serve una mano

Qualche mese fa il Comitato TPL FVG, di cui faccio parte, ha lanciato un sondaggio per scoprire gli eventuali problemi del servizio di trasporto pubblico locale. Nonostante il sondaggio fosse disponibile soltanto su internet abbiamo ottenuto oltre seicento risposte, in gran parte di studenti universitari, raggiunti facilmente grazie alle nuove tecnologie (l’e-mail). Oltre alle domande con risposta a scelta multipla c’erano anche spazi liberi in cui scrivere quello che si voleva. Siamo stati inondati di lamentele e proteste, alcune espresse più veementemente di altre, suggerimenti, sfoghi, richieste accorate.

Una delle domande che avevamo posto era: “saresti disposto a dare una mano al Comitato?” Oltre l’ottanta per cento ha risposto di no. Del venti per cento che si era invece detto disponibile, quasi nessuno ha poi risposto alle mail; siamo riusciti a contattare un solo studente, che ha chiesto un incontro per dirci tutto quello che non andava e poi sottrarsi a eventuali impegni futuri con noi con la motivazione che lui doveva studiare.

Stiamo parlando di studenti universitari: giovani e quindi, presumibilmente, idealisti e pieni di energie; senza famiglie da mantenere, anzi spesso mantenuti dalle famiglie, e con una relativa flessibilità di orario.

Il resto della popolazione regionale, comunque, non è tanto meglio. Non voglio stare qui ad annoiarvi con una panoramica del mio punto di vista personale su chi fa cosa e come da queste parti. Tra parentesi, dopo aver scritto su un giornale universitario (io che l’università l’ho finita da quasi dieci anni, perché non c’è abbastanza gente effettivamente universitaria che ci scrive) che ero delusa dalle associazioni ambientaliste, un noto e anche indefesso ambientalista locale si è offeso e mi ha detto che allora lui era deluso da me, che volevo spaccare il mondo (non la sua esatta espressione) ed ero troppo radicale.

L’unica cosa che voglio dire, in generale, è: friulani, sveglia! Ma sveglia veramente. Ma veramente veramente veramente veramente: svegliatevi. Un pezzo alla volta stiamo perdendo tutto quello che davamo per scontato, mentre la situazione peggiora: prima si agisce, più possibilità si hanno di salvare quello che vale di più e di trovare soluzioni nuove ai problemi che si stanno, visibilmente, presentando.

Anche gli italiani si devono svegliare. È troppo facile protestare e abbandonarsi all’immortale passatempo italico del dare la colpa a qualcun altro: guardando bene, scoprirete che la colpa di quello che non va è in buonissima parte tutta vostra. Quindi: italiani, sveglia. Se volete che qualcuno faccia qualcosa, cominciate voi.

Lo so che è antipatico. So anche che in regione ci sono molte persone che si danno da fare per qualcosa, qualsiasi cosa, o che hanno situazioni personali oggettivamente molto difficili che non lasciano tanto tempo per occuparsi del bene comune. Ma la stragrande maggioranza delle persone, compresi miei amici, familiari, conoscenti, al massimo si lamenta di qualcosa che non va, indica esempi di posti in cui la gente è seria e quindi le cose funzionano meglio, e getta al vento durante pigre conversazioni sterili qualche idea su cosa si potrebbe fare, senza però muovere un dito per farlo. Il fatto che io, con tutti i miei limiti e difetti, stia effettivamente cercando di fare qualcosa, e non riesca a nasconderlo, mi sta creando non pochi problemi interpersonali.

Ci sono tante questioni importante. Se già riempite le vostre giornate occupandovi di una o più di queste, ignorate il mio appello. Se invece avete ancora tempo a disposizione e vi rendete conto che inveire contro “questi che ci governano” e le cose che non vanno, od offrire soluzioni o commenti inviperiti su facebook senza schiodare il culo dalla sedia, non porta a grandi risultati, allora vi offro una possibilità: al Comitato TPL abbiamo bisogno di una mano. Causa le ultime defezioni, una delle quali curiosamente motivata con l’osservazione che eravamo troppo ambientalisti, siamo rimasti in pochi. Abbiamo costruito una rete importante di contatti e un bagaglio di conoscenze sull’argomento, ma tutto questo rischia di andare sprecato se non ci sono abbastanza persone che portino avanti il lavoro. Il trasporto pubblico locale ha un sacco di problemi, che probabilmente risulteranno ancora più evidenti man mano che la crisi economica e l’aumento del costo della benzina costringeranno più persone a “ripiegare” su di esso (non condivido l’idea predominante del ripiego, ma siamo culturalmente molto carenti in questo campo); come se non bastasse, i pochi che fanno qualcosa su questo fronte sono chiusi in piccoli gruppi corazzati che trovano ogni sorta di pretesto per non collaborare con gli altri. È un argomento importante su cui impegnarsi.

