Ovest – Torino-Milano, 1-0

DSCN1736Come avevo previsto, il “lungo viaggio” si sta in realtà traducendo in una lunga serie di brevi viaggi, ammesso e non concesso che ce ne siano altri. Questi ultimi giorni sono andata a Ovest, verso Torino, città che ho sognato di vedere sin da quando ascoltavo i Subsonica cantare: “un altro giorno un’altra ora ed un momento / dentro l’aria sporca il tuo sorriso controvento / il cielo su Torino sembra muoversi al tuo fianco / tu sei come me” -ero a Montreal e fantasticavo del mio ritorno in patria, e Torino mi sembrava una città così originale e moderna, la volevo vedere, forse ci volevo anche vivere…
Prima però mi sono fermata a Milano, da un’amica. Da un mio personale sondaggio senza valore scientifico, tra amici e conoscenti, emerge che Milano è la città meno amata d’Italia, e che comunque per apprezzarla ci vuole un bel po’ -io, dopo alcune visite, ancora non ci sono arrivata.
Milano ha una sua bellezza nei dettagli, nelle opere d’arte, o in certe strade che ti si aprono davanti mentre vai in tram, ma senza nessuna armonia, nessun filo conduttore; è una città caotica, disordinata, che sembra essere cresciuta a caso, migliaia di palazzi in fila che non hanno nulla da dirsi, perché sono troppo diversi. Lunedì sono andata a vedere i famosi Navigli, ma sono rimasta male: il Naviglio Grande è una sordida pozza piena di rifiuti, tra cui ho notato una sega col manico rosso e un vecchio carrello della spesa arrugginito e ritorto. Al confronto la Roggia di Udine è il bel Danubio blu. La sterpaglia che costeggiava la Darsena era coperta di bottiglie vuote e lattine. Pare che d’estate sia molto più bello, però.
Milano non ha una bella atmosfera. Ho cercato un aggettivo che non fosse “grigia”, o “fredda”… poi ho pensato che Milano non mi piace perché è una città… adulta. Adulta nel senso di quarantenni in carriera, di gente che parla di soldi e affari, di famiglie mononucleari e isolate, nel senso di: i giochi sono finiti. Lo so che non è tutta così, ma quando la attraverso, questa è la sensazione che mi dà. E ovunque i miei occhi cercassero bellezza, a Milano, andavano a sbattere contro le automobili, contro un recinto visivo ad altezza d’uomo fatto di vetro e lamiera.
Milano però è un posto in cui tantissima gente finisce per dover andare più o meno controvoglia, perché “offre tanto”. In effetti ci sono cose, come la moda o l’editoria, che si fanno in buona parte lì, e in nome di quelle cose la gente ci va a vivere, e poi si affeziona.
La sera in cui mi ha ospitata, la mia amica mi ha portato ad una di quelle cose che per l’appunto si possono fare solo a Milano: in questo caso,un incontro di un gruppo di persone che una volta al mese si trovano per scambiarsi e commentare dei libri illustrati per ragazzi. Naturalmente è tutta gente che lavora nell’ambiente dell’editoria.
Quella sera eravamo nello studio di una di loro, tra le tipiche case a ringhiera milanesi, in una stanza dipinta di bianco con soppalco raggiunto da una scala senza sottoscala, i cui gradini poggiavano sul vuoto. Si sorseggiava tè e si parlava di libri. Molto radical chic.
I libri erano assai interessanti. Uno, francese, spiegava ad un bambino la morte di suo padre utilizzando brevi frasi e dei segnali stradali disegnati a mano (es. quello del riciclaggio per parlare della reincarnazione), ed era così originale, delicato e commovente, che un paio dei presenti non riuscivano a leggerlo senza piangere.
Circolavano un libro con disegni di animali in bianco e nero, un altro di fiabe russe, una parodia dei libri per bambini (“Il suicidio spiegato a mio figlio” -esilarante la parte sugli errori grammaticali da non fare nella nota d’addio), e poi un’edizione spagnola di Cappuccetto Rosso in versione gitana, presentata dallo stesso illustratore. La conversazione si è proprio bloccata su Cappuccetto Rosso, andando avanti un’ora: qual è la versione vera, quella di Perrault o dei Grimm o un’altra ancora più moderna… e poi: cos’è una fiaba classica? bisogna raccontarla ridotta all’osso, o ricamarci su? l’offerta di libri di fiabe classiche è sufficente a soddisfare la richiesta? eccetera.
Ho così scoperto che nella versione più antica (come anche in quella di Calvino), Cappuccetto Rosso si salva da sola con l’astuzia, mentre sia la brutta fine della versione di Perrault che il salvataggio ad opera del cacciatore/boscaiolo sono due aggiunte maschiliste successive (la prima è un monito alle ragazze che si lasciano sedurre dai “lupi”, la seconda insinua che le donne hanno bisogno di essere salvate da un uomo…) Quindi le riletture femministe recenti non fanno altro che riprendere un elemento che apparteneva alla storia già secoli fa… figo.
Quel circolo di amanti di libri illustrati a cui mi sono unita per una sera mi faceva pensare ad una confraternita di alchimisti, di persone che conoscono qualche segreto nascosto ai più, e di cui i più magari si disinteressano totalmente. Saper fare un libro! Che magia!
Ma i libri in Italia li leggono in pochi, purtroppo. Siccome una delle mie teorie è che se ci fossero meno automobili nel nostro paese, la gente sarebbe anche più istruita perché leggerebbe di più mentre siede sul treno o sull’autobus, ho deciso di fare uno studio dei mezzi pubblici per vedere se la mia teoria regge. Per ora i risultati sono deludenti: nei campioni presi in esame, la percentuale di lettori variava dal 5 al 30%. Continuerò a osservare. E poi nel mio studio a campione ho aproffitato per ascoltare le conversazioni altrui, per vedere se emergeva qualcosa di interessante. Finora poco. Una ragazza nera che si chiamava Bianca e parlava con accento afroveneto, e un’altra che raccontava di quando era andata in Germania e si era trovata con un gruppo di figli di immigrati calabresi che parlavano solo tedesco e calabrese, con cui perciò non riusciva a capirsi. L’Italia!

