarne. Analizzando la questione approfonditamente, ci accorgiamo che “non sprecare” e “far arrivare il cibo a tutti” non è affatto semplice. Un primo problema è rappresentato dagli sprechi domestici nei paesi più ricchi. Si potrebbero organizzare campagne informative su come usare gli avanzi in frigo (per chi ha il frigo), ma chi può, e come, entrare nelle case di ogni singolo essere umano sul pianeta e fargli notare che la marmellata sta facendo la muffa, le uova si possono mangiare anche se sono scadute, c’è il formaggio da finire, e così via? Non buttare via nulla è incompatibile con le abitudini e i ritmi di vita moderni, per cui un cambiamento simile richiederebbe altri cambiamenti niente affatto semplici (per esempio lavorare meno fuori casa e avere più tempo per cucinare). È più probabile che la gente smetterebbe di buttare via il cibo se questo venisse a costare di più. Questo però potrebbe avere due spiacevoli effetti collaterali: certe persone farebbero fatica a sfamarsi, e altre comprerebbero cibo più scadente e meno ecologico pur di non rinunciare al proprio tipo di dieta – parlando con un po’ di gente, compresi venditori di generi alimentari, mi sembra che stia già succedendo proprio questo. È possibile ridurre lo spreco di cibo intervenendo sull’obesità, ma siccome l’obesità non è causata solo dalla quantità, ma anche dalla qualità del cibo prodotto, e i cibi che danno problemi contengono ingredienti industriali a basso costo che forse consumano meno terreno e acqua, per ora, di cibi più sani (ad esempio latte in polvere industriale rispetto al latte di vacche al pascolo, uova industriali anziché uova biologiche, additivi chimici prodotti industrialmente…) Se poi per combattere l’obesità consigliamo uno stile di vita attivo, dobbiamo ricordarci che più bruci più mangi.

Mi si dirà che lo spreco di cibo domestico è niente rispetto a quello dei supermercati. Bene: come facciamo a cambiare il comportamento di catene di distribuzione che operano a livello planetario? Cosa deve fare un supermercato del cibo in via di scadenza? Può metterlo in offerta, ma io ho visto acquirenti, anche relativamente poveri, rifiutare cibo in via di scadenza o imperfetto persino se veniva offerto a prezzi minori o l’imperfezione non aveva conseguenze (tipo un’etichetta leggermente rovinata). Non è facile convincere le persone a comprare cibo brutto; inoltre, devono avere il tempo e l’occasione di cucinarlo subito, prima che scada anche a loro. È quindi inevitabile che i ristoranti e i supermercati, non potendo prevedere mai esattamente la richiesta, abbiano cibo che avanza e non riescano a piazzarlo in tempo. In posti piccoli, ne regalano un po’ a clienti di fiducia, magari che hanno galline (o maiali? Io punto su quello per l’anno prossimo!), ma questo non è praticabile a livello di grande distribuzione. Ci sono iniziative per distribuire il cibo che i supermercati butterebbero via a istituzioni come mense per i poveri, ma vi faccio notare che questo presuppone l’esistenza di poveri. Altrimenti nessuno vuole gli scarti altrui. Questo è un altro problema: a chi dare cibo di scarto se tutti possono permettersi cibo decente? E se c’è gente che non può permettersi cibo decente, e questo è un prerequisito imprescindibile per non sprecare cibo, abbiamo davvero garantito “cibo decente” per tutti, o solo una carità temporanea?

E comunque, andare in giro a recuperare il cibo scaduto, controllarlo, evitare tutti i rischi sanitari, trovare a chi darlo e darglielo sono attività laboriose che a loro volta consumano risorse (controllo, comunicazione, trasporti, qualche forma di immagazzinamento…). Meglio che buttarlo, ma non esattamente gratis.

Andiamo avanti. Un’altra categoria di cibo sprecato è quello prodotto in paesi che dispongono di tecnologie e infrastrutture meno “avanzate” delle nostre, per cui il cibo deperisce per mancanza di refrigerazione o accesso ai mercati. Tradizionalmente, il cibo deperito si può dare agli animali domestici, ma non tutti ne hanno, soprattutto nelle città in rapida crescita. Qui, cosa si può fare?

Se il problema è la mancanza di refrigerazione o strade o magazzini, qualcuno dovrebbe calcolare quanto costa costruirli. Potrebbe saltare fuori che è più economico buttare via un po’ di cibo. Io stessa sono stata tentata di rinunciare al frigorifero e adottare i vecchi metodi della montagna (condivsione man mano dei prodotti più deperibili, conservazione sotto sale/olio/aceto, cantine, e altri più folcloristici come pietre piene di grasso che non ho ancora ben capito come funzionassero). Il fatto è che in quel caso dovrei avere una casa più grande e autoprodurre qualcosa durante tutto l’inverno: richiede degli investimenti e comunque non tutti possono farlo. Finora sembra, forse, che ogni problema di questo genere abbia una soluzione, anche se ogni soluzione genera nuovi problemi e così via. E comunque il fatto che, nonostante l’immensa gamma di possibilità sociali e tecnologiche e le ripetute denunce, ci sia ancora così tanto spreco (secondo alcuni studi, un terzo di tutto il cibo prodotto!), significa che quello che in teoria è possibile richiede cambiamenti che in pratica sono o onerosi, o lunghi, o complicati. Può essere che esista una quantità di spreco “strutturale” ineliminabile, o che eliminare tutto lo spreco consumerebbe più risorse dello spreco stesso…

Come se non bastasse, è pericoloso pensare di produrre esattamente il cibo che ci serve, e non un grammo in più. Cosa succede, infatti, quando nascono delle persone in più, o qualcuno da qualche parte nel mondo perde improvvisamente il raccolto? Se ora si può almeno, in situazioni emergenziali, provare a convertire rapidamente lo spreco in cibo, una società che non spreca assolutamente nulla paradossalmente avrebbe più difficoltà ad adattarsi agli imprevisti. Il clichè del rovistare nei cassonetti da un lato raffigura la miseria di alcuni a fronte dell’opulenza di altri; dall’altro, la possibilità che ha chi si trova anche solo momentaneamente in difficoltà di sopravvivere con gli scarti della società (come nel Medioevo, se non ricordo male, esisteva il diritto per i più poveri di raccogliere le spighe cadute agli altri durante il raccolto). A Montreal, dove ho vissuto, ho scoperto la pratica del dumpster diving – letteralmente, tuffarsi nei cassonetti. In realtà – non ho mai partecipato – mi pareva di capire che in qualche modo chi lo faceva riuscisse a farsi cedere nei mercati la merce invenduta a fine giornata, e ce n’era talmente tanta che con essa si riuscivano a organizzare abbondanti e ottime cene per tutti (ricordo una protesta su scala universitaria durante la quale si servivano, nell’inverno canadese, bidoni di cibo raccolto in questo modo e cucinato da volontari). Da un lato questa pratica denuncia l’entità dello spreco, dall’altro mostra come la possibilità di raccogliere gli scarti possa creare opportunità per persone che non possono permettersi il cibo a prezzi di mercato, magari anche solo per un periodo della loro vita. Io stessa sfrutto lo spreco altrui: i fruttivendoli da cui vado spesso mi danno verdura scartata e invendibile per le mie galline, e questa diventa la loro unica fonte di vitamine per l’inverno (e se è bella me la mangio io).

La mia non è un’apologia dello spreco: per quanto riguarda me personalmente, sono una specie di campionessa nel non buttare via niente, al punto che non riesco mai a far avanzare pane per i miei animali. Ne ho sempre giusto giusto e comunque so troppe buonissime ricette con il pane vecchio perché me ne resti anche solo una fettina. Dipendo dalle donazioni altrui. Dirò di più: gli animali sono il miglior deposito dei nostri sprechi. Se dovesse venire una carestia, purché non sia duratura, il cibo in più imagazzinato negli animali sarebbe in grado di sfamarci finché non passa. Se mangiassimo tutto noi, dovremmo produrne in più per loro! Paradossalmente, mentre l’allevamento di animali ha senso solo in un contesto in cui possono trasformare in cibo quello che gli esseri umani per vari motivi non mangiano, l’applicazione degli idrocarburi all’agricoltura ha stravolto tanto la produzione che è più conveniente produrre cibo, perfettamente commestibile per noi, e darlo agli animali (mais, cereali, soia…), piuttosto che organizzare la loro alimentazione con scarti ed erba, che noi non mangiamo.

(Non so se ho usato idrocarburi nel modo giusto)

Ma divago.

Andando avanti: i paesi in cui si spreca spesso sono anche grossi produttori di cibo, come gli Stati Uniti. Non voglio semplificare eccessivamente, ma che diritto ha un paese che ha generato troppe bocche da sfamare di pretendere che un altro paese, che paga un prezzo ambientale molto alto per la produzione di cibo, non ne disponga come vuole ma gli dia tutto il surplus? Questa domanda vale a maggior ragione alla luce del fatto che anche i più grandi produttori di cibo al mondo possono avere crisi inaspettate, in particolar modo adesso, le quali fanno crollare la produzione. Secondo molte analisi, uno dei fattori scatenanti delle primavere arabe è stato l’aumento dei prezzi del grano dovuto al calo di produzione altrove, ad esempio a causa della siccità in Russia (i paesi mediorientali, un tempo grandi produttori di grano, sono ora importatori netti). Quando un grande produttore si trova di fronte a una riduzione nei raccolti, è naturale che pensi prima al suo fabbisogno e poi al fabbisogno dei paesi importatori, e infatti la Russia nel caso sopracitato ha ridotto le esportazioni di cereali. Senza contare che il controllo di importazioni ed esportazioni costituisce un’arma politica sia esterna che interna (le catastrofiche carestie del Novecento, come l’Holodmor o quella cinese degli anni ‘60, sono state in buona parte dovute alla sottrazione di cibo a chi ne produceva per redistribuirlo secondo criteri geopolitici).