Ho molti amici che si lamentano di problemi riscontrati in treno o in corriera, ma quando dico: “allora vieni alle riunioni del Comitato” trovano un sacco di scuse. C’è chi non può perché ha troppi eventi mondani, chi trova da ridire sulla forma, chi non saprebbe come può essere utile, e così via. Sono tutti problemi risolvibili partecipando e correggendo la rotta, ma questo ovviamente sarebbe faticoso. La critica migliore che ci è arrivata finora, comunque, è: siete troppo propositivi. Dire “no” è molto meglio.

L’indirizzo mail del Comitato è comitatotplfvg@gmail.com Potete contattare anche me, o Elena a questo numero: 366 23 33 155

Se l’argomento non vi interessa, potrete sicuramente trovare qualcos’altro da fare in altri ambiti e qualche modalità che vi piace per farlo. Non dico per favore, perché non è un favore. Conviene a tutti darsi da fare, più di quanto convenga lamentarsi.

13 risposte a “serve una mano

  1. Mi è stato ricordato, giustamente, che il Comitato ha un altro problema, che è quello di coprire i costi della sua attività (spostamenti, stampe, ecc). Se qualcuno volesse contribuire in questo modo, anziché con il proprio tempo oppure in aggiunta ad esso, può farlo. Non abbiamo un conto in banca, ma ai futuri eventi avremo una cassetta per le offerte (che l’ultima volta è tornata vuota come era partita). Ovviamente il contatto dato sopra vale anche per chi volesse dare un sostegno economico, ma penso che prima di donare chiunque voglia vedere come operiamo, per cui rinnovo l’invito a partecipare e seguire il blog del Comitato.
    (La partecipazione è preferibile a qualsiasi altra cosa, ovviamente)

  2. Gaia, grazie della sollecitazione.
    Magari se mi spieghi qual è la frequenza delle riunioni del Comitato, ci faccio un pensiero. A dire il vero ne avrei già abbastanza, tuttavia la questione è di grande importanza per il nostro territorio. Vediamo…

  3. Ciao Fabiano,
    per il momento non c’è una frequenza precisa, ci incontriamo quando c’è qualcosa da discutere. Scriverò qui quand’è la prossima riunione, indicativamente la prossima settimana, così se qualcuno vuole può partecipare o chiedere di essere aggiornato.

  4. Ne ho parlato di recente con diverse persone: sembra che il mondo del volontariato e dell’attivismo tutto conosca un momento di scarsa partecipazione e una crisi numerica, soprattutto tra quei giovani che tu ti attendi idealisti, energici e con tempo a disposizione. Ma credo che che nella fascia dei 35; 40 anni la situazione sia solo poco meglio: tanto tempo dedicato a futilità, amenicoli alla moda, divertissment e poca voglia di fare nel concreto. E anche molto conformismo nelle idee. Sul perché abbiamo trovsto soli frssi fatte: materialismo, individualismo, ……ismo….
    Mah.

  5. Già. Paradossalmente, succede questo proprio quando non solo l’economia, ma anche la politica e la nostra società manifestano una grave crisi. Una curiosità, se ti va di dirlo: queste persone che si lamentano della scarsa partecipazione altrui, partecipano a loro volta?

  6. Devo direcchebilbloro più che un lamento é una triste constatazione. Uno crede che stiano semplicemente cambiando le modalità di partecipazione: dal fare le cose in prima persona a partecipare su interet alle varie petizioni tipo change.org, ai blog o ai movimenti virtuali di protesta ecc. che comunque secondo lui sono in grado di influenzare le scelte politiche e della societa più dei vecchi sistemi. E comunque sì, sono tutte persone attive, in un caso anche molto attive, nel settore ambiente o sociale.

  7. Io non credo che basti la militanza su internet: sicuramente la circolazione di idee aiuta e giunge anche a chi le decisioni poi le deve prendere, ma senza manifestazioni di piazza, iniziative concrete e anche prove di forza (non necessariamente violenza, ma forza) difficilmente si riesce a cambiare qualcosa. Per esperienza, poi, so che generalmente i politici con le firme ci si puliscono quello che sappiamo. Certo, sono utili per misurare il consenso o il dissenso, ma da sole non bastano.

