rumore

Ultimamente si sente molto parlare delle proteste dei residenti di un qualunque centro abitato, sia piccolo che grande, per il rumore. A parte che è curioso che nessuno si lamenti per il rumore del traffico, dannoso per la salute e sgradevole, oltre che costante; semmai per quello di voci e musica. La mia opinione è che bisognerebbe distinguere. La gente che parla è vita, e si può sopportare finché non urla a squarciagola o si fa veramente tardi (tranne il venerdì e il sabato magari, a meno che non siano ubriachi molesti). Dipende anche da dove si abita e che giorno è. Se il problema sono solo gli orari, si può trattare su quello, che ognuno ceda un poco su qualcosa, e che chi abita in centro capisca che in cambio delle comodità di cui gode deve sopportare un po’ di via vai. Ma se – e a leggere i giornali non si capisce mai bene – il problema è il superamento dei limiti consentiti al volume, allora io sto dalla parte di chi protesta, e non me ne frega niente che Udine non dev’essere ‘una città di vecchi’ e altre storie simili. Io sono giovane e ci tengo ai miei timpani.
Ogni tanto fanno dei concerti in pieno centro a Udine con livelli di volume che più che assordanti definirei angoscianti. È terribile sentirsi chiuso tra le case, bombardato da volumi a cui non si riesce a sfuggire. Ovviamente ce ne si può andare, ma: chi ci lavora? Chi abita lì? Chi è assunto nei bar vicino? Chi non si rende conto del danno e rimane?
Tra l’altro le persone che diventano sorde a causa della sovraesposizione al rumore presumibilmente saranno quelle che terranno o pretenderanno volumi alti in futuro, non rendendosene conto.
Chi è stato al Cormor recentemente mi dice che i bassi facevano tremare tutti gli organi interni. Questa non è una prova di niente, io non sono l’Arpa, però la difesa di chi ha problemi a causa del rumore è sempre ‘lasciateci lavorare’. Anche chi difende a sua volta queste persone si scandalizza per le proteste e ho sentito addirittura dire che i limiti di legge sono troppo bassi. Non sono ancora riuscita a convincere nessuno che il livello del volume è un discriminante fondamentale.
A forza di concerti all’aperto, cinema esagerati e intrattenimenti serali da prima guerra mondiale diventeremo tutti sordi.
Sono ancora all’inizio delle mie ricerche sull’argomento, per cui intanto metto qui semplicemente un po’ di link, i quali dicono che: a causa dei volumi esagerati degli ipod i giovani di oggi diventeranno sordi trent’anni prima dei loro genitori; negli ultimi trent’anni il tasso di noise induced hearing loss (perdita dell’udito a causa dell’esposizione al rumore) è raddoppiato – ed è irreparabile; un concerto esagerato può far venire l’acufene e in maniera irreversibile; “persino un unico evento molto rumoroso (livello superiore a 125 dB) può provocare un danno acustico permanente“; e ci sono veramente persone che pensano che i concerti rock debbano essere assordanti. Secondo questo sito, il ‘concerto rock medio’ inizia a fare danni dopo sette minuti.
C’è poi tutto un altro capitolo che vorrei aprire, sull’inquinamento acustico anche a volumi tollerabili. Mi è capitato più volte, in corriera, di chiedere all’autista di abbassare la radio, troppo alta e non ignorabile. L’altro giorno l’ho fatto anche in un bar, perché non c’erano altri clienti. Non siamo tutti uguali, ma io vedo come una violenza il fatto di essere costretta a stare in uno spazio dovendo sentire cose che non voglio sentire, che mi danno fastidio, mi distraggono o mi offendono addirittura. Naturalmente andare al bar non è obbligatorio, ma se non prendo la corriera per evitare la radio davvero non viaggio più. E anche nella stazione delle corriere viene diffusa una musica commerciale di sottofondo estremamente fastidiosa. Sapete quando avete in testa una canzone commerciale che odiate ma non riuscite a togliervi? Ecco, probabilmente l’avete presa, come una malattia, in uno di questi spazi pubblici qui. Come in stazione: i televisori sparano la pubblicità, tu sei costretto a sentirla altrimenti non prendi il treno, e quella entra nel tuo cervello che tu lo voglia o no, e cosa faccia una volta lì dentro non lo sai. In piazza XX Settembre ci sono quelle brutte torrette informative che non si spengono mai, e se ti siedi vicino, almeno fino all’ultima volta in cui ci ho provato, sei costretto a sentirle. In corte Savorgnana è diffusa musica. Ricordo di aver sentito chi lavorava al Città fiera lamentarsi del sottofondo costante per otto ore al giorno – ma non vado là, non so se c’è ovunque o solo in alcuni posti. Al supermercato, nei negozi, nelle feste di paese persino, ci si trova a dover sentire quello che non si ha chiesto di sentire e che molti non sopportano. Io non sopporto gran parte della musica commerciale. Io non sopporto le cagate che dicono nelle radio commerciali e non sopporto la pubblicità (tra l’altro, se notate, non si tratta quasi mai di musica di qualità o anche solo locale – è sempre musica globale, dozzinale, americana, senza senso. È sempre una sudditanza e una scelta di default, una robaccia che si pensa vada bene a tutti e non si sa perché). Non posso non sentire, potrei girare con con le mani sulle orecchie ma sarebbe scomodo e anche rischioso. Potrei portarmi un lettore mp3 ovunque vado ma mi sembra un’alternativa triste.
Non c’è molto di scientifico da citare qui, ma vorrei invitare a una riflessione sul perché chi organizza uno spazio pubblico non finalizzato alla diffusione di musica si senta in diritto di decidere cosa la gente deve sentire. C’è chi come me soffre e si innervosisce per questo. Non dico che non ci dovrebbe mai essere musica da nessuna parte, ma ci sono volumi e volumi e suoni e suoni; c’è la musica di sottofondo che può creare intimità in un ristorante la sera, e poi c’è l’onnipresente, molesta, prepotente prevaricazione di suoni dozzinali imposti ovunque. Le canzonette che detestiamo (possiamo! siamo liberi di farlo!), le stupidaggini delle radio commerciali, le pubblicità, entrano nella nostra testa che noi lo vogliamo o no. È un’imposizione, un piccolo lavaggio del cervello. È anche una manifestazione dell’horror vacui della nostra società, per cui il peggiore dei pieni è preferibile al più naturale dei vuoti. A me ogni tanto piace il silenzio, e non penso che l’unico modo per avere silenzio debba essere quello apparentemente assoluto dei luoghi selvaggi. Ci sono anche i rumori che una collettività naturalmente produce, che ne sono espressione e conseguenza inevitabile. Posso sopportare un chiacchiericcio di fondo sui mezzi, fa parte del vivere insieme. Ma in quel chiacchiericcio indistinto posso ancora perdermi nei miei pensieri, oppure imparare qualcosa del mondo in cui vivo; quando le casse strillano, no.