Ma non dimentichiamo anche che il trasporto di cibo su lunghe distanze necessita a sua volta di infrastrutture e produce emissioni inquinanti e climalteranti. Un paese che dipenda dalle importazioni per il cibo è poi estremamente vulnerabile a qualsiasi tipo di cambiamento: crisi nei paesi di provenienza, embargo, competizione da altri importatori… L’Egitto ci mostra cosa succede a non essere autosufficienti nella produzione di cibo. Una redistribuzione senza rilocalizzazione dell’agricoltura lì dove serve non può che portare a un aumento dei gas serra (sì, c’è chi dice agli inglesi che la produzione un agnello inglese emette più CO2 dell’importazione di un agnello dalla Nuova Zelanda, ma, a parte che devo ancora vedere come sono fatti esattamente questi calcoli, il problema potrebbe essere piuttosto che gli inglesi sono troppi per continuare a mangiare agnelli).

Fin qui ho supposto che la produzione di cibo sia costante o persino in aumento, e che non ci sia niente di male a continuare a produrre cibo per gli esseri umani e i loro animali domestici con le modalità o almeno nelle quantità attuali. Mi piacerebbe pensare di avervi già convinti, ma non ho ancora nemmeno sfiorato quello che secondo me è il cuore del problema.

Innanzitutto ricordiamoci che la produzione di cibo totale può aumentare, ma anche diminuire. Anzi: niente ci garantisce che il cibo prodotto oggi verrà prodotto anche domani. Secondo alcune fonti, le rese dei cereali in alcuni paesi hanno già smesso di aumentare.

A parte i limiti fisici a quanto una pianta può produrre, per cui le rese non possono crescere all’infinito, ci sono molti fattori che minacciano la produzione di cibo e in alcuni casi la stanno già riducendo. Non posso entrare nei dettagli, per cui mi limiterò a elencare quelli di cui sono a conoscenza, e voi potete approfondire. Una lista dovrebbe bastare a rendere l’idea: cambiamento climatico (siccità, alluvioni, incendi, eventi metereologici estremi, difficoltà delle piante a crescere in climi alterati o con troppa CO2, aumento o spostamento delle malattie e dei parassiti in un clima più caldo, acidificazione degli oceani…), aumento del costo e riduzione della disponibilità di combustibili fossili (necessari per i macchinari agricoli, la produzione di fertilizzanti e plastiche, il riscaldamento, la refrigerazione e lavorazione, il trasporto, l’imballaggio…), perdita di terre fertili a causa dell’erosione del suolo, dell’urbanizzazione, della desertificazione e dell’inquinamento dovuto a erbicidi, concimi e pesticidi di sintesi, inquinamento dell’acqua e svuotamento delle falde a causa del sovrasfruttamento (in particolare in zone molto popolate o molto importanti per la produzione mondiale, come gli Stati Uniti, l’India o il Pakistan, per non parlare dell’Africa), morie di api, distruzione della vita marina per colpa della plastica, della pesca eccessiva e dell’acidificazione, crollo degli stock ittici (io preferisco chiamarli pesci, ma ci capiamo), picco del fosforo, competizione dalla produzione di fibre tessili, biocarburanti e bioplastiche… Ognuna di queste minacce alla produzione di cibo basterebbe a mettersi le mani nei capelli, e avete visto quante sono, tutte insieme…

Non dimentichiamo anche che la scarsità di cibo provoca conflitti, ma i conflitti provocano scarsità di cibo, togliendo forza lavoro e risorse alla produzione, occupando spazi coltivabili, e causando danni a lungo termine con la distruzione di case, magazzini, infrastrutture, e minando i terreni. Aumentano la mortalità ma non necessariamente riducono la natalità, anzi, in certi casi possono aumentarla (per esempio durante la guerra tra Iraq e Iran le donne iraniane furono incoraggiate a fare più figli possibile, e obbedirono). Secondo alcuni studi, nei campi profughi le donne fanno più figli di quanti ne facessero nel paese di provenienza.

Ma la tecnologia!, direte. Ma la tecnologia troverà la soluzione! Intanto, secondo me le soluzioni si valutano quando si presentano e non in via ipotetica: se avessimo dovuto aspettare la fusione nucleare prima di affrontare il problema dell’energia, non esisterebbe un pannello solare al mondo. Inoltre, vi invito a riflettere sul fatto che tutte le “soluzioni” tecnologiche per produrre più cibo, dall’agricoltura stessa all’aratura all’irrigazione, hanno finito per creare nuovi problemi che prima o poi hanno portato al crollo demografico o alla fame in alcuni luoghi (l’Europa alla fine dell’Impero Romano, le ex colonie dell’Europa), alla sparizione di civiltà (i Maya), o alla desertificazione di intere aree geografiche (il Nord Africa e quello che oggi chiamiamo Medio Oriente erano terre fertili e rigogliose – un tempo coperte di foreste, cosiddette culle della civilità, poi fornitrici di grano per l’Impero Romano, e adesso…). La rivoluzione verde, che probabilmente ha salvato davvero dalla fame decine di milioni di persone, è oggi additata come responsabile dello svuotamento delle falde acquifere, dell’inquinamento dei terreni, della dipendenza dei contadini da macchinari, pesticidi, fertilizzanti, erbicidi e semi non autoprodotti e persino dei loro livelli di indebitamento e conseguenti suicidi di massa. Non possiamo aspettarci che gli OGM o qualsiasi altra nuova tecnologia non portino a loro volta problemi, alcuni dei quali, come lo sviluppo di resistenze, stiamo già iniziando a vedere.

Il fatto che io, e voi, personalmente non abbiamo vissuto questi problemi, che il nostro frigo sia ancora pieno nonostante tutto, è dovuto soltanto a un raffinatissimo sistema planetario di rimozione dei problemi dagli occhi dei più fortunati, e non dalla non esistenza di questi problemi.

E anche se gli OGM fossero promettenti come i più entusiasti tra gli scienziati giurano, e io non ci credo, questa volta ci imbattiamo nel famoso paradosso di Jevons, per cui rendere più efficiente l’utilizzo di una risorsa finisce per aumentare e non ridurre l’uso di questa risorsa. Ho una macchina che fa più chilometri con un litro? Faccio più chilometri! È possibile isolare termicamente le case? Mi costruisco una casa tre volte più grande! Com’è ampiamente dimostrato dalla storia, aumentare ancora la produzione di cibo avrebbe lo stesso risultato che ha avuto tutte le altre volte: far crescere ulteriormente la popolazione. Non solo: servirebbe da scusa per non temere un ulteriore aumento di popolazione, perché se ce l’abbiamo fatta prima ce la faremo ancora, e ancora, e così all’infinito, finché o muoriamo tutti o non c’è sulla Terra altro che esseri umani e le piante che li sfamano, anzi, no: una pianta sola, la più nutriente in assoluto, scartate tutte le altre, un solo supercibo per tutti per sempre (se pensate che anche qui esageri, andate a vedere quante varietà di mais si coltivano nella pianura friulana o quante razze di vacche si trovano nei capannoni. Tutto quello che non rende il massimo possibile deve essere abbandonato).

Spesso, quando ci viene detto che c’è cibo per tutti, viene aggiunta una piccola clausola: a patto di non mangiare carne / essere tutti vegani / adottare gli OGM / cibarsi di insetti / amare la soia… Vi faccio un piccolo esempio: sono al mio credo terzo tentativo di adottare il latte di soia. Come sapete ho anche combattuto una mini-battaglia sulla soia, e l’ho seminata nel mio giardino, dove cresce bene e fa dei graziosi quasi invisibili fiorellini viola (vedremo se ci saranno frutti). So che consumare tanti latticini non è compatibile con un pianeta sovrappopolato e probabilmente, per quanto qui nessuno mi dia anche minimamente retta, nemmeno con il livello di popolazione attuale di questa valle. Però a me il tè non piace tanto la mattina e il caffè da solo nemmeno. E sapete cos’altro non mi piace? Il latte di soia. Né quello che compro, né quello che faccio in casa. Sarò onesta: il latte di soia non mi piace. Nel caffè lo rende acido. Ho provato a metterlo nei dolci, ma non si imbroglia nessuno. E sapete cos’altro non mi piace? Il latte di riso il cui odore mi ricorda i pentoloni di riso scotto della mensa delle suore. Il latte di avena che è una pappina collosa. Il latte di mandorla è buono, ma solo con lo zucchero e tutto quello zucchero non fa bene. Insomma, nonostante le mie migliori intenzioni, non sono riuscita a convertirmi ai latti vegetali.

