Come si sceglie un libro

L’anno scorso ho scritto un romanzo, negli ultimi dieci mesi ho lavorato a un altro, che ora è quasi finito (o almeno spero, in queste cose non so se esista il quasi finito: finchè non lo è del tutto, non lo è per niente). Ammettiamo e non concediamo che i miei libri (o il mio libro e mezzo, insomma per capirci) siano buoni e meritevoli di essere letti, il che ovviamente è soggettivo e indimostrabile; il che è l’opinione di molti/alcuni (dipende da come valuto l’onestà di amici e parenti) ma non di tutti – ma da qualche parte bisogna cominciare. Detto questo, a me pare che scrivere il libro sia la parte meno problematica dell’intera vicenda. Mi spiego.
Innanzitutto, io sono ossessionata dalla sovrabbondanza della produzione culturale, e quindi anche di libri, ma su questo vorrei entrare nello specifico più tardi, con l’aiuto magari di un libro in particolare. Comunque, questo è un problema innanzitutto perché temo che la mia voce naufraghi, affoghi, scompaia nel mare immenso di tutte le voci che hanno parlato e che stanno parlando, e non venga udita. Non c’è tempo e soprattutto non c’è spazio mentale per ascoltare tutti. E poi, mi chiedo: se io trovo che ci sia chi non dovrebbe scrivere o dovrebbe ormai smettere, e stia solo intasando con le sue opere francamente inutili il nostro limitato spazio mentale, posso io davvero essere sicura di non essere una di queste persone, e che il mio contributo sia veramente valido? Ovviamente io sicura lo sono, ma e se lo fossero tutti? Chi ammette a sè stesso: scrivo solo per soldi, o solo per vanità? O: non sono bravo, dovrei lasciare perdere?
Ma non è neanche questo il punto. Il fatto è che a me pare che scrivere un libro sia molto meno difficile, e soprattutto molto meno problematico, che venderlo. Io sono naturalmente sospettosa nei confronti di tutto ciò che è pubblicità, e quindi intrinsecamente incapace di pubblicizzare sul serio il mio libro. Ho sempre pensato che una cosa, qualunque essa sia, debba vendersi da sè, e non essere spinta.
Ho deciso di pubblicare in proprio anche perché ho il sospetto molto fondato che la macchina della produzione e distribuzione culturale in Italia sia manipolata, insincera, finalizzata più a fare denaro che a selezionare la vera qualità: si prende un autore che si pensa possa vendere, lo si pompa, lo si manda in tv, si convince colleghi e giornalisti amici a scriverne e parlarne, si cerca di accattivare il lettore anche con meccanismi piuttosto meschini (sesso, degrado, le solite cose)…
Io non mi fido. Io non riesco a credere che ogni settimana si produca un capolavoro, o neanche qualcosa che è veramente così necessario che io legga.
Io addirittura inorridisco quando la gente dice che ha preso un libro “perché mi ispirava la copertina” (è come scegliere chi sposare in base ai capelli!!), o “perché ne ho sentito parlare in radio/tv/sui giornali” – qui il discorso si fa più complesso, ma i giornalisti e gli intellettuali spingono spesso i loro colleghi, non so se i loro amici ma penso di sì, o comunque sono ingranaggi di quelle macchine di cui dicevo sopra, quelle nei confronti delle quali nutro diffidenza. Sei dentro perché conosci la tal persona, fai parte del tale ambiente, sei stato nella tale trasmissione o nella tale scuola… e quindi tutti parlano di te. Se sei fuori, sei fuori, bravo finché vuoi, ma fuori, e chissà quando entrerai.