  8. Sarà che per motivi professionali sbatto quotidianamente la fronte tra l’on-line world e il real-world, e noto sempre più frequentemente che le persone oramai hanno completamente perso la distinzione tra entrambi, (addirittura a volte facendo pesare, nella loro percezione della realtà, più gli effetti degli eventi on-line, che quelli della vita reale); so anche bene che le mie convinzioni ⸮ non siano esattamente al primo posto nella scala degli interessi degli altri ⸮ e che finisco sempre per ripetermi; però stento ancora a credere che il cosiddetto ‘slacktivism’, comodamente agito dal proprio divano a casa, riesca ad incidere di più nella realtà sociale del buon vecchio attivismo ‘in carne ed ossa’. Su questo topic potremmo discutere per settimane, io additando lavori scientifici in cui si evidenzia che chi NON aderisce a petizioni on-line, in media contribuisce economicamente (e ovviamente fattivamente) in misura maggiore; i fautori delle petizioni on-line citando altri lavori, secondo i quali la probabilità di donazioni (anche se di importo inferiore ai «disconnessi»), per le persone che aderiscono ai movimenti in rete, è sicuramente maggiore.
    Quello che io contesto è la mancanza di senso critico e di assunzione di responsabilità che – in generale – comporta lo ‘slacktivism’. Si viene bersagliati dalla richiesta di adesione ad una petizione su di un qualsiasi social-network, si sfoglia qualche pagina in rete giusto per farsi un’idea (ma qualcuno non fa più neanche quello), e infine, se la petizione è stata scritta bene (ci sono interessanti studi anche su come rendere «più sottoscrivibile» la petizione, tanto per dare l’idea dell’estensione e dell’interesse che genera il fenomeno), si decide di sottoscriverla, magari facendo anche una donazione, se il tema è particolarmente consonante alle nostre corde. In alcuni casi, dopo qualche mese/anno, si riceve una qualche forma di messaggio in cui ci si comunica del successo della petizione, grazie al nostro ‘indispensabile sostegno’.
    Avete mai controllato cosa succede, invece, per le decine di petizioni firmate di cui non si sa più nulla? Hanno miseramente fallito? Le loro lotte sono ancora in corso? Dopo la sottoscrizione, di solito inondati dell’incessante fiume di informazioni che la rete ci scarica addosso, di quelle petizioni ci si dimentica. Eppure in qualche modo ci interessavano: le abbiamo firmate.

    Sottoscrivere una petizione, o l’azione di un movimento in rete, non ci dà garanzia su come sarà portata avanti la battaglia che il gruppo propone, né (in generale) sui suoi esiti. A mio avviso, si ha una quasi totale perdita di controllo sul conflitto che, in linea di principio, dovrebbe interessarci. E’ come firmare una cambiale in bianco: dico di essere d’accordo. Ma si può essere d’accordo in tanti modi. Faccio un esempio: la lotta potrebbe essere condotta attraverso una mediazione legale; o per mezzo di resistenza passiva; o attraverso più radicali azioni di sabotaggio e resistenza attiva. C’è una bella differenza tra queste modalità di risolvere i conflitti sociali. E di solito, nelle richieste di sottoscrizione delle petizioni, si indica per cosa si è contro, e solo fumosamente – e relativamente all’immediato futuro – cosa si andrà a fare, e quando.

    C’è un altro punto: la petizione ci viene proposta/indicata da qualcuno. Ci stiamo abituando ad un sistema pervasivo che, di volta in volta, ci propone questo o quel movimento a cui aderire. Qual’è la percentuale tra le petizioni che vi siete andati a cercare autonomamente, e quelle cui siete stati sollecitati attraverso i social-network? Perché non abbiamo più il controllo sulla nostra personale ‘agenda politica’, ma di volta in volta rispondiamo come tante molle alle sollecitazioni sociali che ci sottopone la rete? E’ come andare al ristorante, ed accontentarsi del ‘menù turistico’.

    Partecipare invece di persona ad un gruppo civico, ha tutta una serie di vantaggi: si conoscono direttamente i soggetti coinvolti nel movimento, e ci si fa direttamente e personalmente un’idea del movimento stesso; si ha la possibilità di fare pesare maggiormente le proprie opinioni in ogni momento della fase decisionale; si ha l’opportunità di offrire fattivamente il proprio contributo – esperienza alquanto gratificante – al di là della mera donazione economica; si ha un maggiore controllo sull’operato del gruppo, e sull’efficienza/autorevolezza/coerenza dei suoi leader; infine, si ha un controllo in tempo reale sull’attività del gruppo, e sugli esiti delle sue iniziative. Tralascio le ovvie e scontate considerazioni su quanto si impari (e si cresca personalmente) nel confrontarsi con gli altri, opportunità molto più limitata e sterile nella modalità ‘on-line’.