Voi direte: ci sono cose più importanti dei tuoi gusti alimentari. Forse sì, ma nel suo famosissimo A room of her own, Virginia Woolf si dilunga sulla cattiva disposizione causata da un cattivo pasto, e io ancora mi ricordo il passaggio sulla prugna filamentosa come il cuore di un avaro. Non si può vivere bene mangiando male. I monaci mangiavano in maniera frugale, ma era la verdura fresca del loro orto. Non sto dicendo che esista un diritto umano a una bistecca al giorno, ma neanche che si può costringere tutti a optare per gli alimenti meno impattanti in assoluto solo perché non si trova il modo di impedire alla popolazione di crescere all’infinito. Mi rifiuto di nutrirmi solo di soia perché qualcuno vuole ancora fare sei figli.

(E lo dico da persona che mangia regolarmente tofu)

Quindi: anche se teoricamente fosse possibile sfamare dieci miliardi di esseri umani a soia e insetti (e io non credo che lo sia), è giusto fare una vita orribile solo per permettere alle persone di procreare irresponsabilmente? E poi, perché non sfamare quindici miliardi di esseri umani a croste di pane vecchio? O a carne clonata nel laboratorio? O a pillole vitaminiche? Quando ci fermeremo?

E comunque, ricordiamoci che la tendenza globale non è verso un maggiore vegetarianesimo, ma il contrario: per quanto gli europei e gli americani si stiano lentamente convertendo, dall’altra parte ci sono miliardi di cinesi, indiani e altri ex-poveri che vogliono mangiare più proteine animali. Bisognerà convincere anche loro, ma: auguri.

Voglio che sia chiaro: ci sono molti buoni motivi per non mangiare carne, e motivi ancora migliori per mangiarne meno nelle società in cui se ne abusa. Il fatto che non ce ne sia abbastanza per tutti, però, non mi sembra uno di questi buoni motivi, a meno che la questione non venga presentata così: visto che, anche se si decidesse di far decrescere la popolazione del pianeta a partire da subito con metodi non violenti, ci vorrebbero comunque decenni, nel frattempo cerchiamo di mangiare meno carne. Oppure se il discorso si spostasse, come dovrebbe, sul benessere degli animali. Questo mi sta bene. Non mi sta bene, invece, chi vuole privare le persone di una parte importante della vita, cioè di un certo tipo di cucina, di tradizioni culinarie e agricole millenarie e del ruolo degli animali di allevamento nelle migliori pratiche agricole solo perché ci sono troppe persone al mondo. A differenza di altri tipi di eccessi nel consumo, che comportano necessariamente lo sfruttamento degli esseri umani e l’alterazione dell’ambiente, la carne, nel senso della massa degli animali non umani, è qualcosa che la natura produce spontaneamente, che qualcuno deve mangiare per forza (se non noi, altri predatori), e che diventa un problema solo quando le persone ne prelevano eccessivamente o quando ci sono troppe persone che la vogliono. Gli animali hanno un ruolo nell’ecosistema sia “naturale” (ormai ogni ecosistema è alterato dall’attività umana) che agricolo. Dove vivo io, non mi stanco di ripeterlo, mangiare animali è necessario. Noi non mangiamo erba, e coltivare a millecinquecento metri o su pendii ripidi non è per niente facile; durante l’inverno, a parte qualche cavolo, non si produce nulla di vegetale, e affidarsi soltanto alle scorte è rischioso oltre che insufficiente. Inoltre mangiare mais e mangiare un uovo non è la stessa cosa dal punto di vista nutrizionale: gli animali non solo consumano cibo che potremmo consumare noi, e questo è un problema, ma anche lo trasformano e lo diversificano. Alcuni dei prodotti che gli animali forniscono, come pelle o lana, hanno sostituti sintetici che sono molto peggio dal punto di vista ambientale se non altro perché non si degradano, almeno per ora. Il problema semmai è evitare che questi prodotti vengano sprecati (altro mio pallino è recuperare la lana che viene buttata via – pensateci: una delle risorse più preziose e versatili di cui disponiamo, distrutta per importarla da altrove!)

Tra l’altro, pensateci un attimo e spiegatemi perché ce la prendiamo solo con il consumo di carne. Come non è necessaria la carne, non è necessario da un punto di vista nutritivo bere tè, vino, birra, o altri alcolici, fumare tabacco, e men che meno allevare animali da compagnia o cavalli per farci un giro. Se ci sono vegani che pensano che esista un complotto che impedisce di parlare della carne, allora io rilancio: esiste un complotto che impedisce di parlare di quanti gas serra emettiamo, quanta terra e acqua consumiamo, per prodotti alimentari non indispensabili. Si potrebbe dire, ad esempio: non bevete più vino perché dobbiamo convertire i vigneti in campi di grano per sfamare il mondo. Non mangiate frutti di bosco ma tuberi, non fate l’aperitivo, non bevete mai più birra, caffè, tè… Potrebbe essere una soluzione al problema, ma non sarebbe quella giusta. Il tipo di logica per cui bisogna sempre scegliere il minor impatto possibile, a meno di non essere degli ipocriti alla fine porta a rinunciare proprio a tutto, e questo quasi nessuno, povero o ricco che sia, è disposto ad accettarlo. Ma bisognerebbe essere onesti nell’ammetterlo.

Ma c’è un ulteriore problema: le tecniche di produzione del cibo più piacevoli, più ecologiche, a minor impatto paesaggistico e ambientale, spesso hanno rese minori, almeno sul breve termine, dell’agricoltura industriale. Sono più sane, più buone, più belle da produrre. È giusto dire a chi pratica un’agricoltura etica da tutti i punti di vista che non ha diritto di farlo perché è obbligato a produrre di più? Perché far pascolare le vacche quando c’è il mais? Perché scegliere vecchie varietà locali quando ce ne sono di più produttive uguali in tutto il mondo? Se vedete il mio orto ci sono più calendule che radicchi, più api che pomodori, ogni tanto rovisto tra le erbacce e annucio trionfante: questa si mangia! È un orto sano, è colorato, ma non rende come gli altri. Potrebbe venire qualcuno e dirmi, come dissero i coloni europei ai nativi americani: stai sprecando suolo fertile, dallo a me. In fondo che diritto abbiamo di lasciare che la terra viva come vuole, e produca meno, se dobbiamo dar da mangiare ai nostri fratelli? Abbiamo il dovere di spremerla. Ma io rifiuto questa logica, secondo qui ogni angolo del mondo non coltivato per la massima resa è responsabile di un bambino con gli occhi grandi e la pancia gonfia.

E probabilmente dovrei rendere conto di ogni minima goccia che schizza dal mio innaffiatoio. Non bisogna sprecare acqua, serve per l’agricoltura! La logica dell’efficienza è questa: dopo aver attaccato, e va benissimo, i grossi sprechi, ed essersi accorta che non basta, non può che dare la caccia a ogni minimo piccolo comportamento individuale fino a rendere la vita un incubo.

(E lo dico da persona che conserva l’acqua di lavaggio delle verdure per bagnare l’orto, in uno dei posti più piovosi d’Italia.)

Per non parlare dell’allevamento. Nel mio piccolo io faccio pascolare, nel limiti del possibile, sia le galline che le due pecorelle. A loro piace perché si muovono, scelgono cosa mangiare tra molte possibilità, e non si annoiano, e a me piace perché le osservo e posso conoscerle. Piace ai bambini perché i bambini tendenzialmente amano gli animali, e anche a molti adulti. Però non è efficiente. Gli animali crescono lentamente, non sono molto grassi perché si muovono, e tra tutto il cibo che cresce spontaneamente sono comprese anche le piante e gli animali che non sono interessati a mangiare, e che quindi scartano. In futuro non sarà così, ma finché l’agricoltura va avanti a combustibili fossili è probabilmente più “efficiente” chiudere le signorine galline e le signorine pecore in un capannone, coltivare un campo di mais industrialmente, raccogliere industrialmente detto mais, dargli quello da mangiare e ammazzarle nel momento esatto in cui la produzione inizia a calare. Il paesaggio farebbe schifo, la vita di questi animali farebbe schifo, il cibo farebbe schifo, ma chi sono io per privilegiare paesaggio, divertimento degli animali e proprietà organolettiche davanti alla necessità di sfamare sette, otto, dieci miliardi di homo sapiens? Vi sembra che esageri? E invece no: se la popolazione non è in discussione, il dibattito si pone esattamente in questi termini. Ho sentito da più parti sostenere che siccome il pascolo richiede più risorse (affermazione controversa, ma prendiamola per buona) della produzione industriale, allora va eliminato. E notate che non sto parlando di sovrapascolo che distrugge il terreno, ma di pascolo normale che può anche migliorarlo. Ma non conviene. Il mondo ha fame.

Ma andiamo ancora avanti, perché non ho finito. Forse non vi ho convinti neanche adesso, e continuate a pensare che la cosa più importante è produrre cibo, di qualsiasi tipo, a qualsiasi costo, e che con queste premesse e grazie a tecnologie future saremo in grado di produrne per tutti. Oppure pensate, sostenuti da studi recenti in questo senso, che sia possibile convertire la produzione attuale a biologico o a permacoltura, e che le rese in questo modo potrebbero aumentare almeno in alcuni casi. Rispetto all’agricoltura industriale, mi pare di capire che biologico o permacoltura possano consentire al massimo un pareggio e meno danni a lungo termine, e comunque esistono limiti fisici alla quantità di nutrimento che un dato pezzo di terra può dare, ma prendiamo questa possibilità per buona.

