forse fa peggio

Ieri ho visto Qualunquemente di Antonio Albanese, non faccio una recensione perché ce n’è una su OndaCinema che condivido, se vi interessa vi invito a leggere quella. E’ un film divertente in senso lato (godibile, a tratti fa ridere, ben fatto, sicuramente intelligente), ma che in fondo lascia una grande amarezza, per quanto è vero. Non so se consigliarlo o meno: chi è sensibile a questo tipo di denuncia, sa già e ha già capito, chi approva un certo modo di fare politica, un certo costume, non trova poi così gravi i comportamenti mostrati nel film; potrebbe addirittura affezionarsi al personaggio di Albanese, che fa ridere e vince nonostante sia moralmente ed esteticamente ripugnante sotto tutti i punti di vista. Ed è proprio qui il problema. Ieri parlavo con degli amici, e si diceva di come il tentativo di denunciare una realtà, come può fare il film in questione, o il documentario Il corpo delle donne, proponendone la visione di un concentrato esasperato con lo scopo di portare alla nausea, rischi di essere controproducente. Un film volgare, ma divertente, una lunga carrellata di corpi femminili esposti come oggetti, non rischiano di creare nello spettatore, più che la nausea, l’appetito per le stesse schifezze contro cui vorrebbero scagliarlo? Questo è un punto un po’ sfuggente, e indimostrabile, ma l’ho sperimentato io stessa. In inglese c’è un’espressione, guilty pleasure, che si può riferire a un prodotto artistico che sappiamo essere da certi punti di vista scadente o esageratamente commerciale, come un video pop, un episodio di Sex and the city, e così via, ma che ha comunque un certo fascino ed è divertente, così che ce lo concediamo, sapendoci comunque superiori, come sfizio. Il punto è che poi magari ci viene voglia di averne ancora… Naturalmente, il caso di Cetto La Qualunque è diverso: qui si tratta di un uomo che parla con nonchalance di eliminare fisicamente avversari politici, orgoglioso evasore, più che maleducato profondamente cattivo, e intollerabilmente maschilista – quindi non solo trash, ma vera immoralità (e non mi addentro neanche nella relazione gusto-morale..). Eppure, ci sono qui una serie di confini così sottili da diventare invisibili, e alla fine non sappiamo da che parte stiamo dell’uno e dell’altro. Più volentieri guardiamo uno sketch di Albanese che un discorso di un politico serio ma magari pesante; i giornali che gridavano allo scandalo su Ruby e compagnia bella, erano sempre pieni di foto di belle ragazze, e chi non si è divertito a leggere le schifezze di Arcore e gli infiniti commenti? Fermandoci a guardare il fango è finita che siamo tutti sporchi, e se ci fosse anche un po’ piaciuto?

Allora con questi amici di cui dicevo, abbiamo più o meno concluso che l’antidoto alla bassezza, al rincoglionimento televisivo, al trash e alla volgarità non è esasperarla allo scopo di provare disgusto, ma guardare direttamente altrove. Io finora avevo vissuto più possibile così: cercavo letture stimolanti, profonde, non guardavo mai la televisione, cercavo di rifuggire dalla volgarità dilagante trattandola da cosa a me estranea piuttosto che analizzandola e denunciandola… e vivendo così, detta volgarità cessa di esistere da sola. Non pensavo a come spiegare che era orribile, che era sbagliata, perché nel mondo in cui vivevo, dite quello che volete sul mio snobismo, non ce n’era proprio. Chi conosce l’arte vera, chi ammira personalità contemporanne o passate mosse da veri ideali, chi cerca il meglio in ogni campo e non ha tempo per il resto, prova un naturale orrore nei confronti della bassezza appena la vede. Non serve cercare di nausearlo esasperando una situazione, perché sa già. Chi non conosce che i Cetto La Qualunque di questo mondo, invece che schifarli come vorrebbe Albanese, può finire per abituarcisi al punto di amarli.