Non tutti i presentatori e recensori di libri saranno così, ovviamente, ma io in generale non posso delegare a una persona, per quanto sincera e competente, uno dei compiti più importanti della mia vita, e per davvero, uno dei miei massimi esercizi di libertà: quello di scegliere che libri leggere. Il mio rapporto con i libri somiglia per certi versi al mio rapporto con le persone, e non delegherei quest’ultimo a nessun altro.
E allora, come sceglo cosa leggere? Mi fido solo di due meccanismi.
Uno è lo status che il libro ha raggiunto. Non mi riferisco ai premi, per cui sospetto valga il meccanismo di cui sopra: ma se un libro ha lo status di classico, viene citato o elogiato da altri autori che amo, è in qualche modo entrato a fare parte del patrimonio culturale comune, comunque definito, e soprattutto se è sopravvissuto alla prova del tempo, se ha ancora qualcosa da dire dopo decenni o secoli, allora mi viene voglia di leggerlo.
In secondo luogo, mi fido del passaparola. A differenza di una sponsorizzazione mediatica, questo dovrebbe essere genuino: ti consiglio un libro perché voglio il tuo bene, e quel libro mi è sinceramente piaciuto e penso piaccia anche a te.
Il punto è che il passaparola è drogato: le persone che mi consigliano un libro potrebbero averlo letto perché consigliato in tv, assieme a molti altri, e quindi avere dei parametri completamente falsati. Secondo me manca una cultura letteraria, e ancora dovrei scusarmi per la presunzione ma non lo faccio, comunque mancando questa cultura letteraria in una grossa fetta della popolazione, perché la gente legge quello che le capita, perché non è stata o non si è formata bene, perché è abituata alle porcherie, perché non ha appunto avuto pazienza con i classici, si scelgono i libri per moda, conformismo o fiducia nei guru di turno, e magari anche il gusto ne risente (non lo so per certo, ma anche questo lo sospetto), e così non posso fidarmi dei consigli degli altri, in un mondo in cui Tre metri sopra il cielo ha la stessa media di voti dei lettori (su IBS) di Anna Karenina (ok, solo in un’edizione, ma è già grave). Il passaparola, parrebbe, ogni tanto fa emergere dei capolavori, ma sono veramente capolavori? Anche qui, sono diffidente.  Infatti ci sono persone da cui accetto consigli su cosa leggere, incrociandoli solitamente con consigli di altre persone di cui mi fido, e altre di cui conosco i gusti e so che non corrispondono ai miei (magari tante persone hanno lo stesso tipo di rapporto con i recensori ‘ufficiali’).
Io sulla copertina del mio romanzo non ho messo immagini, né una mia foto né una mia biografia, né la trama, solo un breve estratto del libro. Questo è indice di arroganza, forse, oppure è il mio tentativo estremo di far sì che il libro venga letto perché buono, non perché accattivante. E come fa la gente a sapere che è buono? Qui torniamo al punto di partenza. Ho avuto una recensione su un giornale, l’ho presentato in radio, ma sapevo che questi due giornalisti erano sinceri. Ma non basta. Penso che la gente potrebbe voler leggere il mio libro perché qualcuno di cui si fida gli ha detto che è bello, o perché gli piace come scrivo di solito, ed è curiosa del mio romanzo. Privarmi quasi del tutto di qualsiasi forma di promozione, se non quanto già detto, più il blog e il lasciare il libro a due biblioteche pubbliche, può sembrare stupido e insensato, come saltare senza piegare le gambe. Diciamo che è quasi una specie di esperimento, ma un esperimento condotto in condizioni che lo condannano quasi sicuramente a fallire, quindi vedremo.

13 risposte a “Come si sceglie un libro

  1. Cara Gaia,
    nell’attesa di un commento meno telegrafico – ora non posso proprio dilungarmi, e tu hai messo troppa carne a cuocere per poterti rispondere brevemente – forse potresti trovare interessante questo podcast di una puntata di Fahrenheit (fine gennaio 2011) in cui mi colpì il commento di Stefano Mauri: il lavoro di uno scrittore – al termine della stesura del libro – è solo alla metà… la seconda parte è tutta dedicata alla promozione del libro che, nel caso delle «novità» editoriali, in media dura solo 3 mesi sugli scaffali delle librerie (!), dopodiché scompare, sempreché la domanda del mercato non ne richieda una ristampa. Libri che durano solo 3 mesi… c’è qualcosa che non mi torna.