Allora vi faccio notare un’altra cosa: come dice il Vangelo, non di solo pane vive l’uomo. Anche se ci fosse cibo per tutti, ora e per sempre, rimarrebbe il piccolo problema di come produrre tutto il resto. Il cibo non è l’unica cosa che le persone consumano: serve energia, riscaldamento, servono abitazioni, tessuti e indumenti, medicine, utensili, mezzi di trasporto, macchinati, per non parlare del “superfluo”, tipo l’arte e la cultura. Bisogna spostarsi, comunicare, giocare, creare… risorse, risorse, risorse… metalli, plastiche, tessuti, legno, combustibili, pietre, terre… Per produrre tutte le cose che usiamo, ci serve tutto quello che c’è. E quindi, anche se ci fosse cibo, dove troveremo le materie prime, lo spazio e l’energia per tutto il resto?

Persino la sabbia per fare il cemento sta finendo! La sabbia! È come dire: sta finendo l’aria.

Stiamo mangiando tutto. Tutto. Siamo delle cavallette disgustose, degli ingordi senza pace, e c’è qualcuno che ha il coraggio davvero di dire “c’è cibo per dieci miliardi”??

E poi c’è una risorsa che sicuramente non è rinnovabile: lo spazio sulla Terra. Anche se, magicamente, risolvessimo anche tutti gli altri problemi legati alle nostre esigenze, e riuscissimo a procurarci materiali a sufficienza per dieci miliardi di persone, il che ovviamente non è possibile, non riusciremmo ad aumentare lo spazio totale, quindi il risultato del produrre una quantità di cibo e di altri beni illimitata sarebbe incoraggiare una crescita di popolazione illimitata che ci permetterebbe di vivere pigiati come sardine uno sopra l’altro, cioè sostanzialmente di vivere all’inferno.

Anche se tutto il resto fosse possibile, chi vorrebbe vivere così? Se voi non vorreste, non pretendete che gli altri lo facciano. E se voi siete disposti a farlo, dovete dimostrare che lo avete provato, che avete provato a vivere in un palazzo di venti piani con otto famiglie per piano circondato da altri palazzi uguali e che non vi siete mai mossi da lì se non per andare in un altro palazzo sovraffollato. Perché se l’intero mondo dev’essere ridotto a un formicaio, non esisterà nemmeno la possibilità delle vacanze. Condomini altissimi circondati da distese di coltivazioni industriali, e nient’altro nel mondo, mai più. Vi piace?

(E niente gatto, o cane, perché la vicina ha partorito un altro bambino e dovete lasciarle un po’ di posto)

(E quando avete finito lo spazio andate a vivere sottoterra nel bunker, come fanno a Pechino)

(Ah: nel frattempo la popolazione continuerebbe a crescere, perché se non avete creduto che sette miliardi sono troppi, non lo crederete nemmeno di quattordici. Scavate un bunker un po’ più profondo per passarci il resto della vostra vita)

Se poi credete nei viaggi nello spazio quando ancora non abbiamo nemmeno la minima colonia sulla Luna, che comunque sarebbe un posto di merda in cui vivere, allora la mia risposta è che non c’è niente di certo, anzi, probabilmente lo spazio che possiamo raggiungere sarebbe invivibile per noi, e comunque io spero che lo sia, perché dopo aver fatto così tanti danni a un pianeta la cosa peggiore che potrebbe succedere sarebbe che cominciassimo a fare danni in un altro. Ed è a questo pianeta, l’unico di cui siamo sicuri, la nostra casa, la nostra Terra, che vorrei richiamare infine la vostra attenzione.

Il punto più importante di tutti, anche perché è il meno considerato, è che la produzione di cibo per gli esseri umani sta letteralmente distruggendo la Terra. È talmente grande la devastazione della nostra agricoltura (e caccia, e raccolta, e pesca), che non so nemmeno da dove cominciare nel descriverla. Forse l’entità del danno è illustrata proprio da questa impossibilità di spiegare a parole cosa abbiamo perso. Pensate alle zone agricole che conoscete meglio, cercate di visualizzarle nella vostra mente. Ora immaginate che i campi coltivati, i pochi pascoli e le case e strade che ricordate, o vedete, fossero boschi con ogni tipo di essenze e popolati da più specie di animali di quanta vi basterebbe una vita per conoscere, ruscelli, radure, spiagge, cascate, paludi, ognuno con infiniti uccelli, infinite erbe e alberi, infiniti mammiferi e sì, anche infiniti insetti. E ogni fiore profuma in modo diverso, ogni animale canta, grida e corre. Adesso non si sente più niente della vita originaria, della varietà inimmaginabile che i nostri antenati hanno distrutto. Questa è una perdita. Ma non basta: avendo trasformato quella ricchezza in terreno agricolo, abbiamo proceduto nel corso dei secoli a renderlo sempre più povero, sempre più inquinato, sempre meno vario, così che ora nei campi non crescono più nemmeno i fiordalisi, ai loro bordi non ci sono più nemmeno le siepi, nei fossi non c’è più nulla da pescare. Il danno, poi, diventa quasi invisibile: terra senza lombrichi o batteri, acque velenose, aria impestata, insomma: morte. Morte per dare a noi la vita. Possibile? Questo è quello di cui stiamo parlando quando parliamo di produrre più cibo.

Chi segue un po’ l’informazione ambientale saprà già che l’homo sapiens, da solo, ha scatenato la sesta estinzione di massa nella storia della Terra. E qui permettetemi, solo un attimo, di inserire una piccola polemica anti-vegani (piacciono: a me no, ma a chi ha bisogno di qualcosa che lo scusi, sì). Per quanto ci si impegni a non uccidere animali per sfamarsi, questo è inevitabile. È così che funziona la vita sulla terra. Anche solo produrre cereali, semi e verdure significa distruggere non solo chi cerca di mangiarceli, ma anche chi semplicemente vorrebbe poter vivere sulla terra che noi usiamo per coltivarli. La distruzione degli habitat, spesso per far spazio all’agricoltura, è uno dei principali motori dell’estinzione di massa. E l’estinzione è qualcosa di ben peggiore del macello: significa un uccello che cerca il suo nido e non lo trova più, una madre che torna dai suoi piccoli senza cibo, finché non muoiono di fame, un indebolimento progressivo, uno smarrimento incomprensibile, un soccombere alla violenza di un altro animale che invece riesce a sopportare di vivere tra i nostri veleni.. e soprattutto qualcosa di non ripetibile che scompare per sempre: una specie. Quando ammazzo il mio gallo piango, ma dall’uovo che ha fecondato ne nasce un altro, mentre una specie estinta non tornerà mai più. Ogni giorno, per colpa nostra, ne perdiamo qualcuna.

Non sto dicendo che dobbiamo estinguerci noi per evitare tutto questo, solo che dobbiamo ridimensionarci. Questo pianeta non è solo nostro: è di tutti quelli che lo abitano.

Anche se fosse possibile sfamare un numero di persone ancora maggiore dell’attuale in maniera sostenibile, nel senso di ripetibile anno dopo anno potenzialmente fino alla fine della Terra, e non lo è, noi non avremmo diritto di farlo. Noi non abbiamo, semplicemente, il diritto di far estinguere una dopo l’altra le specie di questo pianeta, non abbiamo il diritto di deforestare, di inquinare terra, aria e acque, di devastare il paesaggio, di distruggere la complessità e l’unicità di ecosistema dopo ecosistema, di costringere le persone a lavori orribili, di costringere gli animali a prigionie inenarrabili e morti atroci, di privarli della loro dignità di esseri viventi e dell’unicità della loro esperienza, di cambiare il clima, di erodere il suolo, insomma di fare tutte le cose tremende che stiamo facendo ora per sfamare un mondo che, tra l’altro, continua ad avere fame.

La questione del cibo è estremamente complessa. Ci sono stati periodi storici con popolazioni minori di quella attuale in cui si sono verificate carestie che per noi, ora, sono inimmaginabili. Il problema, però, è che quello che ci sembra inimmaginabile può benissimo succedere lo stesso. Quello che abbiamo preso ieri è sottratto al domani. È meglio prepararsi. Pensare che ci sia “solo” un problema di distribuzione è il contrario di prepararsi.

Quindi, vi prego, ogni volta che sentite qualcuno dire che “c’è abbastanza cibo per tutti” chiedetegli una mezz’ora, forse anche solo un quarto d’ora del suo tempo, e provate a convincerlo che quest’affermazione apparentemente piena di speranza è in realtà una cosa tremendamente ignorante, sbagliata e dannosa da dire.

In sintesi: NO, NON C’È ABBASTANZA CIBO PER TUTTI (mi è partito il caps lock per sbaglio ma lo prendo come un segno). Non è così che stanno le cose. Dovremo anzi accettare di produrne di meno, per non distruggere noi stessi o la vita sulla terra.

37 risposte a “cibo per tutti

  1. Il veganesimo è una sorta di nuova religione che permette di continuare a mantenere un insieme di credenze rassicuranti.
    Veganesimo, crescitismo, tecnoteismo, dirittismo… la gente si riempie la testa di qualsiasi cazzata purché sia in gruppo a farlo.
    Il fatto di inventarsi delle fanfaluche per ignorare i limiti NON è una cosa nuova visto che questa attitudine è cosï antica da apparire nelle religioni piu’ tradizionali (si pensi a Babele nella Bibbia).
    Karl Marx è riuscito a sostituire l’oppio dei popoli e delle menti tradizionali con il suo: anche il comunismo e il marxismo è diventato una religione conrto la realtà e le sue leggi.
    Ancora una volta faccio notare che Friedrich Engels, fondatore, il “profeta” – per dirla in termini religiosi – del tecnoteismo progressista fu un tanto fereoce quanto menzognero detrattore di Malthus.