6 risposte a “forse fa peggio

  1. Mi fa la ricevuta?

  2. il momento migliore 😉

  3. Cara Gaia,
    ieri al cineforum dell’Arcimovie hanno proiettato Nessuno mi può giudicare, una delle ultime commedie all’italiana con la Cortellesi e Raul Bova. Ti sintetizzo la trama: una ricca romana sufficientemente snob e cafona, Alice (Paola Cortellesi), resta improvvisamente vedova ed oberata di debiti, per cui, per evitare di avere il figlio sottratto dai servizi sociali, decide di diventare una escort per salvarsi dalla bancarotta. Proiettata nella desolata periferia romana in un quartiere stereotipato di immigrati e disoccupazione, Alice riscopre i veri valori della vita (amicizia, solidarietà, amore) e alla fine riesce a recuperare completamente il debito, e a trovare addirittura un compagno, Giulio (Raul Bova). Durante il film si ride spesso – certo le battute non sono quelle di Woody Allen… -, e fino a qualche minuto dalla fine, il film è a mio avviso la solita commediola all’italiana, rivolta ad un pubblico senza particolari pretese. Ciò che mi ha colpito, però, è stata una battuta (molto ad effetto, quasi a rappresentare la «morale» del film) pronunciata all’ultimo minuto da una delle protagoniste, l’escort professionista Eva (Anna Foglietta), rivolta al troppo tradizionalista Giulio per giustificare l’operato dell’amica/allieva Alice: «”…quando vuoi bene a qualcuno, nella vita, fai pure le cose che non ti piacciono!”». Beh, la battuta mi ha davvero stomacato, perché – almeno qui al sud – è la giustificazione n. 1 di tutti i delinquenti colti sul fatto: «Commissà, e che devo fà? Tengo famiglia pur’io…».
    All’uscita del pubblico, ho registrato un quasi unanime apprezzamento, e soprattutto non ho udito nessuno stigmatizzare – o quantomeno contestare tiepidamente – l’odiosa battuta. Probabilmente ce n’è una simile in «Guardie e Ladri» di Monicelli, però mentre in quel film Totò interpreta un personaggio tragico che paga col carcere i propri debiti con la società e la giustizia, qui invece è pronunciata a giustificazione dell’attività di una escort che non solo non paga un bel niente, ma addirittura riscatta i propri debiti e si rifà una vita. Per me il messaggio è chiaro: quando sei nei guai, non perdere il tempo a cavillare con le regole, la morale e l’etica, ma tira dritto senza guardare in faccia a nessuno, nemmeno te stesso. Finquando non ti beccano, sei un furbo… e pazienza per i poveri coglioni che si ostinano a non adeguarsi al sistema. Che ci vuoi fare, così va il mondo…
    Allora ho ripensato al tuo post e mi sono detto che effettivamente ‘forse fa peggio’ indugiare su certi temi, perché poi le persone ci si assuefanno ed essi entrano a far parte del quotidiano: e una donna che vende il suo corpo per pagare i debiti del marito fa bene, nessuno scandalo, perché in fondoha famiglia. Com’era divertente il film, com’era divertente…

  4. gaiabaracetti

    il trailer è terrificante, la trama a quanto pare anche… non l’ho visto, ma mi sembra che qui non ci sia nè una donna veramente costretta a fare la prostituta, nè una che potrebbe trovare un’altra strada ma sceglie quella, e magari la rivendica senza vergognarsene come tante lavoratrici del sesso. un discorso più onesto, insomma.

  5. La cosa che mi ha un po’ inquietato è stata il contesto (proiezione Arcimovie). Ma noi di sinistra (non voglio appiccicarti etichette, parlo al plurale per autocritica) non eravamo quelli dell’emancipazione femminile, della lotta per i diritti e la dignità della donna, della difesa degli ultimi – e in generale dell’individuo – dalle aberrazioni della società e dell’establishment? Mi pare proprio che stiamo sempre più perdendo – lentamente, ma inesorabilmente – quel sistema di valori (umani) che caratterizzavano il nostro pensiero (come magistralmente denuncia Ascanio Celestini in questo bel pezzo)

  6. ll documentario ‘Il corpo delle donne’ purtroppo mette in luce come la società attuale, ancora fortemente maschilista, considera la donna, ma anche per colpa delle stesse donne che si prestano a tanto. Ho provato un’infinita tristezza nelle ultime scene del filmato, quelle riferite a ‘Scherzi a parte’, in un crescendo grottesco quasi lapalissiano e faccio fatica a capire come la stessa protagonista ne abbia concesso la liberatoria alla trasmissione.
    Riprendendo la voce fuori campo: “Perché non reagite? … Perché accettate questa umiliazione continua?”

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