  2. gaiabaracetti

    appunto, anche a me fa pensare questo fatto. e perché è così? perché questi libri non sono abbastanza buoni? perché la gente non presta attenzione? perché ne escono troppi?
    addirittura io mi chiedo quale sia il ruolo delle librerie in un contesto in cui i libri che uno potrebbe desiderare difficilmente possono essere tenuti tutti in un negozio, essendo davvero troppi – si riducono allora a spingere le novità e tenere qualche classico? scelgono per noi?
    è vero ho messo troppa carne al fuoco, ma vorrei tornare sull’argomento, magari quando ho finito il mio, di libro, a proposito

  3. Tommaso D'Odorico

    Ciao Gaia, è da un po’ che non scrivo, non commento e dovrei ancora risponderti per bene alla mail di Dicembre. Mi scuso ma purtroppo il tempo mi trascina via.
    PERÒ sono a Udine dal 17 al 21 marzo, e mi piacerebbe una copia del secondo libro (se c’è già, se no me la terrai in caldo per qualche mese).
    PERÒ facciamo caffé se ti va, così parliamo di q

  4. Tommaso D'Odorico

    mi ha troncato il commento, non so cosa sta succedendo…

    dicevo: facciamo caffé se ti va, così parliamo di questo libro, dell’altro libro, delle cose e delle persone…

    Sono telegrafico, ma se sei libera prossimo fine settimana (magari venerdi ecco) facciamo le cose.

    Tommaso.

  5. Ciao Gaia come ti dissi quando ci siamo cononsciuti
    che ti piaccia o no se non sei Oriana Fallaci è la copertina che vende il libro.
    A mio avviso il passaparola è importante , ma il passaparola più importante è quello dello stesso autore che gira per associazioni , gruppi di lettori e librerie per presentare la propra creatura. I media sono importanti ma sono costi, come è un costo farsi fare la vetrina con il tuo libro (in pratica affitti la vetrina). Affidarsi ad una casa editrice che garantisca una propria distribuzione è fondamentale, il libro si deve trovare nel maggior numero possibile di librerie e ricordiamoci che esiste anche la distribuzione nei supermercati. Se poi c’è il nome famoso che garantisce la qualitàdel tuo libro ancora meglio. E comunque nella vita tutto può accadere. Ti segnalo che esiste un editore Maria Cecilia Averame (quintadicopertina.com) che pubblica solo libri in formato digitale: tutto un altro mondo. Ti fa venire qualche idea?

  6. Cara Gaia, immagino che ogni scrittore, prima di cominciare un rapporto privilegiato con un editore, sia tormentato dai tuoi stessi dubbi e dalle tue meste (ma purtroppo vere) considerazioni sul mondo dell’editoria. Non è affatto incoraggiante vedere la propria opera dispersa nella vastità della produzione letteraria, quell’universo sconfinato che spazia dalla cattedraticità di Eco alla trivialità di Corona (ahimè Fabrizio il paparazzo, non Mauro…): in effetti in Italia tutti scrivono su tutto.
    Immagino che per uno scrittore pubblicare un libro sia come separarsi dal proprio figlio al primo giorno di scuola: lo vedi allontanarsi di spalle, solitario, tra una moltitudine vociante di bambini, e ti auguri che tutto gli vada bene, una volta che non è più al riparo tra le tue braccia…

    Ma torniamo al mondo dell’editoria. Che si sia in tanti a scrivere, in assoluto non è un male, anzi: meglio ascoltare più voci che una sola. Ognuno così è libero di scegliersi l’autore preferito. Il problema, come fai ben notare tu, è come avvenga in realtà questa scelta: perchè ‘non posso scegliere qualcosa che non conosco’. Quindi la questione è ricondotta alla diffusione dei libri e al loro mercato. Non voglio dilungarmi su questo tema – che tu probabilmente conosci meglio di me, semplice lettore – ; mi limito unicamente a sperare che con l’avvento di nuove tecnologie e mercati online, inizi ad intravedersi per gli autori la possibilità di bypassare in qualche misura gli editori ed autoprodursi (come ha fatto Stephen Leather dopo il terzo rifiuto ricevuto dal suo editor). La rete dovrebbe in qualche modo migliorare e rendere più diretto il rapporto scrittore/lettore, con indubbi vantaggi per entrambi.