    Il (diritto al) cibo per tutti è una di quelle cazzate che vanno tanto di moda.
    Bisogna dire che la sinistra marxista è riuscita nell’iincredibile risultato di superare la demagogia berlusconiana con il “Più tutto per più tutti”.
    Diritto a fare figli, diritto al cibo, diritto alla casa, diritto a invadere altre terre, diritto allo stato sociale (welfare), diritto alla salute, diritto al lavoro, diritto di essere tuo fratello, diritto di fabbricazione di piccoli esseri umani scegliendoli da catalogo e con donne forno… una serie incredibile di puttanate che non stanno né in cielo né iin terra.

    Il tabù su Il Problema è, ancora una volta, una mancanza di intelligenza in cui, ancora una volta, la sinistra riesce a vincere su tutto.

    Diritto al cibo, ihihih.

  2. Gaia, è irrilevante la quantità di cibo rispetto al numero di esseri umani. Le risorse non sono equamente distribuite, a prescindere dalla quantità, perché il “diritto” non viene dal disegno divino, viene dall’avere in mano un’ascia. Chi ha l’ascia in mano ha “diritto” a qualsiasi cosa, chi non ce l’ha non ha “diritto” a niente.

    Nota che la soluzione proposta a questo problema è quella di togliere tutto a tutti, rendere tutti gli esseri umani uguali nel non avere niente, ne ascia ne “diritto”, cioè tutti schiavi e dare l’ascia metaforica ad una elite di superuomini che poi decidano di cosa ognuno ha bisogno e a cosa ognuno ha “diritto” nell’ipotetico “interesse comune”. Questa soluzione presenta parecchi inconvenienti ma basta fermarsi al primo passo, quello della elite di superuomini. Vogliamo considerare il concetto del Papa, visto che è stato citato sopra?

    Secondo me un mondo di essere umani “uguali” è un inferno molto peggiore di un mondo dove qualcuno mangia troppo e qualcuno muore di fame.

  3. gaiabaracetti

    Lorenzo, scusa: tu vai a fare la spesa con l’ascia?

  4. Gaia, tu sai che l’Europa e la sua emanazione americana domina il mondo da più o meno 500 anni. Questa egemonia si fonda sulle due solite variabili, la demografia e la tecnologia. Fino a qualche tempo fa l’Europa aveva la capacità di proiettare ovunque nel mondo una forza di invasione che nessuno poteva contrastare. Ergo, tutte le risorse venivano drenate e indirizzate al centro. Allo stato attuale questa egemonia si trova in uno stato di decadenza, che è prima concettuale e morale, poi demografico.

    Sopravvive solo lo scalino tecnologico, non si sa per quanto. Noterai che di recente è stata inventata la famosa “guerra pulita”, cioè la guerra in cui noi mandiamo delle macchine ad ammazzare i selvaggi di qualche località remota. I nostri eserciti stanno sviluppando ordigni il più possibile automatici a questo scopo. Di contro, chi ci avversa lo fa esibendo l’esatto contrario, cioè il coltellaccio, lo sbudellamento, la decapitazione, il sangue fino ai gomiti. Tanto più noi con la nostra tecnologia vogliamo allontanare e rendere asettica la guerra, tanto più loro la vogliono avvicinare e ricondurre ai gesti e ai segni primordiali, noi chip e software, loro sangue e merda. Tanto meno figli noi facciamo, tanti più ne fanno loro. Noi abbiamo l’idea della guerra che dura delle ore, con uno spettacolo tipo “shock and awe” e loro hanno l’idea della guerra infinita, che attraversa secoli e generazioni.

    Comunque, la ragione per cui trovi nei supermercati “occidentali” ogni ben di dio e quando giri l’interruttore partono tutti i gadget elettromeccanici possibili ad immaginabili dentro casa tua è quella che ho scritto, ovvero che noi siamo DENTRO la sopracitata egemonia. Se fossimo FUORI ci troveremmo a dovere fare a meno di parte o tutte queste cose.

    Dai tempi dei Faraoni è sempre stato cosi. Se poi andiamo a vedere nel “micro”, la società si organizza per “caste”, sempre dalla remota antichità, al vertice ci sono i guerrieri e i sacerdoti, in mezzo gli scriba e gli artigiani, alla base la forza lavoro. Anche nel Paradiso del Popolo i capoccioni del Partito avevano accesso a “lussi” che erano ignoti alle caste inferiori.

    Il discorso che facevo a proposito della soluzione che vede tutti “uguali” tranne i “superuomini” significa esattamente questo, cioè ricondurre sempre lo stesso schema sopra descritto alla grandezza massima possibile. La “equalizzazione” massimizza il problema invece di ridurlo. Faccio un esempio banale, se esistesse una unica Chiesa per tutta l’umanità, le cattedrali sarebbero “n” volte più grandi.

    La faccenda delle “migrazioni di massa”, come dicevo, non è per nulla accidentale, è una delle leve con cui certe elite apolidi stanno attuando il Piano che prevede la demolizione della “egemonia”. Ci sono due ragioni, una immediata, cioè creare il caos per dominare e l’altra è che la ricostruzione sulle rovine offre opportunità

  5. Aggiungo: certi discorsi, cambiando l’argomento, mantengono una stessa meccanica. Il discorso sul “cibo” è molto simile ai discorsi sulle “energie rinnovabili”. C’è gente a cui piace tanto baloccarsi con l’idea che si possa soddisfare la domanda di energia del mondo captando la luce del sole che non solo ignorano a bella posta alcuni limiti meccanici invalicabili ma, quando costretta, postula l’ecatombe, una riduzione del numero degli esseri umani di 10 volte, come soluzione. Che è a sua volta un paradosso perché l’ecatombe non elimina i limiti meccanici, li rende solo irrilevanti, posto che riducendo di 10 volte l’umanità ci sarebbe “n” volte energia di avanzo mantenendo la produzione ai livelli attuali.

    Non so, sembra che a molti sia necessario vivere di fantasia, o di fede se preferisci, per non dovere affrontare davvero il mondo.

  6. gaiabaracetti

    Il cibo si produce anche da sè. Una zona meno densamente popolata mette a disposizione risorse che richiedono meno lavoro umano e meno macchinari (e quindi meno energie). Si può sostituire la caccia all’allevamento intensivo, ad esempio, o utilizzare pascoli molto grandi in cui gli animali si alimentano da soli, o raccogliere castagne dai boschi che è molto meno faticoso che coltivare cereali. La produzione di cibo non dipende solo dagli input energetici ma anche dalla densità umana. Però bisognerebbe ridurla davvero di molto per usufruire di questi vantaggi. Le società di cacciatori raccoglitori facevano molta meno fatica di quelle di agricoltori (quando ci fu il passaggio, non ora con il petrolio), solo che vivevano in zone a bassissima densità antropica.

  7. Sarebbe bello se si potessero condividere questi articoli anche su Twitter…
    Mandi

  8. “Le società di cacciatori raccoglitori facevano molta meno fatica di quelle di agricoltori (quando ci fu il passaggio, non ora con il petrolio), solo che vivevano in zone a bassissima densità antropica.”

    Oh signore. I cacciatori raccoglitori non formavano nessuna “società”, erano dei clan familiari di pochi individui costretti a spostarsi di continuo proprio perché esaurivano le poche risorse disponibili appena si fermavano, oltre che essere completamente dipendenti dai cicli stagionali.

    A me fa ridere la visione del “buon selvaggio” che si gratta la pancia tutto il giorno poi allunga una mano e coglie i frutti dai rami. Non ha mai funzionato cosi, tutto il contrario, era una vita sempre sul filo del rasoio, dove un minimo imprevisto era questione di vita o morte e dove bisognava mangiare insetti e vermi, contendere le carogne agli animali spazzini (da cui concorrenza con orsi e lupi).

    L’agricoltura e l’allevamento furono due enormi invenzioni che permisero di fabbricare artificialmente le risorse che non erano disponibili in natura. Si trattava sia di avere il controllo sui tempi e sulle quantità, sia di potere selezionare le qualità più favorevoli. Le specie allevate e coltivate diventarono via via più redditizie.

    La maggior disponibilità di cibo permette ovviamente una vita più comoda, meno precaria, ergo il clan familiare si può permettere di produrre la famosa “cultura” e di tramandarla tra le generazioni. Il sapere si accumula e il processo tecnologico accelera. Anche perché il nomade deve portarsi addosso tutto quello che possiede, chi non è costretto a muoversi può costruire non solo case ma anche strumenti via via più complessi, pensiamo alla tessitura, la ceramica, la metallurgia, eccetera.

    I cacciatori raccoglitori erano ovviamente territoriali e occasionalmente competitivi, perché era vitale avere il controllo sulle poche risorse disponibili. Non erano affatto pacifici. Ma quando si riusci a produrre il cibo invece di raccattarlo in giro, si creò la necessità di conservarlo in un granaio e il granaio diventò qualcosa che vale la pena di saccheggiare. Nello stesso tempo lo sviluppo tecnologico e il surplus alimentare rese possibile della guerra come attività non occasionale (quando due bande di cacciatori si incontrano) ma sistematica, perché appena tracci il solco devi anche forgiare la spada (citando un motto mussoliniano).

