“Un anno, 4 mesi e 21 giorni viaggio dalla morte all’Italia”: questo il titolo del reportage di Ezio Mauro sulla tragedia del barcone con 78 immigrati, di cui solo cinque sono riusciti a sopravvivere e arrivare a Lampedusa. Mi sembra ci siano alcune incongruenze (come fa Titti ad avere 27 anni? come si fa a sopravvivere 15 giorni senza bere?), ma comunque il racconto è una testimonianza angosciante e agghiacciante. Di nuovo torna la domanda: ma come possiamo permettere che ciò accada? Ma a me di domande ne vengono anche altre. Come possono i parenti, gli amici, i conoscenti di queste persone, quelli che sono in Italia, permettere che partano, sapendo a cosa vanno incontro? Forse sbaglio, ma a me la rabbia più grossa saliva al pensiero che i migranti veramente non sappiano davvero cosa e per cosa rischiano. O forse un po’ lo sanno, ma non si rendono conto, e quando se ne rendono conto, sono già abbandonati in mezzo al Sahara, o su una barca alla deriva, ed è troppo tardi. Le domande sono sempre le stesse, quelle che faccio in continuazione, e che penso la gente si faccia sempre di più: per quante persone c’è posto in Italia, o in Europa? Esattamente perché partono: perché persino la morte è preferibile alla vita dove sono nati, oppure perché inseguono un miraggio, una bugia collettiva, addirittura un sogno di benessere? Probabilmente entrambe le cose sono vere. E infine: cosa si può fare per evitare che queste tragedie accadano? Non si possono far entrare tutti, ma chi si fa entrare? E gli altri? Quando in un paese si sta bene e c’è lavoro, sono pochi quelli che se ne vanno. Da alcuni paesi si sono già ridotti i flussi. Ma quando e come accadrà questo?
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gaiabaracetti su Dobbiamo essere più forti… gaiabaracetti su Alla Clemente Paolo su Alla Clemente gaiabaracetti su Alla Clemente Paolo su Alla Clemente
grazie per la pubblicazione 😉