4 risposte a “rumore

  1. La questione dell’aumento dei volumi sonori è un problema generale.
    Perfino nel mondo tanghero, in milonga, alcuni ballerini con qualche anno di tango, vals e milonga sulle spalle (o nei piedi 😉 mi dicevano che i volumi in milonga sono molto aumentati ultimamente.

    Ci sono luoghi nei quali gli artisti di strada che suonano senza amplificazione vengono letteralmente sommersi dai gaglioffi che vanno con l’amplificatore elettrico. I controlli? inesistenti, repressione quindi pure inesistente.

    Penso che la mentalità “del fare” (rumore compreso) sia una volta di più anacronistica in un paese costipato di 60M (probabilmente anche qualche milione considenrando gli immigrati clandestini). Una filosofia (?) del diritto che tutela chi fa (pochi) scaricandone le conseguenze su coloro che NON fanno (molti). Tutto ciò aggravato dalla disponibilità di energia a prezzo bassissimo che comporta che si possano fare dei disastri con pochissimo impegno economico.

    Aggiungiamo i grandi (e pessimi) tabù: digiuno, oscurità, fatica, vuoto alla lista dei quali appartiene anche il silenzio.

  2. Dimenticavo la parte piena del bicchiere.
    Un numero di Riza Psicosomatica di qualche anno fa era centrato sull’intolleranza come segno di buon vivere, di qualità elevata della vita.
    Essere intolleranti quindi è segno che non si è disposti a diminuire il livello di qualità , di ben-essere della propria vita e quindi giustifica e spiega le ostilità per ciò che va in questa direzione.

  3. Ah fantastico 🙂 Io mi rendo conto che le persone che mi sentono protestare per quello e per quell’altro pensano – me lo dicono – che io viva davvero male con tutti questi no. Quello che non si è ancora capito, e che gli ambientalisti evidentemente non sono riusciti bene a spiegare, è che ogni no è anche un sì. In questo caso: ai volumi assordanti e sì a una musica che sia piacere e non sofferenza; no alla radio accesa ovunque e sì all’ascolto degli altri esseri umani e dei propri pensieri, e così via: no all’auto e sì alla bici e alle passeggiate, no al cibo spazzatura e sì alla ricerca di cose buone e sane… le rinunce viste così non sono rinunce ma miglioramenti, e soprattutto vengono naturalmente. Certe cose non mi viene neanche in mente di volerle, e soffro quando me le impongono.

  4. > ogni no è anche un sì
    Ma questa quasi ovvietà sfugge a molte menti scadenti oppure non sfugge affatto ma è ignorata. Sartre sosteneva che le persone quasi sempre sanno ma poi negano in malafede.

    Poi c’è sempre la stupida reazione che coloro che rompono agli altri con le loro incontenibili, egoiche, intrusive esuberanze poi dicono che tu che ti lamenti sei tanto ma tanto brutta egoista cattiva intollerante cacca diavolo bruttassì! 😉

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