    E’ facile sperimentare tutto quello scritto sopra. Basta andare un weekend in mutande e maglietta in un bosco e provare a vivere come “cacciatori raccoglitori” per vedere l’effetto che fa. Poi si può andare in qualche vecchia cascina e provare a vivere come contadini.

    La morale della favola è che tutto il discorso sul “cibo per tutti” è aria, aria fritta da gente che non solo preferisce re-inventare la Storia e guardare il presente attraverso fette di salame ma sopratutto non ha mai provato cosa significa essere sempre sul punto di morire di fame e di freddo e mangiare qualcosa che è morto da una settimana, crudo.

  9. gaiabaracetti

    Mi dispiace, ma ti sbagli. Sono stati fatti studi sugli scheletri di cacciatori e raccoglitori e di agricoltori loro contemporanei, e gli agricoltori avevano una dieta meno varia ed erano tendenzialmente peggio nutriti. Quindi quello che tu dici è falso.
    Probabilmente si adottò l’agricoltura non perché permettesse di vivere meglio, ma perché permetteva di sostenere popolazioni più numerose su un dato territorio. Per vivere di caccia e raccolta bisogna disporre di spazi molto grandi: così facendo si è sicuri che, spostandosi e sapendo come non prelevare eccessivamente, c’è sempre qualcosa.
    Inoltre, sono state studiate società di cacciatori-raccoglitori relativamente contemporanee alla nostra, e si è visto che lavorano molto poco in paragone a noi. Certo, hanno meno, e non sto dicendo che dobbiamo vivere esattamente come loro, solo che ci sono varie combinazioni possibili.
    (Se ti interessa, ne parlo in questo post e linko le fonti e altri materiali sull’argomento)
    Ovviamente stiamo parlando di un’agricoltura “primitiva” rispetto a quella attuale, che è estremamente redditizia da un certo punto di vista ma estremamente inefficiente dall’altro, visto che consuma più energia di quanta ne rende (sostanzialmente trasformiamo petrolio in cibo). Nella storia umana la popolazione si è quasi sempre espansa fino ai limiti possibili, crollando o emigrando quando li aveva superati (o alterati, restringendoli, a causa dei danni che aveva fatto). Bisognerebbe rompere questo schema, ma questo richiederebbe un cambiamento culturale enorme.
    Io non propongo un ritorno alla caccia e raccolta, ma ho osservato che avendo a disposizione spazi più grandi si può fare meno fatica (per esempio far pascolare gli animali anziché lavorare la terra per produrre il cibo da dargli, far riposare i terreni, raccogliere erbe selvatiche, funghi, noci…).

  10. gaiabaracetti

    E orsi e lupi non sono concorrenti perché mangiano le carogne ma perché predano gli stessi animali che prediamo noi e soprattutto gli animali che alleviamo, che sono facili da prendere.

  11. “. Sono stati fatti studi sugli scheletri di cacciatori e raccoglitori e di agricoltori loro contemporanei, e gli agricoltori avevano una dieta meno varia ed erano tendenzialmente peggio nutriti. ”

    Gaia, basta che ti guardi attorno. TUTTI i giornali, TUTTI i canali TV, TUTTE le pubblicazioni e specialmente i libri scolastici e i testi universitari SONO STRUMENTI DI PROPAGANDA e LAVAGGIO DEL CERVELLO.

    Quindi dicendo “sono stati fatti studi” esprimi un concetto che per me non ha alcun valore, zero. Sono stati fatti studi su qualsiasi cosa e sono stati usati per fare e dire le cose più incredibili.

    Io ti faccio una domanda banale, dello stesso gruppo di banalità che come dicevo contraddicono lo “ambientalismo fanatico” e il “globalismo fanatico”.

    Se la vita dei “cacciatori e raccoglitori” era tanto più comoda di quella dei contadini, spiegami perché mai una persona si stabiliva da qualche parte a coltivare la terra e soffrire le pene dell’inferno invece di girare raminga vivendo felice e contenta della ricchezza di Madre Natura. Il masochismo non è nella natura umana, mentre è evidente che LA NECESSITA AGUZZA L’INGEGNO. Le tecnologia non è uno spasso, è una necessità.

    Oltre a questa domanda, ti invito ancora a fare la prova sperimentale. Prova di persona a vivere cacciando e raccogliendo e poi mi dici se è più o meno facile che coltivare l’orto e tenere galline e conigli.

    Ultima cosa: per un momento prova a pensare che tutto quello che ti hanno detto fino ad oggi sia falso.

  12. Scusa se sono pedante ma mi è venuto il dubbio che tu non riesca a cogliere il nesso, cioè quale catena la fanfaluca sui “cacciatori raccoglitori” è destinata a spezzare e a quale scopo. Riesci a capire perché, riesci a vedere lo scopo oppure no?

    Riesci ad unire i puntini delle “società matriarcali”, bla bla?

  13. gaiabaracetti

    Come ti dicevo, perché l’agricoltura permette di sostenere popolazioni più numerose su un dato territorio, per cui una volta che la popolazione ha un’alta densità vivere di caccia e raccolta è impossibile.
    Riguardo al provare, è proprio quello che sto facendo. Io vedo che per allevare animali lavori tutti i giorni, per cacciare o pescare un giorno ogni tanto. Per avere con l’allevamento le proteine che ti dà un singolo cervo, cinghiale o capriolo devi lavorare ore al giorno per mesi. Idem per la raccolta, attività che ogni tanto svolgo personalmente e che tanti qui svolgono (funghi, erbe spontanee, in altre zone nocciole, castagne…) Vai, ti fai una passeggiata, raccogli, torni a casa e mangi. L’unica fatica è camminare, e se pensi che noi camminiamo anche solo per piacere, quasi non la conterei come fatica.
    Solo che per poter cacciare e raccogliere servono spazi molto ampi non abitati o lavorati da esseri umani. È solo questo il punto. Infatti in zone dove si caccia o raccoglie troppo le specie si estinguono rapidamente e/o devono essere protette. La permacoltura cerca di ricreare parte dei vantaggi della raccolta in spazi più ristretti appositamente progettati.
    Può darsi che quello che mi dicano sia falso (anche se ovviamente io ripongo fiducia, entro i limiti del mio discernimento, nel metodo scientifico), ma quello che vedo tutti i giorni no. E quello che vedo tutti i giorni conferma proprio quanto da me detto sopra.

  14. gaiabaracetti

    Riguardo alla propaganda, pensare che piccoli studi di archeologi su scheletri trovati qui e lì e letti da una ristretta comunità di interessati siano strumenti di controllo delle masse mi sembra un po’ ridicolo. Non è che la sera il telegiornale mostra Renzi che dice: l’Italia riparte con la caccia e raccolta! I gufi che non vogliono cambiare continuano a coltivare la terra… o cose simili.

  15. D’accordo che Renzi è quel che è, però non penso possa arrivare a immaginare dei gufi che coltivano la terra… anche se, a ben pensarci… sì, forse potrebbe. Magari quella della marmotta che incarta la cioccolata è sua!

  16. Gaia scusa ma il non credo nemmeno per un nanosecondo che tu sia in grado di sopravvivere costruendo armi senza utensili di metallo, uccidendo animali selvatici con queste armi e quando non ci riesci, nutrendoti di bacche e noci che dalle nostre parti non sono abbondanti e quando ci sono, è per un breve periodo. Ti faccio presente che la caccia in passato era il metodo con cui la nobiltà si addestrava alla guerra, non solo perché era scomodo e pericoloso ma anche perché mutilare, uccidere, sbudellare, non è una cosa facile, richiede un certo condizionamento. La nobiltà aveva cavalli, armi relativamente sofisticate di metallo, servi e cibo di scorta, non era scalza e nuda come te, cacciatrice raccoglitrice sperimentale.

    Non credo nemmeno che tu sappia conciare una pelle, posto che tu abbia ucciso l’animale e che tu l’abbia scuoiato con una pietra aguzza o un osso affilato. Non credo che tu sappia costruire un riparo usando quello che trovi in giro e strisce di budello di animale, perché tutto quello che hai te lo porti sulle spalle e che con questo riparo tu possa superare un inverno all’aperto, cosa che ti obbliga a scendere parecchio a Sud nel tuo migrare.

    “Vai, ti fai una passeggiata, raccogli, torni a casa e mangi”
    Si, a Paperopoli o a Topolinia. Sull’Isola Che Non C’è.
    L’erba spontanea contiene zero nutrienti, mangiando solo quella muori di fame. I funghi, che non crescono comunque in inverno, non si conservano quindi non li puoi portare nella sporta, li devi mangiare subito, crudi perché come nomade non possiedi stoviglie e non puoi fare la zuppa. Anche quelli contengono poco o nulla di nutrienti. Hai le more e altre bacche in tarda estate, come i fughi le devi mangiare immediatamente.Le castagne ci sono solo alla fine dell’autunno. Dato che sei cacciatrice raccoglitrice nomade, non hai una casa o un magazzino, hai una sporta dentro la quale ci puoi mettere diciamo 10 kg di castagne che forse ti bastano per 20 giorni. Le nocciole idem, si raccolgono in autunno, diciamo altri 10 kg (che significa che vai in giro con 20 kg di carico) altri 20 giorni,. Ti rimangono solo 320 giorni dell’anno in cui devi trovare qualcosa che non sia castagne e nocciole..