Da Milano ho preso il treno per Torino. La stazione di Milano centrale è bellissima, ma così piena di pubblicità che quasi non si notano gli affreschi. E mentre gli schermi proiettavano immagini, e le foto dei signori Beckham in biancheria andavano su e giù, per trovare un semplice cartellone giallo con gli orari giornalieri ho girato dieci minuti. Ho capito il bisogno di soldi, ma davvero giustifica una tale invadenza, una tale occupazione del suolo pubblico?

Sono finalmente arrivata a Torino martedì, e Torino mi è piaciuta così tanto che non saprei cosa raccontare, era bella da vedere, la guardavo e mi piaceva e basta. Non conoscendola affatto, mi sembrava che il suo centro storico, le sue strade ordinate, gli eleganti palazzi, i parchi, le piazze, i caffè ottocenteschi in cui immaginavo uomini baffobarbuti che preparavano l’Unità d’Italia, le luci colorate e tutte diverse, che queste cose si moltiplicassero sotto i miei piedi e davanti ai miei occhi all’infinito. A Torino mi è stata possibile una cosa che non mi era mai capitata in una città italiana: camminare su e giù per ore e non intravedere mai nulla di brutto.
E poi ho visitato il Museo del Cinema, nella Mole Antonelliana, dove abbiamo giocato con gli specchi e le illusioni ottiche, siamo passati davanti ad Alien e alle maschere di Satyricon, siamo finiti dentro Matrix, ci siamo stravaccati nelle ricostruzioni di set cinematografici e sdraiati su un letto rosso a baldacchino, abbiamo guardato spezzoni di film che hanno fatto la storia del cinema italiano su grandi schermi appesi al soffitto della mole… e dopo due ore e mezza così siamo usciti per camminare ancora, entrare di soppiatto in un grande parco lasciato a sè stesso, passeggiare sulle foglie cadute, uscire e trovare un set cinematografico in mezzo alla piazza, camminare ancora, ascoltare un gruppo di musicisti ungheresi che suonavano per strada (facevano molto Modena City Ramblers dei tempi d’oro), leggere i cartelloni con le frasi di Norberto Bobbio, fermarci in un caffè mentre fuori veniva freddo, ri-passeggiare…
Bella Torino, mi è proprio piaciuta. Tornerò.

2 risposte a “Ovest – Torino-Milano, 1-0

  1. condivido, milano è proprio brutta, non c’è qualità della vita. ieri e oggi ero lì per delle mostre con un’amica: beh, uno và nella grande città con determinate aspettative e poi scopre che gli eventi super millantati (mostra di hopper) sono specchietti (costosi) per allodole. Mah.

    a torino, quindi, c’è una buona qualità della vita?

    un caro saluto!

  2. non ci sono stata abbastanza per farmi un’idea, ma dicono di sì. e comunque la qualità della vita è relativa: dipende uno cosa vuole

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