    Quindi do per scontato che un autore – in un modo o nell’altro, con maggiore o minore visibilità, prima o poi – riesca infine a pubblicare la sua opera. In quanti la leggeranno? Serve scrivere se poi a leggere non c’è nessuno? O se sono pochissimi?
    A questo punto – a mio avviso – entra prepotentemente in gioco il temperamento dell’autore, e il rapporto che egli ha con la scrittura. Perchè uno scrittore è così tanto bruciato dal sacro fuoco della «necessità della scrittura»? Mi colpì molto una confidenza di Yates (uno dei miei autori preferiti) a Dubus: «…non voglio il successo, voglio lettori!». Sicuramente non ne avrà avuto tantissimo, di successo; ma in quanto a lettori, quelli che l’hanno letto, sono sicuro l’abbiano amato. Almeno io.

    Perciò penso che se uno scrittore scriva per il successo, la maggior parte del suo lavoro sarà profusa nella promozione del prodotto: sono convinto che la maggior parte dei best-seller siano stabiliti a tavolino dalle case editrici. Se invece scrive perché non può proprio farne a meno, ha troppa urgenza di comunicare il suo mondo interiore o la sua weltanschauung, allora… beh allora il problema non si pone, perché ha già scritto, già pubblicato, e nel mondo ci sono milioni di avidi lettori in cerca di «letteratura», e non di «best seller» o «casi editoriali dell’anno». Prima o poi avrà di sicuro il suo manipolo di fedelissimi, e la loro consistenza numerica sarà solo proporzionale alla validità dell’opera.

    E’ duro produrre una creazione artistica… voi però non mollate!
    Un abbraccio,

    mk

  7. gaiabaracetti

    Hai ragione, ma: il manipolo di fedelissimi come lo si acquista? il passaparola funziona? è abbastanza veloce? e se no? qui si torna al problema di partenza.
    C’è poi un discorso economico: scrivere un libro costa. Non posso pormi ad esempio di niente, però dico la mia esperienza: per scrivere l’ultimo libro ho avuto un lavoro retribuito, in un bar, solo sei mesi degli ultimi dieci, e tutto il tempo in cui non ero al bar l’ho passato a leggere e a scrivere, comprese domeniche, sere, festività, dormiveglia. Certo, lo si fa per passione, ma fino a che punto? Mangiare bisogna. Perché il mio tempo deve valere meno di quello di un altro lavoratore? Sono disposta ad accettare che siano i lettori a stabilire quanto (e se) retribuire questo mio lavoro, ma non posso negare che di lavoro si sia trattato.
    (Ci tengo a precisare che non sto parlando di quella di scrittore, necessariamente, come una carriera. Uno potrebbe anche scrivere un libro solo, nella vita. Ma per scrivere quel libro, soprattutto se non è completamente autobiografico e quindi ha richiesto ricerche, ha comunque impiegato del tempo)

  8. Michele Testa

    Io credo molto nel passaparola che, almeno a quanto riportano le cronache, ha funzionato ad esempio per «L’eleganza del riccio» nel 2007 in Francia o per «Firmino» di Savage negli USA. Quale che sia l’approccio editoriale scelto, comunque ci deve essere un momento di lancio del libro, col quale l’autore cerca di avvicinarsi quanto più possibile alla “massa critica” necessaria per la “diffusione virale”. Il resto poi lo fa la fortuna del libro.