    Tieni conto che se per caso io ti vedo in giro con la tua sporta di castagne e nocciole, ti do una botta in testa con un bastone e mi prendo tutto, Poi ti lego con un laccio al collo e ti faccio masticare la pelle per fare i miei abiti. Quindi, oltre tutti i problemi sopra esposti, ti devi anche nascondere, da cui meglio se non accendi un fuoco e se non lasci tracce sul terreno. Io potrei avere dei cani, entro un certo raggio sentirebbero il tuo odore.

    La faccenda degli “scheletri”. Ovviamente non si tratta della cosa in se, che pure presenta cento aspetti tecnici privi di senso ma del flusso continuo di informazioni artefatte che servono per incanalare il “senso comune” in una direzione o l’altra. La faccenda delle società “ideali” preistoriche e, per inciso, matriarcali, nasce in un certo contesto “politico” che aveva e ancora ha come scopo la demolizione della idea di “occidente”, in questo caso partendo dalle premesse storiche. Non si tratta affatto di una questione meramente “scientifica”, termine sempre abusato, ma di ridefinire il bene, il male e l’identificazione delle persone. Te lo semplifico, lo scopo è convincerti che sei un povero stronzo, tuo padre era un povero stronzo, tuo nonno idem, il tuo bisnonno idem e via via, una intera linea evolutiva di stronzi maledetti da Dio, che portano la COLPA di avere deviato dal “disegno divino”, lo “pseudo-paradiso-terrestre” bucolico, anti-industriale e ugualitario e ecumenico.

  17. Un’altra cosa Gaia. Pensa se una donna partorisce 10 figli e ne muoiono 7 di malattie e stenti. Questo è il mondo dove la popolazione non aumenta in virtù di Madre Natura. Detto cosi in maniera asettico-nazista non fa molta impressione, bisogna avere l’ennesimo figlio morto in braccio forse per capire che le castagne e i funghi sono una stupidaggine.

  18. gaiabaracetti

    Lorenzo, ti prego, non travisare sempre quello che dico. Io NON ho detto che sarebbe meglio vivere come vivevano i cacciatori-raccoglitori di x mila anni fa, né che sarei in grado di essere completamente autosufficiente e azzerare praticamente l’intera storia dell’evoluzione fisica e culturale umana. Ho detto che tra cacciatori-raccoglitori e agricoltori loro contemporanei, quindi società paragonabili in quanto a tecnologia, sistema valoriale (almeno nel momento del passaggio), ambiente esterno, pare che i primi fossero meglio nutriti dei secondi. Ho anche detto, ma non era il punto fondamentale del mio post bensì una risposta a una tua obiezione, che oggi giorno avere più spazio a disposizione permetterebbe di fare meno fatica nel procacciarsi del cibo, a parità di tutto il resto. Cioè: è meno faticoso raccogliere castagne che coltivare grano, è meno faticoso far riposare un campo piuttosto che concimarlo, sarebbe meno faticoso far pascolare una mucca piuttosto che coltivare il cibo da darle, se non ci fossero i combustibili fossili che prima o poi non ci saranno nelle quantità attuali, eccetera.
    Le società native del Canada, ad esempio, che hanno vissuto da cacciatori-raccoglitori fino a tempi recenti e in parte ancora lo fanno ma usano tecnologia moderna, si spostano molto seguendo il cibo e le stagioni, occupano territori vastissimi e stanno molto attenti a non prendere più di quello che è sostenibile. Questo non è compatibile con le esigenze delle società loro vicine di origine coloniale (sedentarie, più dense, consumistiche), che infatti hanno reso questo particolare stile di vita in gran parte impossibile nel momento in cui si sono appropriate delle loro risorse.
    Questo non c’entra niente con ipotetici paradisi paleolitici o tolleranza alla mortalità infantile o farsi gli utensili a mani nude.

  19. fortunatamente ci sono dei cataclismi periodici che resettano tutto e si riparte da zero… quindi anche se sputtaniamo tutto quanto, basta una glaciazione e non se ne accorge nessuno.
    è un po’ come se scrivessimo sui muri e defecassimo sul pavimento, vista giorno per giorno è una schifezza ma dopo che la casa è bruciata non se ne accorge nessuno.

  20. gaiabaracetti

    Ciao Alessio. A te piacerebbe essere travolto da un cataclisma? A me no, e anche se mi piacesse, non mi permetterei di augurarlo agli altri. È anche, se ci pensi, un modo per non fare niente. Venisse anche questo cataclisma, i danni che abbiamo fatto al pianeta sono in gran parte non riparabili, o riparabili in tempi lunghissimi, e anche la Terra non è eterna

  21. Una Gaia scatenata sforna post a tutto spiano come ai vecchi tempi! 🙂
    Credevo che la pastorizia ti avrebbe tenuta piu impegnata….
    Chiamani quando sono pronte le prime caciotte, eh! 🙂

  22. Infatti ho scritto solo perché fare fieno mi ha fatto venire il mal di schiena ed ero bloccata a casa… Da domani si ricomincia.

  23. Certo che c’è cibo per tutti. Se gli affamati sono solo 800 ml su 7 miliardi è evidente che basta ridistribuire il cibo più razionalmente. È aritmetica.
    Ma questo non significa che il mondo possa reggere con questa pressione dato che la produzione di cibo per 7 T consuma risorse non rinnovabili quali petrolio terra ed ecosistemi.

  24. Ijk_ijk, l’intero mio post serve a confutare l’affermazione che hai appena fatto. Se non sei d’accordo spiega perché, argomentando come ho fatto io, altrimenti è abbastanza scoraggiante passare ore e ore a spiegare una cosa nei dettagli solo per sentirsi dire, senza motivo: “è evidente che è il contrario di quello che dici tu, lo dice l’aritmetica.”
    D’ora in poi cancellerò, lo dico subito, anche i commenti che non aggiungono niente al dibattito (e per aggiungere non intendo darmi ragione, ovviamente) o addirittura fanno, senzacontribuire nulla di nuovo, affermazioni a cui ho già risposto.

  25. 1 T = 1012 (mille miliardi)
    …immagino volesse dire 7 miliardi (quindi 7G e non 7T), perché 7.000 miliardi di persone credo siano un po’ troppi per il nostro pianeta. Siamo fuori di 3 ordini di grandezza, che (scientificamente) non è poco.

    Anche aritmeticamente non è che si dimostri qualcosa, perché se per esempio il surplus di cibo che avanza ai 6,2 miliardi di persone che mangiano è inferiore al fabbisogno degli 800 milioni che restano a secco (800 milioni > 1,5 volte la popolazione di tutta l’Europa o > 2,4 volte la popolazione di tutti gli USA, tanto per intenderci), allora ci sarebbe sempre qualcuno che non mangia, anche se i 6,2 miliardi che mangiano hanno più di quanto loro occorra.

    Il problema è sempre lo stesso: cercare di ridurre all’elementare ciò che è intrinsecamente complesso e non suscettibile di semplificazioni, a meno di non snaturare il nocciolo della questione. Uscire dall’Europa. Reintrodurre la lira. Bloccare l’immigrazione. Cambiare la Costituzione. Separare l’Italia. Eliminare il parlamento. Eliminare le pensioni. Privatizzare la Sanità. Eliminare le tasse, facendo pagare solo un’aliquota sulle spese certificate. Esiliare i musulmani residenti. Vietare le intercettazioni.
    Redistribuire il cibo.

    P.S. 1) Prima che qualche lettore parta lancia in resta alla mia crocifissione urlando: non vuole bloccare l’immigrazione! non vuole cambiare la Costituzione! etc. etc., voglio dire che un conto è sparare affermazioni di questo tipo senza spiegarne il come, il quando, il dove; altro è invece l’analizzare seriamente pianificazioni, scenari e conseguenze. C’è una bella differenza, la stessa che passa quando Renzi dice che oramai l’Italia è in ripresa, e me che cammino per strada e vedo negozi e fabbriche chiuse.

  26. Gufo! 🙂
    Infatti: l’argomento del cibo è uno dei più complessi che esistano. Persino una delle soluzioni che propongo, cioè impegnarsi a ridurre nel modo più indolore possibile il numero di bocche da sfamare, è necessaria ma non sufficiente, perché comunque a una bocca corrisponde anche un paio di braccia che quel cibo devono produrlo: in epoche meno popolate della nostra ci sono state grandi carestie, non dovute sempre ed esclusivamente alla sovrappopolazione (anche se contribuiva).