    Non voglio assolutamente criticare o biasimare chi aderisce a petizioni on-line di qualsiasi tipo (‘on-line’ è comunque meglio di ‘niente’, io sono il primo ad averne sottoscritte tantissime); però, per chi avesse la possibilità di partecipare di persona ad iniziative civiche, mi farebbe piacere che considerasse questo quesito: ma sono davvero così importanti l’ora di palestra, il cineforum, quel pomeriggio di studio, quella serata con gli amici, o quel pomeriggio di vagabondaggio senza una meta, rispetto alla possibilità di partecipare, *anche solo* per una volta, alle riunioni di persone che, coi loro modesti mezzi, ma probabilmente con un grande cuore, cercano in qualche modo di migliorare il loro contesto sociale?
    Fatemi un regalo: fateci un pensiero.

  9. “Ora di palestra, cineforum, pomeriggio di studio, serata con gli amici”?? Io sostituirei: partita a Candycrush, postare scemenze su Facebook, fare shopping, e altre attività molto meno arricchenti di quelle che elenchi tu. Senza contare che in molti casi persino le ore dedicate al lavoro non sono poi, magari neanche per colpa di chi lavora, così socialmente utili.
    Detto ciò, sottoscrivo tutto quello che hai detto. In realtà dovrebbe essere ovvio che scrivere il proprio nome e cliccare su un pulsante non può valere di più che stare in piazza due ore, dare volantini ai passanti, leggersi documenti ufficiali, telefonare ai rappresentanti eletti, organizzare una serata informativa, e l’infinità di altre attività necessarie per una causa. Se poi stiamo parlando della fatica di tenere un sito informativo, allora quella è un’altra cosa: ma se la protesta rimane lì, difficilmente avrà grossi impatti. Persino la primavera araba (che vediamo che fine ha fatto) era in piazza e non solo online.
    Chiunque pensi che l’attivismo online sia più efficace dell’impegno concreto mente a sé stesso principalmente o per sentirsi “moderno” o perché è pigro.
    Un’altra cosa: molti dei cambiamenti necessari per provare a migliorare il mondo partono da modifiche allo stile di vita. E lo stile di vita non è virtuale: è materiale.

  10. > molti dei cambiamenti necessari per provare a migliorare il mondo partono da modifiche allo stile di vita. E lo stile di vita non è virtuale: è materiale

    E’ esattamente il motivo per cui l’impegno civico è quasi solo virtuale.
    Quello vero, reale, richiede impegno vero, tempo vero, sbattimento vero.

    Devo aggiungere che… in molti anni di impegno vero io ho mollato un po’ le corde.
    Da una parte il contrasto e l’irrisione di ‘gnoranti e delinquentoidi furbastri grandi e piccoli è fonte di soddisfazione, dall’altra parte è faticoso.
    Le fasi eroiche non possono che essere limitate.
    E continuare a lottare contro stupidità, credenze, contro l’antropocentrismo scemo, contro la miopia e la disonestà poi, alla fine… ti assorbe. Vai al mulino per pulirlo e ti… infarini.
    Cercare di mantenere uno stile di vita ecologico la grande maggioranza dei giorni, destinare bene la maggior parte del tuo reddito e… sopravvivere ad un livello minimo di serenità.

  11. Alle volte mi sembra di fare tanto anche solo limitando i miei consumi, cercando di non rendermi complice di guerre e sfruttamenti in giro per il mondo. Altre volte mi chiedo se non possa essere vero che persone super impegnate nel sociale o anche nell’ambiente mantengano stili di vita più dannosi di chi non si impegna ma almeno non distrugge. Altre volte ancora penso che l’esempio vada veicolato, perché più delle parole vale l’esempio, ma le parole chiariscono l’esempio.

  12. Cambiare il proprio stile di vita é cosa buona e giusta e necessaria. Ma totalmente insufficiente se non accompagnata da una dimensione politica vera e propria. Altrimenti campa cavallo….. E la politica implica sempre una qualche forma di azione. Le azioni sono perfettibili e correggibili, l’inerzia al massimo non fa danni.

  13. Verissimo. Però ci sono troppi ambientalisti che conducono stili di vita ad alto impatto, troppe persone di sinistra che comprano merce a poco costo e hanno la colf straniera… La prima cosa da fare per convincere gli altri della tua idea è dimostrare che è possibile, e che tu ci credi davvero.

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