    Quanto al ‘vile danaro’, ci sono alcune case editrici (come Aìsara) che, molto onestamente e coraggiosamente, anticipano agli autori i profitti delle vendite. E questo sarebbe già un buon inizio…

    Hai mai provato poi a bussare a qualche agenzia letteraria? Io non ne conosco molte; qui a Napoli c’è la INCIPIT che pare lavori bene (la conosco come fruitore di eventi letterari, ma so di giovani scrittori che grazie a loro hanno trovato un editore). Il vantaggio di un’agenzia è costituito dal fatto che grazie ai loro link hai maggiore possibilità di trovare un grosso editore… lo svantaggio è che i loro servizi non sono gratuiti.

    E’ una brutta storia… fino a quando non ti affermi non guadagni, però non guadagni se prima non ti affermi… lo dice anche Auster: scrivere è un lavoro duro, e – nella maggior parte dei casi – mal retribuito. 😦
    Tu però non mollare!

  9. Ti posto questo link perché magari spero di farti cosa utile:

    http://www.youwriting.it/chi_siamo.php

    Un abbraccio,

    mk

  10. Grazie! ma io ho un’altra cosa in mente. Penso che ormai le case editrici, sia grandi che piccole, per come sono andate le cose, non siano garanzia né di qualità né di distribuzione, o per lo meno non necessariamente. Mi chiedo se si possano scavalcare del tutto – forse non è desiderabile, ma neanche la situazione attuale, con decine di migliaia di uscite di dubbia qualità che nessuno legge, e best seller sopravvalutati, lo è

  11. Cara Gaia,
    al salone Internazionale del libro di Torino, i ragazzi del Politecnico hanno ideato una beffa letteraria incredibile: hanno simulato un caso letterario («L’implosione» di tal Emanuele Maddalon… hi hi hi! ) e hanno chiesto in modo capzioso un commento a famosi personaggi del mondo letterario, culturale e politico. Incredibile: tutti l’avevano letto, e qualcuno si è anche lasciato andare ad elogi e consigli! La morale: (Andrea Bajani, scrittore) «Ogni tanto gli editori ti chiamano e ti dicono: noi abbiamo un nuovo autore che vogliamo lanciare… ci fai la fascetta (per il libro)? – E tu gli dici: si, mandatemi il libro così lo leggo e poi magari ci scrivo qualcosa… – Loro: Va bene… allora ti mandiamo *due* pagine e tu ci scrivi qualcosa. – Bajani: Ma come si fa a scrivere su di un romanzo leggendo solo due pagine??? Mandatemi il libro! – Loro: Noooo, ma non importa… l’importante è che ci sia il tuo nome sulla fascetta e tu ci scriva: “BELLISSIMO”
    Ovvero: conta molto di più il marketing sul libro che non il libro in sè.

  12. infatti. uno dei motivi per cui scelgo di stare fuori da tutto questo… è un mondo truccato e taroccato. non è facile trovare alternative, però

  13. Quando ho visto il video ho subito pensato a te… Quando manifestavi abbastanza risolutamente di voler restare fuori dai canali convenzionali dell’editoria me ne domandavo il perché, dando per scontato che un autore cerchi di dare alla propria opera la maggiore diffusione possibile. Si intravedeva un procedere teneramente donchisciottesco nel dipanarsi dei tuoi ragionamenti… Poi mi sono imbattuto nel video e ho compreso che la tua «austerità letteraria» mai avrebbe potuto tollerare gli ineludibili dettami del marketing – la copertina ad effetto, la fascetta zeppa di esclamazioni impudiche (Bellissimo! Meravigliosa opera prima! 300.000 copie vendute!), la terza di copertina con la foto di tre quarti (mi può fare uno sguardo più misterioso, per piacere?) – …insomma, vedere la propria creatura ridotta ad un oggetto completamente diverso da come ce lo si era prefigurato. Allora ho capito che non era donchischiottismo, ma… tensione all’autenticità. Che sicuramente non è una scorciatoia per le vendite, ma a mio avviso è la pietra angolare in ogni rapporto, anche in quello autore-lettore.
    Com’è vero, che a seguire la nostra voce interiore difficilmente si sbaglia…

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