  27. Gaia mi dispiace (o forse no), ma ha ragione LorenzoC (in parte).
    La logica è semplice (anche se pare non ti sia gradita la semplicità):
    Avresti mai potuto scrivere su un computer/mac/ipad/smartphone/ecc.ecc. se i nostri antenati avessero continuato ad avere come unico loro problema la sopravvivenza?
    Io amo la montagna. Vado a camminare spesso quando posso. Cerco di scegliere percorsi lunghi anche di 120-140km che mi possano portare via dal lavoro per più di 3-4 giorni. Spesso mi trovo ad altitudini superiori ai 2500mt (anche perché arrampico). Quando mi lancio in queste “vacanze” mi rendo conto che se la mia attenzione non sta su quello che faccio e sulla razionalizzazione di ogni mia singola decisione (es. centellinare il cibo e l’acqua, valutare condizioni climatiche, prestare attenzione al vestiario), io rischio il botto grosso.
    Razionaliziamo questa mia passione:
    Lavoro tutto l’anno sotto pressione, sforzando sia fisico che mente, eppure vado in “vacanza” in un posto dove il relax non è certo all’ordine del giorno, come mai?
    Semplice: devio la mia attenzione (la mia mente) su una cosa più basilare come l’arrivare da un punto A ad un punto B cercando di non morire e magari di godere di paesaggi meravigliosi. Non ho le preoccupazioni del lavoro, le responsabilità del lavoro o della vita quotidiana.
    Il cacciatore/raccoglitore non si preoccupava di niente se non dei bisogni base di qualsiasi animale: mangiare, sopravvivere al giorno, trovare un posto riparato per dormire la sera (punto).
    Se i nostri antenati non avessero deciso di diventare agricoltori e allevatori, io non avrei mai potuto esprimere un pensiero logico o anche solo un idea molto astratta su un qualsiasi argomento (come d’altronde non avrebbe potuto LorenzoC o tu medesima).
    Quando dici che “degli studi” dimostrano che i cacciatori vivevano meglio degli agricoltori e allevatori parli del nulla, poiché gli stessi studi da te citati e le stesse tue parole sono frutto solo del progresso culturale ottenuto attraverso l’invettiva dell’agricoltura e dell’allevamento.
    Ti stai sconfessando da sola.
    Con tutta probabilità hai estrapolato uno studio scientifico preciso che valutava le condizioni dell’uomo nel periodo di transizione tra caccia-raccolta e agricoltura-allevamento, decontestualizzandolo per arrichire una tua tesi che si conclude in nulla di fatto.
    Perché di questo parli di “nulla”.
    L’uomo (come ogni animale) si riproduce e aumenta di numero la dove le condizioni sono favorevoli (questo lo abbiamo scoperto più di 200 anni fa).
    E’ totalmente fuori logica pensare che lo stile di vita dell’uomo nomade è più prolifico dello stile di vita dell’uomo sedentario, ti sconfessa la storia, ti sconfessa un qualunque studio scientifico, ti sconfessa la vita di tutti i giorni, ti sconfessano le tribù nomadi della mongolia, ti sconfessi da sola perché gestisci un blog.
    Detto ciò se poi poni la discussione sul piano del “Don’t worry be happy” o del “Love nature” facciamo comuni di cacciatori e raccoglitori senza soldi è pura libertà di girovagare per i boschi, io mi unirei per primo, ma purtroppo esiste la realtà.

    e la forestale.

    Un abbraccio, Michele.

  28. Michele, ti prego di leggere con attenzione quanto ho scritto. A parte che non sta scritto da nessuna parte che il cacciatore o il raccoglitore pensassero solo alla sopravvivenza: se tu conoscessi qualche cultura di questo tipo, sapresti che può essere molto profonda e raffinata e dare un senso alla natura da cui dipende che va ben al di là della mera sopravvivenza. E, a differenza dei vacanzieri, lo fa tutti i giorni della sua vita in maniera completa e non solo in maniera parziale (arrivare da A a B senza morire mi sembra molto più concentrato sulla sopravvivenza del conoscere tutte le migrazioni delle anatre e tutte le bacche commestibili e il loro legame con le stagioni, e dare un significato a questa conoscenza) e qualche giorno all’anno. Comunque, io non ho mai detto che bisogna tornare a vivere di caccia e raccolta e fare quello che i nostri antenati facevano migliaia di anni fa. Io ho detto che, se avessimo più spazio a disposizione, potremmo procurarci una parte del nostro cibo con sistemi meno faticosi e più rispettosi dell’ambiente, come la caccia e la raccolta, non che TUTTA la nostra produzione di cibo dovrebbe arrivare da queste fonti. Per fare questo, però, dovremmo essere di meno. E siccome tantissimo di quanto è stato prodotto finora dalla civiltà umana e che, immagino, sia io che te consideriamo prezioso, dai miti alla scienza, dalla letteratura alla tecnologia, dall’arte alla matematica, è stato prodotto da società molto meno popolose di quelle attuali, direi che ridurre i nostri numeri non fermerebbe la produzione umana.
    Ricapitolando, nel caso non fosse ancora chiaro: è meglio uccidere un cervo che tenere un maiale in un allevamento intensivo. È più rispettoso dell’animale e richiede di mantenere l’esistenza di quei boschi che chi va in montagna tanto apprezza. Ed è meglio tenere un maiale a grufolare in un bosco che alimentarlo con soia tenendolo chiuso in una gabbia, per gli stessi motivi. Per mangiare cervi e non maiali intensivamente allevati, però, dobbiamo essere molti, molti meno di ora.

  29. Gaia: “tantissimo di quanto è stato prodotto finora dalla civiltà umana e che, immagino, sia io che te consideriamo prezioso, dai miti alla scienza, dalla letteratura alla tecnologia, dall’arte alla matematica, è stato prodotto da società molto meno popolose di quelle attuali, direi che ridurre i nostri numeri non fermerebbe la produzione umana”

    A parte l’inezia del fatto che avrei scelto un lemma diverso da “produzione”, mi fai notare un particolare sul quale non mi ero mai soffermato. Grazie, perché è un particolare prezioso che trovo molto opportuno non solo affermare e riaffermare, bensì anche sottolineare con forza in ogni discussione su questi temi (e anche nelle mie più o meno utili riflessioni personali). Ne farò tesoro.

    P.S. Il punto non vale quando consideri le realizzazioni della tecnologia “avanzata” sul modello odierno: senza la “base” economica e industriale ipertrofica che solo i grandi numeri possono esprimere (senza soffermarsi sul come, sul perché e sul quanto eticamente) certe cose proprio non sarebbero realizzabili. Poi uno dovrebbe chiedersi fino a che punto si tratti di cose che è effettivamente opportuno realizzare, ma lì il discorso s’allargherebbe ulteriormente…

  30. Ciao Gaia,

    Perché mi chiedi di leggere attentamente se poi non lo fai tu stessa!?
    Le filosofie e le tradizioni di un popolo migratore sono dettate dal bisogno basico della sopravvivenza. È normale che un popolo migratore sappia esattamente quale sia il percorso delle anatre o il germogliare delle bacche selvatiche o che dia importanza e riconoscimento a processi naturali che noi oggi ignoriamo. Da quello che scrivi mi pare ti sia fermata a Rousseau. Come ti ho scritto in precedenza anche per me sarebbe un mondo migliore quello che tu prospetti, ma se il punto della discussione prende questa deriva, cara mia tu stai parlando del niente.
    “Io voglio la pace nel mondo”
    “Le armi sono una cosa brutta”
    “L’allevamento intensivo fa male (e fa schifo)”
    “L’uomo sta distruggendo la terra”
    ” A me piacciono i sassi”
    E quindi!?
    Tutto quello che scrivi è corretto, ma se la tua conclusione è utopica mi dispiace ma nel 2016 parli del nulla. Tutto molto bello, ma ho finito il liceo.
    Non voglio essere cattivo o antagonista a tutti i costi, ma non sopporto più di leggere parole a vuoto, sopratutto scritte da persone che ritengo capaci di logica e ragionamento.

    P.S. A titolo personale: quando ti trovi sui monti di notte nella nebbia con la neve è devi trovare riparo all’aperto per dormire, quando trovi una sorgente di acqua piovana e devi capire che tipo di minerali ci sono dentro per non rischiare di bere mercurio, ed altre di queste tante esperienze, tiri fuori tutto il buon selvaggio che hai in te. Ti avevo portato il mio esempio personale proprio per farti riflettere sul fatto che semplicemente sposti le tue attenzioni su bisogni fisici più basilari che rimandano alla sopravvivenza. (Il che non vuol dire limitarsi solo ad andare da un punto A ad un punto B, ma escogitare il metodo migliore per farlo, evitando scomodi inconvenienti). Quindi, prima di puntare il ditino quasi a voler sminuire la mia figura a semplice vacanziero che va a fare la passeggiata la domenica, pensaci 100 volte, perché non è né corretto, ne carino.

    Ancora un abbraccio, Michele.

  31. Ho citato qui questa pagina.

  32. UUIC devi avere tendenze masochiste….sai già che in un forum di vegani, antispecisti ecc ecc, a meno che tu non sia d’accordo con loro, non hai chance di sopravvivere (intelletualmente parlando…) 🙂

  33. Guarda che lui è lo stesso che nel mio post “La storia dell’orso” ha difeso l’orso 🙂

  34. Sì ma io ricordo post in cui parlava di succulenti cotechini e profumati ragù! 🙂 🙂

  35. Gli orsi sono sempre lì a un passo da ritornare verso l’estinzione (almeno localmente in gran parte d’Italia).
    Ben diverso che parlare di animali allevati.
    In ogni caso una diminuzione forte della popolazione umana, oltre ad assicurarci standard vita nettamente migliori, resilienza, stabilità nell’approvvigionamento di risorse rinnovabili, etc., consentirebbe anche un recupero della superficie/territori selvatici che non solo solo accumulatori di risorse per gli homo e biodegradatori dei suoi rifiuti ma sono anche riserva di biodiversità. Direi utile per gli stessi esseri umani oltre che… per gli orsi.

  36. E forse porrebbe anche fine a quell’abominio (inizio a pensarla così) della reintroduzione artificiosa di animali localmente estinti, che crea nuovi squilibri e favorisce animali fotogenici o simbolici a discapito di tutte quelle altre creature (animali e vegetali) che vanno estinte ogni giorno senza che nessuno se ne accorga, men che meno pensi di reintrodurle.
    Se ci fossero meno autostrade, gli orsi tornerebbero in Trentino a piedi.

  37. Pingback: meraviglia | gaia baracetti

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